12 gennaio 2010

decibel_opinioni A place for fans

 
Forse una comunità musicale online non è niente di musicale. Tuttavia, l’evoluzione interattiva del web ha condizionato a tal punto l’identità e il ruolo tradizionali del musicista da renderlo quasi del tutto invisibile in mancanza un profilo online...

di

In pochi anni l’avatar è diventato uno strumento di lavoro
importante per vecchi e nuovi musicisti, una nuova forma di casting on-demand
per festival di musica elettronica, una piattaforma di promozione e
distribuzione di contenuti musicali, un gigantesco archivio autonomo e pubblico
di dati e informazioni, il sostituto infedele ma comodo dell’hi-fi, nonché
ormai il primo e obbligatorio passo per i nuovi adepti in cerca di visibilità.
O di creatività. Concerti, brani, dischi, vecchia e nuova musica, alta e bassa
cultura, sperimentazione, tutto esiste nella misura in cui viene rappresentato
online o, per lo meno, esiste un po’ di più. Internet è un gigantesco
televisore con infiniti programmi.
In un famoso progetto editoriale del 2001, gli autori
Randall Packer e Ken Jordan accostavano la realtà virtuale dei nuovi media
all’idea di “opera totale” di Wagner, invitando il lettore a riflettere sul
ruolo dell’arte e delle comunità online per il futuro della democrazia nel XXI
secolo. Affascinante ma, ci chiediamo noi, che cosa cambia tutto questo sul
piano della musica? Accadono senz’altro cose nuove.
Per cominciare, il musicista della comunità online è
contemporaneamente attore e spettatore, utente e artista. Grazie a piattaforme
come MySpace, l’artista-fan può finalmente uscire dalla sua cameretta ed
entrare in scena, con risultati spesso sorprendenti. In questi anni si assiste
poi a un fenomeno singolare per cui internet, da semplice contenitore
multimediale, si trasforma gradualmente in serbatoio e obiettivo della
produzione musicale stessa. Ad ogni livello della comunità nascono mondi
musicali autonomi dotati di un proprio vocabolario, di miti e figure di
riferimento. Richard WagnerIndipendentemente da che cosa o quanto, ognuno si riconosce come
parte di una nicchia, scopritore di un’élite o, al meglio, membro di una delle
numerose lobby virtuali del macroinsieme.
L’implementazione delle tecnologie informatiche nel campo
dell’intrattenimento domestico ha accelerato a tal punto l’evoluzione emotiva
del singolo individuo e l’alternarsi delle generazioni da produrre un effetto
combinato di sorpresa e rimozione rispetto ai contenuti, i quali vengono
percepiti come sempre-nuovi, mentre in realtà è più spesso solo la forma a
cambiare. Il presente tende a oscillare perpetuamente sul proprio asse, dando
vita a un’archeologia del dettaglio e a un pensiero immobile e compiaciuto.
Dunque Thomas Moreley ascoltato su un impianto hi-fi è musica elettroacustica,
mentre letto sullo spartito o eseguito con gli strumenti dell’epoca in una sala
per musica da camera è musica rinascimentale?
Oggi più che mai la musica non esiste, perché i media la
precedono. Dov’è la musica? Ogni musica ha un suo luogo naturale ed è perciò
diversamente percepita in funzione dello spazio: il rock suona meglio
all’aperto, mentre l’orchestra necessita di un auditorium. La musica dance si
suona ad alto volume in luoghi bui e affollati, la musica leggera è invece
adatta al supermercato o alla stazione. Fare oggi un’esperienza
non-elettroacustica della musica è praticamente impossibile, ma i nuovi media
hanno introdotto un elemento letteralmente spiazzante: la possibilità di
spostare la musica. Non vado dove c’è musica, perché lei può venire con me. Lo
standard elettroacustico introdotto dai nuovi media è pronto per i luoghi più
eterogenei, a casa come in mezzo al traffico, per le piccole casse di un
computer portatile come per l’autoradio. Ma la cosa più disorientante è il
fatto che internet è sempre più sentito esso stesso come un “luogo” per la musica.
Il logo di MySpace
Si moltiplicano i pezzi scritti per la comunità, per
essere fruiti in piattaforma e apprezzati secondo uno schema di domanda e
offerta del tutto inedito, simile al corteggiamento diretto. Un numero
crescente di artisti del suono dichiara di voler recuperare un legame con lo
spazio, ma non sempre sa emanciparsi dal piano multimediale, lasciando poco o
niente su quello materiale. Per cui, paradossalmente, molti lavori di sound art
sono più fruibili online che dal vero, dove risultano spesso meno interessanti
dello spazio in cui sono presentati. Cut&paste, ecco una tecnica
interessante e largamente diffusa nel contesto dei nuovi media, se solo non
fosse sistematicamente mistificata dai suoi stessi utilizzatori secondo un
vecchio modello europeo già noto alla religione e alla politica: disprezza,
copia, rimuovi, senti la colpa, espia.

alessandro massobrio


*articolo pubblicato su
Exibart.onpaper n. 62. Te l’eri perso? Abbonati!

[exibart]


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