04 novembre 2005

exibinterviste – la giovane arte Andrea Nacciarriti

 
Gli interventi realizzati e quelli sognati, dallo stadio Sinigaglia di Como all’Empire State Building. Incontro con l’arte di Andrea Nacciarriti. Studi da geometra e quel test d’ammissione (fortunatamente) fallito. Per sfidare l’architettura sul campo…

di

Partiamo dalla tua mostra migliore…
Senza dubbio quella di fine corso alla Fondazione Ratti. Sono stato costretto ad anticipare di tre giorni la realizzazione dell’installazione perché lo stadio Sinigaglia di Como, per il quale avevo progettato l’intervento, doveva ospitare il concerto di Anastacia.

Ubi maior…
Sì, proprio nel giorno dell’inaugurazione! E non è tutto: la società Como Calcio era fallita all’incirca in quel periodo e il Comune aveva staccato gli allacci per l’impianto di illuminazione.

Quando si dice la sfortuna…
Infatti. Non avevo corrente elettrica, non avevo un referente con cui poter concordare l’organizzazione dell’intervento, e chiaramente non avrei mai avuto la possibilità di tener aperto lo stadio per la fruizione.

E come è andata a finire?
Beh, l’occasione di “abusare” di un intero stadio non potevo lasciarmela sfuggire. Alla fine ce l’ho fatta: ho introdotto una linea di centodieci metri di neon appoggiati sull’erba a tagliare in maniera trasversale il campo da porta a porta. L’ho installata in appena 6 ore e l’ho smontata in 15 minuti, perché non era possibile posticipare l’avvio automatico degli irrigatori impostato alle 22. Ho avuto a disposizione solo venti minuti di buio, dopo il tramonto: giusto il tempo di far qualche foto e di girargli attorno correndo sul prato.

Ora parliamo di te. Quale la tua formazione?
Istituto Tecnico per Geometri. Ma solo perché la sede era a cinquecento metri da casa mia. Poi ho iniziato a fare il tirocinante. Finché non ho deciso per l’Università. Mi tentava la facoltà di Architettura. Per fortuna, però, non ho passato gli esami di ammissione. Così, mi sono fatto due anni di DAMS. E alla fine eccomi all’Accademia di Belle Arti.
Andrea Nacciarriti, Connessione [traccia 5], 2005
Beh, in un certo senso il geometra lo fai adesso…
Sì, penso che per la mia attuale ricerca sia stato fondamentale aver frequentato geometri. Il mio insegnante di Costruzioni continuava a ripeterci con sarcasmo che lo saremmo rimasti per tutta la vita, geometri. Aveva ragione: non sono altro che un “geometra” che fa tutt’altro!

E quando hai deciso di fare questo “tutt’altro”?
Non credo che ci si possa inventare artisti da un giorno all’altro. Dubito di poter fissare un momento o un fattore davvero determinante. Potrei inventarmi un aneddoto o riciclarne alcuni …

Quali gli artisti che hai amato?
Sono stato influenzato dal minimalismo, la prima corrente artistica ad occuparsi dello spazio architettonico. Così come da tutta l’atmosfera Radical che, liberandola da sedimentate “procedure” moderniste, è riuscita a collocare l’architettura in una posizione privilegiata rispetto alle arti visive. Anche, a pensarci, dagli artisti Land. Se però mi chiedi di nominare due artisti che ho amato, allora ti rispondo Brancusi e Buren.

Pregi e difetti, se ne hai…
Non mi do tregua. Voglio lavorare in continuazione a nuovi progetti. Mi attira l’idea di avere a che fare con spazi sempre più grandi e più complessi. “Sfidare” i simboli della civiltà, le grandi architetture. Il mio più grande obiettivo è poter intervenire sull’Empire State Building. Un difetto? Quando inizio a progettare un nuovo lavoro, poi fatico ad addormentarmi. Conclusione: soffro di insonnia e perdo tempo.

E nella vita?
Mi piace andare allo stadio, sono molto severo con me stesso. E fumo. Mi “riconosco” con più facilità nel lavoro che nella vita.
Andrea Nacciarriti, Suspension n°220051
Una persona davvero importante attualmente per il tuo lavoro?
Il mio “assistente”, almeno come capita spesso che lo definiscano. È stato indispensabile per riuscire a finalizzare la maggior parte degli interventi che ho prodotto. È molto più di un amico, gli devo tantissimo.

Che ne pensi dell’editoria d’arte in Italia? Ti soddisfa ciò che leggi sul tuo conto?
Aldilà di come viene interpretato il mio lavoro e di chi lo ha compreso meglio o peggio, penso che la critica faccia un lavoro estremamente affascinante quando è slegata da quelle soluzioni schematizzate che sulle riviste d’arte si stanno sedimentando in maniera a dir poco imbarazzante.

Lavori per lo più in situ, questo è ovvio…
Sì, il luogo in cui lavoro è anche il luogo in cui intervengo. E’ anche vero che non posso ancora permettermi uno spazio dove poter lavorare, e se possibile vivere. Mi capita spesso di trovarmi in casa ad assemblare strutture, accumulare materiali, verniciare, tagliare. Proprio in cucina, in camera, in soggiorno. Insomma, niente a che vedere con uno studio vero e proprio…

E’ importante Bologna, per il lavoro che fai?
No, l’idea della città dove sono le tue radici o del posto in cui sono più o meno costretto a vivere non è determinante. Anzi, più che altro ho bisogno di allontanarmi.

Un artista pronto per la ribalta internazionale? E un altro che, invece, consideri sopravvalutato?
Spero di essere io quel giovane artista pronto per il grande salto. Magari anche da sopravvalutato!

exibinterviste – la giovane arte è una rubrica a cura di pericle guaglianone

bio: Andrea Nacciarriti nasce nel 1976 Ostra Vetere (Ancora), vive e lavora tra Bologna e Senigallia. Tra le personali: “Universo Inverso”, Galleria Studio G7, Bologna, a cura di M. Paderni (2005); “La Maison de l’Homme”, Atelier 25, Reggio Emilia, a cura di R. Chiessi e A. Sassi (2002); “Cul De Sac (Spazi Temporaneamente Assenti)”, Interno&DumDum, e AZMZ, Bologna, a cura di A. Zanchetta. Tra le collettive: “Ground Zero (lo spazio del nulla)”, Antico Palazzo della Pretura di Castell’Arquato (PC), a cura di M. Paderni; “Estetica della Resistenza”; Corso Superiore di Arte Visiva, Visiting professor Alfredo Jaar, Como, a cura di R. Pinto e A. Daneri; “Zilch”, Galleria Arte Ricambi, Verona, a cura di A. Zanchetta (2005); “LAB.03”, Viafarini, Milano, a cura di R. Daolio; “Ratio”, Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, Monfalcone, a cura di A. Bruciati (2003). “Libero/Occupato” installazione alla Stazione Centrale di Bologna, a cura di Roberto Daolio e Milli Romano (2001).

[exibart]

7 Commenti

  1. ARTEREPORTER: “Beh, l’occasione di “abusare” di un intero stadio non potevo lasciarmela sfuggire. Alla fine ce l’ho fatta”.

  2. Delle volte una frase può essere male interpretata, rispetto a quello che in verità si vorrebbe comunicare; spesso può essere anche mal riportata, da chi, in verità, costruisce un’intervista… Ma in fin dei conti non è questo che dovrebbe interessarci. Credo che trovare una sottigliezza a tutti i costi, sia così inadeguato e poco opportuno, verso un giovane artista che presenta da tempo una robustissima ricerca; e verso lo stesso Pericle, che acutamente, ci da la possibilità di prenderne conoscenza.
    Conosco il percorso artistico di questo artista, e vi assicuro che non è da meno a nessuno. Del resto, queste stesse immagini riportate, stimolano ad approfondire il discorso, andando guardare le installazioni presentate in altre occasioni espositive.
    Piuttosto trovo che “Connessione (taccia 5)”, sia nella sua costruzione, un segno di una tale leggerezza e semplicità, che ancor più determina l’architettura dello stadio di Como. E se di “pochezza” si vuol parlare, bene, ma riferita al principio di sottrazione che da carattere a quest’opera.

  3. che brutto inizio di frase ‘delle volte’, da evitare accuratamente, una striscia di neon allo stadio? sai allo stadio ne girano altre di strisce, non fanno luce ma fanno molto di piu’e non sono per niente leggere, sono complicatissime, prima della sottrazione ci deve essere l’addizione altrimenti cosa speri di sottrarre? Il Nulla? ahhhhh il Nulla non lo sottrai lo eviti o lo abbracci

  4. Essere male informati non è un reato. Ma usare la propria cattiva informazione contro altri dovrebbe esserlo. L’intervento allo stadio, come molti altri, del resto, è la concreta espressione di quello che in arte si chiama site-specific. Ciò non si riferisce, badate bene, nel caso in questione unicamente all’interazione con le altre “strisce bianche” sul terreno, quanto a fattori di ben più alta estrazione culturale. Uno di questi è il riferimento (forse addirittura citazionistico) ad un acquerello di Mario Radice, l’altro meno esplicito alla croce celtica che si crea dall’intersezione con la linea di centro campo e il disco ad essa riferito. Simbolo chiaramente politicizzato che purtroppo – e sottolineo purtroppo – negli stadi di tutta Italia si mostra ad evocazione di ideali deprecabili su bandiere, striscioni, e quant’altro.

    Riflettere è meglio che curare…

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