16 maggio 2012

Hong Kong. L’ultima volta della Cina, prima dell’incrocio svizzero

 
Arriva Hong Kong International Art Fair, per la quinta e ultima volta con il nome di “Art HK”. L'anno prossimo il sipario che si alzerà sulla fiera dell'ex colonia inglese sarà firmato Art Basel. Stessa location e qualche galleria in meno. Ma cosa porterà l'arrivo di Basilea dall'altra parte del globo? Il grande mercato cinese e una solida no tax area, oltre a una commistione commerciale. Che a Hong Kong si sente già. Dal tempo della sua storia [di Matteo Bergamini]

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L’opening al pubblico è fissato per domani, oggi invece prima visione per stampa e addetti ai lavori, all’Hong Kong Convention and Exhibition Centre, HKCEC.
Per l’ultima volta porterà il nome “Hong Kong Art Fair”, e presenterà 266 gallerie provenienti da 38 Paesi in tutto il mondo. Lo sponsor ufficiale è ancora Deutsche Bank, che si è detta lieta di collaborare con una fiera che «mette in mostra il meglio dell’arte contemporanea dalle gallerie più importanti del mondo».
Una rassegna che ha avuto una crescita esponenziale, con un’escalation brevissima nei suoi soli cinque anni di vita, facendosi riconoscere internazionalmente come il luogo ideale per uno scambio tra i mercati rappresentando, allo stato attuale, il mix più amalgamato tra partecipazioni asiatiche e occidentali, che a Hong Kong sfiorano infatti la par condicio perfetta. 

Ma, come già annunciato da Annette Schönholzer e Marc Spiegler, i co-direttori di ArtBasel e ArtBasel Miami Beach, è già in preparazione la prima ArtBasel Hong Kong per il prossimo maggio, che sostituirà la popolare fiera della città-Stato. Tutto era partito l’anno scorso quando entrò, come nuovo azionista di maggioranza della società Asian Art Fairs Limited, la svizzera MCH Group, già titolare delle fiere targate Basel, afferrando una quota pari al 60 per cento del capitale dell’impresa asiatica.
Le cose probabilmente non cambieranno particolarmente: Magnus Renfrew, il direttore di Art HK, è già stato nominato con lo stesso incarico per l’Art Basel asiatica, nella prima edizione che andrà dal 23 al 26 maggio 2013, e che conterà circa 250 gallerie. Più o meno lo stesso numero attuale. E di certo per i galleristi non cambierà la “fairtigue”, come vi avevamo raccontato in una news qualche giorno fa, dovendo continuare a passare da Bruxelles, a Colonia e Città del Messico nel mese di aprile, Frieze New York all’inizio di maggio e pochi giorni dopo ad Art Hong Kong, fino alla madre Basel a giugno.

Tant’è, ma la domanda più spinosa è ovviamente rivolta al mercato. Alle sue flessioni e “riflessioni” con l’arrivo, in territorio cinese, di una nuova manifestazione che già dal titolo avrà in sé tutta la magnificenza e l’eloquenza della regina delle fiere occidentali. Certamente Basilea non è arrivata alla cieca, ma ben consapevole che, forte dei suoi oltre 60mila visitatori nell’edizione 2011, Hong Kong è una delle più importanti fiere al mondo. Secondo le parole del direttore Renfrew, quest’anno la presenza di Art Basel ha avuto un ruolo di consulenza e di dare nuova stabilità a una fiera nata in qualche modo già forte, che con l’ingresso del colosso svizzero avrà un incremento di «un maggior numero di occidentali. E questo porterà più collezionisti dall’Europa e dagli Stati Uniti». Ecco uno dei punti salienti. Il fatto di mantenere, anche in futuro, la formula 50-50, dove il carattere orientale della fiera non può, e non deve, tramontare, ma più che altro essere inglobato nelle dinamiche del mercato occidentale. Assaltare insomma la roccaforte dei grandi numeri del mercato asiatico e dei suoi collezionisti e artisti, in continua ascesa.
E così, come si influenzano i mercati asiatici, anche le gallerie occidentali possono guardare a Hong Kong come un florido porto dove approdare nei prossimi anni, come già hanno intuito le maggiori case d’asta mondiale, che  nella città-stato hanno recentemente messo radici. Poi c’è un fattore di spinta forse ancora più decisivo. Hong Kong, se non proprio un paradiso fiscale, è un’area molto agevolata in materia di tasse, mentre il paradiso fiscale svizzero ha i giorni (più facilmente gli anni) contati.  

I prossimi nomi che sbarcheranno nella baia saranno di sicuro la parigina Perrotin, Simon Lee e Pearl Lam, la galleria d’arte contemporanea e design più dinamica della Cina, che aprirà i suoi spazi in città proprio il 16 maggio, presentando una selezione di pittura astratta cinese dal 1980 a oggi. Sette artisti curati da Gao Minglu, curatore della mostra sulle avanguardie cinesi al National Art Museum di Pechino nel 1989, una delle più grandi mostre di arte contemporanea orientale mai realizzate nella stessa Cina. Per la prima volta, in questo caso, Pearl Lam indagherà i vari approcci informali legati anche all’occidente e viceversa, anche attraverso i saggi di Minglu e Paul Moorhouse, curatore dalla National Portrait Gallery di Londra. Un’influenza che viene immediatamente definita fluida, su un versante e sull’altro, con Robert Motherwell ispirato alle calligrafie del Sol Levante. Anche in questo caso la poetica si mischia. Anche col mercato? A Hong Kong poi arriverà anche White Cube, che ha pubblicamente dichiarato che dopo la partecipazione ad ART HK ha deciso di aprire una sede qui. Perché trattasi  di un porto franco, facilmente raggiungibile, nessun onere per l’importazione e l’esportazione dell’arte e nemmeno per la vendita. In più si parla inglese, e non c’è nessuna forma della censura che invece persiste in Cina.

Gli italiani in fiera, come annunciato, sono Massimo De Carlo, Lia Rumma, Continua, Galleria d’Arte Maggiore di Bologna, Brancolini Grimaldi, doppia sede a Firenze e Roma, e Lorcan O’Neill della capitale, alla sua prima partecipazione. Nella sezione di “Art Futures”, dedicata alle gallerie d’arte che sono nate nel 2004 o successivamente, e che potranno mostrare uno o due artisti under 35 anni, c’è alla sua seconda partecipazione Francesca Minini, con una doppia esposizione di Giulio Frigo e Simon Dybbroe Møller. Un premio di 25mila dollari verrà assegnato all’artista giudicato il migliore in questa sezione. Anche in questo caso c’è una par condicio di provenienza dei giudici: Okwui Enwezor, Direttore dell’Haus der Kunst di Monaco di Baviera, Elaine W. Ng, editore di  ArtAsiaPacific, e Lars Nittve, Direttore di M+, lmuseo di arte contemporanea di West Hong Kong, Kowloon Cultural District. E poi c’è l’italo-francese Tornabuoni Arte, esempio perfetto di come anche il mercato sia un grande ibrido. Forte del successo inglese alla Tate Modern, a cui la galleria ha prestato diversi pezzi, ad Art HK la sede parigina della galleria proporrà in vendita una delle tre “mappe” più grandi al mondo di Alighiero Boetti, di circa 6 metri di lunghezza. Il direttore Michele Casamonti spiega: «Nel momento in cui i nostri artisti del Dopoguerra sono sempre più rappresentati con importanti esposizioni nei grandi musei internazionali, e si veda Boetti al Reina Sofia, Tate e MoMA, Burri al Guggenheim l’anno prossimo e Fontana al Museo d’arte Moderna di Parigi nel 2014, la galleria Tornabuoni Arte ha scelto la fiera di HK per presentare il primo solo show di Boetti in Asia. Una mostra concepita specialmente per la nostra prima partecipazione a questa fiera internazionale, selezionando 20 opere di qualità museale per raccontare l’intera vicenda artistica del padre dell’arte povera». Non solamente Mappe, ma che Biro, Arazzi, e alcuni Tutto.

E secondo il direttore della fiera qual è il mercato di Hong Kong? Il presente e quello a cui si deve aspirare? «È collegato con l’Asia in generale, non riguarda solo Hong Kong o la Cina». E questo rende la fiera grande. E appetibile. Con un interesse constante, puntato a prendere sotto la propria ala gallerie che hanno progetti a lungo termine. E forse una presunta idea di fedeltà al colosso nascente. Che si misura anche nei ritorni. Quest’anno infatti vi sarà una nuova versione dell’Art HK Projects, sezione che ha debuttato alla manifestazione lo scorso anno. Dieci installazioni giganti con cento metri quadrati di spazio dedicato l’una, disseminate per gli stand e curate di Yuko Hasegawa, Chief Curator del Museum of Contemporary Art di Tokyo. Protagonisti, tra gli altri, un’installazione floreale di Yayoi Kusama, presentata da Gagosian Hong Kong e Hoto di Tatsuyo Miyajima, della SCAI The Bathhouse di Tokyo, installazione raffigurante una torre in acciaio specchiato di sei metri d’altezza con oltre 3mila contatori digitali a LED disposti sulle sue pareti.

Non può mancare, giustamente, un po’ di sana autarchia in fatto di Asia, altrimenti l’implemento dei mercati sarebbe anche in questo caso una vana idea: la sezione “Asia One” è aperta alle gallerie che hanno uno spazio espositivo nella regione, compresi anche Paesi come Turchia, Nuova Zelanda e sub-continente indiano. Una serie di istituzioni che potranno presentare una mostra personale di un artista asiatico, senza limite di età o di provenienza. L’idea è quella di fornire una nuova visione ad ampio raggio della scena contemporanea nel continente, sostenendo gli artisti che stanno creando un lavoro interessante e le gallerie che li sostengono. Attraverso una piattaforma internazionale dove mostrare i loro punti forti, sensibilizzandone il mercato.

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