08 ottobre 2009

fino al 22.XI.2009 Albert Watson Milano, Spazio Forma

 
Tutto il visibile può essere, a suo modo, seducente. Watson non mostra deferenza, che si tratti di un volto comune, di un paesaggio o di un divo eccentrico. Immagini cruciali, iconiche, stravolgenti...

di

Molto centrata la metafora che
accosta Albert Watson (Edinburgo, 1942; vive a New York), eclettico e celebrato fotografo d’origine
scozzese, al Bianconiglio di Lewis Carroll. È infatti impossibile dimenticare la
curiosità e la capacità di meravigliarsi del personaggio fantastico che ha
incantato intere generazioni di bambini e che ha fatto riflettere un pubblico
di lettori di tutte le età.
Sulla falsariga di questa premessa
si può apprezzare a pieno la mostra
allestita con grande cura (a cominciare da un’illuminazione impeccabile) in site
specific

dall’artista ed evitare d’incorrere in un facile errore di valutazione:
l’evidente varietà di temi e soggetti, di stili e supporti potrebbe infatti
esser fraintesa e interpretata come un’assenza di autorialità, causando così
una mancata comprensione.
Il percorso, che si articola in
due ambienti, esalta invece la versatilità d’un artista che approccia ogni
soggetto con la stessa apertura mentale, considerazione e passione, che si
tratti di una star, di un uomo qualunque, di un paesaggio o di uno still life.
Il viaggio immaginario prende
avvio accostando alcune grandi stampe in bianco e nero dei primi anni ‘90 (Christy
Turlington
, NYC,
1990; Kate Moss,
Marocco, 1993), esemplari di uno stile classico, con quelle iperrealiste della
serie Las Vegas
(2000), che ricordano alcuni nudi sdraiati di Guy Bourdin. Passando per i ritratti
eccentrici dei divi del cinema (Jack Nicholson, NYC, 1998) e delle rockstar (Mick
Jagger,
LA, 1992)
e quelli di gente comune (Nel parcheggio, Las Vegas, 2000; Linda, Las Vegas, 2001), Albert Watson - Kate Moss - Marrakech, Marocco, 1993 - courtesy l’artistache citano in
modo puntuale alcune inquadrature di William Eggleston della serie Los Alamos (1965-68 e 1972-74).
Infine, i paesaggi desolati e
rarefatti di un’America malinconica alla Edward Hopper si combinano con fotografie di
moda – talvolta minimal (Naomi Campbell, Palm Springs, 1989), talvolta accomunabili alla stage
photography
– o con
immagini concettuali, come quella del guanto di Tutankhamon.
Non stupisce affatto che il lavoro
di una personalità così recettiva si presenti come un intreccio di
stratificazioni. In Watson convergono una sensibilità spiccata per la
composizione, cresciuta anche grazie agli studi di graphic design, e un’abilità
particolare nella creazione di scenari cinematografici (elemento tangibile
negli inediti del 2008: Callie il Coniglio, Kylie, Moscacieca ecc. sono infatti presenze
tridimensionali, così come lo sono i contesti naturalistici nei quali sono
inseriti), che dovrà qualche merito alla film school frequentata a New York.
Watson, inoltre, ha sperimentato
moltissimo la tecnica fotografica e le innumerevoli variabili che derivano
dalla stampa, per godere della facoltà di spaziare e d’incantarsi di fronte a
tutto ciò che attira il suo sguardo. Fino ad arrivare a meravigliarsi anche
mentre apriva le casse delle sue stesse fotografie, qui a Milano.


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al 22 novembre 2009

Albert
Watson –
Il
coniglio bianco

a cura di Alessandra
Mauro

Spazio
Forma – Centro Internazionale di Fotografia
Piazza Tito Lucrezio Caro, 1 (zona Bocconi) – 20136 Milano
Orari: da martedì a domenica ore 11-21; giovedì e venerdì ore 11-23
Ingresso: intero € 7,50; ridotto € 6
Catalogo Contrasto, € 38
Info: tel. +39 0258118067; info@formafoto.it;
www.formafoto.it

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