20 giugno 2011

Alzando il coperchio di una scatola grigia

 
Era il 1977 alla libreria Maldoror di Via di Parione a Roma “Francesca veniva a pescare da una scatola di vecchie fotografie. Veniva spesso, ma non l’avevamo notata, con un camicione e i calzettoni al polpaccio, le buste della spesa odoranti di pesce: anguille e aguglie comprate al mercato di Piazza Vittorio – le servivano per le sue fotografie (Fish Calendar)…

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Poi un giorno viene da me con una scatola grigia e mi dice: io sono una fotografa, se vuoi puoi vedere queste foto e farci qualcosa. In quel momento mi sono reso conto di avere a che fare con una persona con una grande vitalità. L’abbiamo rispettata da subito – anche se noi non rispettavamo nessuno. Come noi comunicavamo con i libri, lei comunicava con le foto.” Potrebbe cominciare così il racconto dell’esperienza romana di una giovane studentessa d’Arte americana: attraverso le parole di Giuseppe Casetti, che conobbe Francesca Woodman (Denver 1958 – New York 1981) in quegli anni, comproprietario allora della Libreria Maldoror, che ospitò una mostra dell’artista nel ‘78, proprietario oggi della  Libreria Museo del Louvre che ha ospitato dal 23 maggio al 19 giugno Francesca Woodman photographs 1977/1981. Una mostra di inediti, in buona parte provenienti da un archivio personale tenuto custodito in un cassetto per anni, dopo la morte dell’artista nel 1981. Fotografie, disegni e carte che con la loro dimensione di ricerca e riflessione artistica pongono le basi per la realizzazione dei capolavori fotografici della Woodman, al contempo tracce che documentano la vita dell’artista, che coinvolgono nelle relazioni d’arte e amicizia che sviluppò in quel periodo, facendone rivivere l’intensità e la passione, fino ad un’estremizzazione che non sa di scandalo. Nasce così l’esigenza di passare dal piano della visione a quello profondo del racconto, sedotti dalla forte componente comunicativa di fotografie e disegni che vengono utilizzati come vettori per messaggi anche quotidiani: promemoria, inviti, immagini ricordo di momenti trascorsi insieme, foto bucate e infilate alle maniglie, disegni che, fissati al parabrezza di un’auto, portano ancora i segni del tergicristalli . Opere a carattere relazionale: la serie del guanto, ambientata alla gelateria Fassi, in cui Francesca figura insieme all’amica Sabina Mirri; Cristiano Riso e Ricotta, fotografie con interventi grafici, che rimandano alle abitudini alimentari di un amico, “Cristiano”, pseudonimo all’epoca di Giuseppe Casetti, e raccontano di un invito a cena dall’artista.

Una piccola libreria-museo dal nome magniloquente, composta di un’unica stanza, in Via della Reginella, nel ghetto di Roma, si è rivelata tappa determinante per conoscere un’artista che, a trent’anni dalla morte e con una produzione ridotta perché interrotta dal suicidio, muove gli animi delle nuove generazioni e trasporta persone di ogni età in giro per il mondo. “Il giorno dell’inaugurazione  – dichiara Casetti– ho trovato centinaia di ragazze sui vent’anni davanti alla libreria, non si riusciva ad aprire. Non pensavo che dopo tanti anni ci potesse essere questa identificazione.” Tocca le corde femminili delle adolescenti di ogni tempo il suo mettersi a nudo ed insieme essere romantica. Non si tratta di un’affermazione femminista, ma di una curiosità di se stessa in rapporto con il mondo esterno, rapporto in cui il corpo fa da tramite. “Lei viveva molto nelle sue foto, per capire come stava nello spazio” racconta Casetti. La fotografia viene quindi utilizzata per confrontarsi in maniera autentica con gli strati più intimi e veri del proprio io e per sperimentare con sincerità, apertura, e senza difese un rapporto con lo spazio vuoto, che rimanda alla presenza di un altro da sé, spettatore ma anche giudice, alla cui osservazione ci si sottopone.  Il rapporto con gli spazi tornerà anche in opere future, dalle architetture studiate o frutto di performance appositamente progettate, ma riesce con meravigliosa naturalezza nelle fotografie realizzate da Enrico Luzzi nello studio di Giuseppe Gallo in via degli Ausoni mentre Francesca Woodman prepara l’ambiente per alcuni scatti fotografici (1977-1978).

Ma cosa spinse l’artista ad avvicinarsi alla Libreria Maldoror? Francesca venne a Roma nel 1977 con un programma europeo della Rhode Island School of Design di Providence, che aveva ed ha tuttora luogo presso Palazzo Cenci. “Incominciò a frequentare Maldoror per il suo amore per il Surrealismo. Amava molto Duchamp e le avanguardie, e in quel periodo la libreria si occupava proprio di avanguardie, era come una wunderkammer… c’era anche una rivista di Scienze degli anni ’30 che proponeva invenzioni impossibili, ad esempio i raggi che fanno sparire, di cui sembra di vedere gli effetti in certe foto di Francesca, dove il corpo diventa una macchia indefinita e mossa come sul punto di smaterializzarsi (Ravenna)”

La mostra romana anticipa la grande retrospettiva dell’artista che si terrà al MoMA di San Francisco sempre nel 2011 e poi al Solomon Guggenheim di New York nel 2012; ma l’ideazione è stata del tutto indipendente: “è un anno che preparo questa mostra e l’ho fatto per chiudere un ciclo”. Il ciclo delle mostre di Francesca Woodman curate da Giuseppe Casetti inizia con quella del ‘78 presso Maldoror, ripresa nel ’95 – dopo un periodo di ricercato oblio, in cui queste immagini erano state confinate dentro un baule per allontanare il ricordo della morte di un’amica – con una mostra comparsa pochissimo sulla stampa, che doveva durare 20 giorni e alla fine durò 6 mesi per il tam tam della gente che chiedeva di prorogare. Tappa successiva fu “Roma Providence New York” tenutasi al Palazzo delle Esposizioni nel 2000, determinante per il successo dell’artista in Italia e base per la creazione di un archivio su Francesca Woodman: le opere e i materiali prestati per l’evento furono fotocopiati e messi a disposizione di studenti che stavano scrivendo una tesi sull’artista, tesi che andava poi a confluire nell’archivio stesso e messa anch’essa a disposizione di altri. La mostra romana appena terminata chiude il ciclo aprendo questo “cassetto”, rendendolo un bene pubblico in cui anche lettere e disegni sono considerati come delle fotografie. E se la mostra poteva dirsi “mutilata”, perché molte opere sono state vendute o perse, l’intero è nel volume che l’accompagnava, Francesca Woodman photographs 1977-1981 di Giuseppe Casetti e Francesco Stocchi edito da Agma. Non un testo di critica, ma di poesia, aneddoto, sogno, un libretto grigio che rimanda con il suo aspetto alla scatola che diede il via alla storia romana di Francesca Woodman. Un libretto che giungerà nel 2011 e nel 2012 fino al Moma e al Guggheneim, facendo provare anche oltre oceano la sensazione di aprire una scatola e scoprire un’artista.

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Francesca Woodman Milano, Palazzo della Ragione

a cura di anita fumagalli

dal 23 maggio al 19 giugno 2011


Francesca Woodman photographs 1977/1981


A cura di Giuseppe Casetti


Libreria-galleria il museo del louvre


Via della Reginella 28 – 00186 Roma


Info: tel. +39 0668807725; info@ilmuseodellouvre.com; www.ilmuseodellouvre.com

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