17 settembre 2007

biennale_padiglioni Padiglione Italiano

 
Vezzoli e Penone. Un’accoppiata inconsueta per il Padiglione Italiano della Biennale di Venezia, un percorso espositivo a cura di Ida Giannelli che presenta due progetti solo apparentemente disgiunti l’un l’altro...

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La Biennale dei capitomboli, degli amici che se ne vanno. La Biennale del Leone fantasma. La Biennale delle cadute di stile. In questa Biennale della routine e delle visite obbligate, obbligatoria è stata la tappa al Padiglione Italiano, tornato alla ribalta dopo qualche anno di assenza e la cura di Ida Giannelli. Padiglione senza colpa, il congegno ben gestito dalla curatrice ha privilegiato gli artisti Giuseppe Penone e Francesco Vezzoli.
Il malcontento popolare dei comitati antibiennale ha immediatamente rivelato una richiesta di coraggio maggiore nella selezione dei fortunati in mostra, rifiutando lo scongelamento biennale di figure quanto meno assenti nel frattempo, con il motto che “il rischio premia”. Chi ha avuto modo di presenziare alla performance del premio per la giovane arte italiana Nico Vascellari, sa quanto questo non sempre è vero. Non ha sbagliato invece, dall’alto della sua esperienza, Giuseppe Penone che ha orchestrato un percorso monumentale in cui il tema della natura e del suo rapporto viscerale con il corpo umano riemerge prepotentemente.
Giuseppe Penone, Sculture di Linfa
Sculture di linfa, 2007
parte dalla similitudine, concettuale quanto estetica, tra sistema linfatico e funzionamento interno delle piante, per formulare un discorso vitalistico, in cui la linfa è l’ambra preziosa dell’esistenza, sostanza capace di generare –come il miele per Joseph Beuys– calore ed energia, raccolta e celata dall’involucro della pelle. Così strati di pelli, posti a rivestire tronchi, pareti e pavimenti, evocano di volta in volta le corteccie friabili degli alberi, la scorza dura degli animali, le rugosità di un uomo travolto dalla decadenza della vecchiaia, ma anche le asperità delle catene montuose viste dall’aereo, o le dune del deserto quando non tira un alito di vento a scombinarne le sagome, a significare, in una visione quasi cosmogonica che tutto – col raziocinio o senza – deriva da una semplice molecola di carbonio.
Francesco Vezzoli, Democrazy (Demopazzia), 2007, due proiezioni video, colore, sonoro, 1'
Meno preoccupato dal far poesia è Francesco Vezzoli, che ripropone il formato del video Caligula del 2005 per farsi beffe dello scontro elettorale americano tra Hillary Clinton e Barak Obama. Riprendendo nei dettagli i meccanismi delle campagne statunitensi, gli slogan, l’immaginario iconografico imperialista, i volti felici delle famiglie dei candidati, l’atmosfera di calore ed intimità delle loro case, Vezzoli compie una diagnosi di un mondo artificiale, soffocato dalla manipolazione mediatica, che incombe, di cliché in cliché, come un monito anche su di noi. Non si ride e non si piange da Vezzoli, ma nemmeno si soffre. I risultati più entusiasmanti sono in realtà dati dall’accostamento dei due progetti espositivi, singolarmente fruibili come mostre separate, ma omogenee, seppur contrastanti, se considerate parte di un unico meccanismo, che pur con mezzi e presupposti differenti racconta la storia dell’uomo, dei suoi cicli vitali, della sua vita sociale, nel suo rapporto con l’altro.
Pur recitando a soggetto, pur con gli anni sulle spalle, i due artisti hanno saputo dimostrare, in una Biennale senza leoni, di avere ancora qualche significativo ruggito da emettere e di essere perfettamente calati nella contemporaneità, di sapere interpretare meglio di molti giovani i sottili mutamenti che caratterizzao una Storia ancora da redarre. Di questo 2000 resta un quadro chiaro, di un mondo dell’arte che, anche se volesse, non può ancora scommettere sull’immediata novità – salvo alcuni felici casi – ma può insegnargli i presupposti. Di questa Biennale 2007 resta finalmente un Padiglione Italiano che, malgrado gli aneddoti infelici che spesso caratterizzano la letteratura del nostro Paese, non è stata un’occasione mancata.

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