12 settembre 2006

architettura_biennale 2006 Biennale statistica

 
Città. Architettura e società mette in mostra i grandi numeri. La progettazione architettonica, scansata già dal tema, non riesce a riapparire propositivamente se non attraverso poche modalità radicali. Alla Biennale d’Architettura del 2006 troppa statistica e poco progetto…

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La scala di lettura urbana proposta da Richard Burdett attraverso il filtro Città, Architettura e società ha trovato impreparate le partecipazioni alla 10° Mostra di Architettura. Complessivamente non è stata dimostrata la capacità di tarare strumenti adeguati alla lettura dei processi posti sotto osservazione. La graficizzazione dei fenomeni connessi allo sviluppo delle città, l’elenco di statistiche ad effetto, le rappresentazioni urbane diagrammatiche o documentarie offerte sono in grado di stupire, solo in qualche caso di interpretare, meno ancora di risolvere. La progettazione architettonica, scansata già dal tema, non è mai riapparsa attraverso modalità propositive nei contesti in esame.
La direzione della mostra ha inaugurato la propria attività con il conferimento del Leone d’oro alla carriera a Richard Rogers. Un evento, che approfondiremo nelle prossime uscite, capace di rivelare l’atteggiamento istituzionale ed impermeabile a stimoli provenienti dal basso proprio della visione globale di Burdett. A Venezia sono in mostra i grandi numeri, i grandi processi trovano rappresentazioni accentuate dalla scala logaritmica, ma ben poco sembra andare verso le persone.
Le partecipazioni nazionali francese ed ungherese hanno sviluppato ricerche unitarie capaci non solo di interpretare, ma di suggerire possibilità di intervento. I risultati migliori si sono ottenuti con questo tipo di ricerche omogenee piuttosto che attraverso partecipazioni frammentate in grado di assicurare visibilità un po’ a chiunque e quindi garantire un certo consenso, offrendo però poca sostanza.
10° Biennale di Architettura, Interno del padiglione francese (foto Cyrille Weiner)
Patrick Bouchain ha guidato l’occupazione del padiglione francese, luogo di successo dell’esposizione. Personaggio ideale da contrapporre all’inerzia degli apparati culturali istituzionali, Bouchain ha ben chiaro che la rigida programmazione della società e della cultura non riesce ad estendere il proprio controllo sui meccanismi dell’urbanizzazione. Identifica negli spazi affrancati che restano privi di definizione i luoghi in cui possono esprimersi iniziative, incontri, ospitalità. I luoghi in cui può realizzarsi una architettura di sovranità comunitaria. Come tutti i cantieri di Bouchain, il padiglione francese è alimentato da competenze diverse e in continuo avvicendamento. I visitatori stessi avvertono la possibilità di smettere le movenze da vernissage ed accettano l’invito ad usare lo spazio. L’ostentata ma divertente modalità squatter non è che lo scenario occasionale di un’analisi chiara e di una risposta radicale.
La penetrazione della comunità cinese ed estremo-orientale a Budapest è stata oggetto di uno studio calibrato su parametri originali. Le abitudini nell’uso della città, le modalità dell’esposizione/accesso ai media, la variazione delle aree di costrizione e libertà connesse alla pratica del guanxi. Lo sviluppo della ricerca si è poi naturalmente diretto verso le competenze che il team ungherese, guidato da Adam Somlai-Fischer, esprime da diversi anni, concentrandosi sulla rivalutazione e rivitalizzazione di una serie di gadget piuttosto antipatici connessi al commercio degli ambulanti cinesi. Attraverso il filtro tematico del low-tech, delle imprese a finanziamento minimo basate sulle reti di relazione, è stata identificata nella cultura del gadget un’intelligenza capace di essere esportata nel campo della progettazione e dello sviluppo.
10° Biennale di Architettura, padiglione francese. (foto Cyrille Weiner)
Inedita e curiosa la partecipazione giapponese, che celebra minime architetture naturali di un recente passato. Case sull’albero, pareti in cordame, formalismi tra casa Flinstones e la moschea di Djenne. La scelta sembra indicare la possibilità di una regressione ad uno stato pre-urbano. Regressione considerata in qualche caso di studio come necessariamente imposta da catastrofi attese e probabili. L’antefatto culturale di questo atteggiamento è certamente negli effetti indotti dal terremoto di Kobe del ‘95 sulla sensibilità sociale giapponese. Un impatto emotivo ancora oggi difficile da tarare, consideriamo soltanto che in quella occasione il governo pianificò il trasferimento della capitale da Tokyo a Gifu. Un passaggio simbolico da una megalopoli antinaturale ad una città capace tradizionalmente di offrire un modello di sviluppo sostenibile.
Come previsto, l’oggetto mediatico principale è stato il progetto della città nuova all’incrocio dei corridoi europei Lisbona-Kiev e Berlino-Palermo. Una dotazione di infrastrutture “destinata sicuramente a determinare una serie di imponenti trasformazioni territoriali” che il progetto di Franco Purini per la città di nuova fondazione VEMA si propone appunto di controllare “sottraendole alla dispersione della città diffusa”.
Parleremo a breve dell’intera operazione, ma proprio il presidente della camera Fausto Bertinotti accennava -inaugurando il Padiglione Italiano- alla “sproporzione tra l’ordine dei problemi che avanzano e le capacità dell’amministrazione di affrontarli”.
10° Biennale di Architettura, Re:orient - Padiglione ungherese
Bene allora l’attivismo clochard chic francese, la capacità di riorentare risorse ungherese, la fuga nei boschi giapponese. Tre reazioni ad una modalità di controllo urbana incapace di essere democratica.

link correlati
www.labiennale.org/it/architettura 
www.reorient.hu 
www.padiglioneitaliano.org 

luca ruali

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6 Commenti

  1. La Biennale è sempre in grado di dividere il popolo dell’architettura tra chi ama e chi odia la scelta curatoriale dell’edizione corrente. Questa volta lo stuolo di commentatori, visitatori e pellegrini dell’arsenale veneziano si è invece diviso tra chi ha detestato il pacchetto Burdettiano (compresa la paccottiglia Puriniana, Maxxiana e D’Amato Guerrieresca) e chi esprime incerti giudizi istituzional-piaggeristici nei confronti del tema metropolitano e sociale che l’evento ha in realtà toccato solo dal punto di vista della comunicazione.
    In sostanza questa edizione della Bienanle non è piaciuta proprio a nessuno.
    Sono d’accordo sull’approccio francese ed Ungherese che hanno vivacizzato la penosa scarpinata ai giardini. All’Arsenale finalmente un pò di architettura, anche se delle solite archistar. Il padiglione della Metropolitana di Napoli ha dato una lezione a Roma ed alla sua ‘sotteranea’ gestione dei progetti per le stazioni della Metro C…

  2. complimenti per il primo articolo completo comparso in assoluto sulla biennale architettura. una volta tanto non si tratta della solita celebrazione dei potenti. aspettiamo gli altri.

  3. grazie. il “primo” articolo apparso sulla biennale è “Décevante Biennale de Venise”, LE MONDE, 10 Septembre 2006, Frédéric Edelmann. i contenuti proposti da Edelmann – come al solito – vanno ben oltre la palmetta di primo arrivato. Da leggere.

  4. Direi che abbiamo visto due biennali diverse…a me è parso che i padiglioni francese e ungherese fossero gli unici dove l’architettura fosse clamorosamente assente…avevavo l’aria più di installazioni per la biennale arte… ma forse io faccio parte di un pubblico troppo “normale”…che ad una biennale architettura vorrebbe vedere soprattutto idee e progetti: questi due mi parevano particolarmentee fuori luogo, in un contesto di padiglioni in alcuni casi anche più interessanti (ad esempio quello spagnolo e quello inglese).

    Mi trovo invece perfettamente d’accordo sul padiglione giapponese, l’innovazione passa di certo dalla riscoperta di idee come quelle proposte da questo padiglione.

    Notevole davvero anche la sezione dedicata al sistema metro/treno di Napoli

    Pessimo e funereo il padiglione israeliano.

    In ogni caso, a ciascuno i suoi gusti…

  5. La Biennale di Venezia “sbarca” a Palermo

    Palermo, sino a gennaio 2007, sarà sede della manifestazione “Città-Porto”, segmento della sezione speciale della 10ª Mostra Internazionale d’Architettura della Biennale di Venezia, nell’ambito del progetto “Sensi Contemporanei”, con la collaborazione della Regione Siciliana.
    Oltre che rappresentare un evento eccezionale per la Città, ricco d’appuntamenti (esposizioni, un premio d’architettura, due cataloghi, un convegno internazionale, una web-television, corsi di formazione), è l’occasione per «affrontare i temi della relazione tra porto e città, oggi particolarmente complessi quanto strategici per lo sviluppo equilibrato dei centri urbani e la crescita competitiva degli scali portuali. Le questioni delle trasformazioni delle cittàporto sono al centro di un profondo interesse, in ogni paese, al fine di studiare e realizzare interventi in grado di migliorare la qualità della vita delle nostre città e di rendere sempre più efficienti i porti, nella sfida del mercato globale ».
    Luoghi fisici della manifestazione l’ex deposito delle Locomotive di Sant’Erasmo, Palazzo Forcella De Seta e la Galleria Expa.
    La biennale a Palermo è da “leggersi” non solo come tappa di un percorso culturale finalmente aperto alla periferia, ma anche e, forse, soprattutto, come riconoscimento a questa Città, di uno sforzo notevole e significativo nella direzione di una crescita importante e senza precedenti, almeno recenti, sul piano sia culturale in generale, sia estetico specifico delle tematiche del “fare architettura.
    Per troppi anni la Città ha vissuto in una sorta di medioevo post-bellico dove il concetto stesso d’Architettura non solo non trovava uno spazio fisico ma finanche, quello stesso spazio veniva invaso sino alla saturazione da oggetti d’edilizia privi d’anima e storia che, come tali, hanno finito col omogeneizzare quasi l’intero paesaggio urbano.
    Non sappiamo se oggi sia troppo tardi, di certo però il tentativo di rileggere la Città, e corregerla, attraverso l’Architettura di qualità, testimonia oltre all’Amore rinato di molti dei suoi Cittadini, anche la sensibilità, in tal senso, dei propri Amministratori.
    Ritengo quindi che tutte le iniziative che vanno in questa direzione siano non solo auspicabili ma, nel caso Palermo, urgenti ed indifferibili.
    Quanto poi al “pensare” questa Città, per dirla come descrive Domenico Cogliandro commentando su “Antitesi” l’evento, come ”…rivolta verso il Maghreb pensando la pianura fluida del Mediterraneo come un territorio i cui sentieri vanno ancora esplorati, e le cui strade tracciate in funzione di una sinergia tra valore della domanda e qualità dell’offerta”, appartiene appunto al dibattito finalmente avviato e, in tal senso, meriterebbe un serio approfondimento in una sede adeguata e non certo nell’ambito di un commento veloce, tuttavia ritengo opportuno evidenziare che Palermo per sua natura rappresenta una Città-Ponte, aperta quindi da sempre alle “contaminazioni culturali” dei nostri vicini mediterranei, tuttavia non può rinunciare al suo ruolo storico di Città Europea, pena la perdita definitiva di una sua connotazione specifica e irrinunciabile che da Federico II alla “Bell’Epoque” l’ha spesso vista protagonista della scena Continentale.

    Arch. Flavio Casgnola

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