20 aprile 2011

fino al 28.V.2011 Andrei Molodkin – Sincere Milano, Galleria Pack

 
Una sorta di ribaltata negazione futurista. Non una macchina lanciata verso l’assoluto, ma un ritmo che torna su se stesso, inceppato, angosciante...

di

La prima visione che si ottiene entrando alla Galleria Pack per la personale di Andrei Molodkin (Boui, 1966), è Fuck you, la sua scultura verbale in resina, al cui interno scorre, se così si può dire, un petrolio opaco e vischioso, simile ad una melma animata dalle variazioni di pressione generate da una pompa idraulica. Ma il senso si perde se non ci si guarda ai lati, il discorso è articolato così: tela, installazione, tela. Lo slogan più statunitense degli ultimi anni, sormontato dal simbolo presidenziale, campeggia in negativo, bianco, sulla grande tela a sinistra ricoperta per la quasi totalità dalle righe blu di una penna a sfera, simili ad ossessive stripes. Tutta a sinistra, distanziata come da una pausa di silenzio, l’ultima parola va alla religione, ma moltiplicata, sovrapposta a se stessa, sfasata, con lettere cubitali che finiscono per non distinguersi, ridotte ad elementi primari: astine poderose come colonne.

Ecco il messaggio per intero: “Yes, we can fuck you. Amen”. L’originalità sta nell’accostare l’utopia contenuta nelle celebri, forse anche inflazionate, parole di Obama, alla distopia contenuta nell’ancor più udita imprecazione. Ma, fuori dagli intellettualismi, pare di leggere l’attribuzione allo slogan americano di una volontà di annientamento dell’altro, o magari, più debolmente, una risposta scurrile e disarmata all’ottimismo progressista e fattivo americano. Niente di nuovo dal fronte orientale. E forse la sorpresa sta proprio qui: la grande Russia sta ancora a questo punto? Ancora un’altra sala dove, secondo la tecnica delle parole sovrapposte e sfasate, l’artista, in due tele realizzate anch’esse a biro, non a caso una in blu, e l’altra in rosso, dà la propria rappresentazione di cosa sia il peccato oggi. Qualcosa di indefinito appunto, dove il SIN si vede e non si vede, o magari, nella precisissima, studiata, affollata confusione geometrica delle linee si può far finta di non vedere e quindi non avere.
Un’idea tutto sommato accattivante ed attuale, ma che non sembra aprire ad un oltre, ad un interrogativo. In definitiva la retorica e il moralismo che stimolano il rifiuto al centro della mostra si rispecchiano in un’arte che è sostanzialmente critica e di poco contributo creativo. Non male l’integrazione nell’opera della componente verbale e quindi il corrispondente utilizzo della penna a sfera: strumento d’arte povera, unico mezzo a disposizione dell’artista durante il suo servizio militare, e, a gara con la matita, tramite e stimolo per scarabocchi e disegnini istintivi di tutti noi. Scelta democratica, insomma, ma anche, se si pensa che l’inchiostro è tagliato col petrolio, ulteriore denuncia al fatto che la realtà attuale – persino nel piccolo di gesti quotidiani come lo scrivere – funzioni grazie alla stessa linfa scura che giustifica le guerre.

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Galleria Pack

Foro Buonaparte, 60 – 20121 Milano

Orario: da martedì a sabato, dalle ore 13.00 alle 19.30 (possono variare, verificare sempre via telefono)

Ingresso: libero

Informazioni : Tel +39 02 86996395;

info@galleriapack.com; www.galleriapack.com.

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