31 agosto 2012

Impara l’arte e mettila a profitto

 
Le aule, i corridoi e persino la mensa della Business School dell'università di Chicago propongono opere di arte contemporanea. Molto gradite alla futura classe dirigente. E non acquistate casualmente, ma con un programma preciso, un budget e una commissione che ne decide l'acquisizione. Ci racconta tutto il curatore della collezione. Di un'impresa che da noi pare essere un esempio improponibile [di Ludovico Pratesi]

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È nata nel 2004, e in soli otto anni è considerata la più prestigiosa collezione universitaria di arte contemporanea di tutti gli Stati Uniti, esposta all’interno del Charles Harper Center, sede della Chicago Booth, la Business School dell’università di Chicago. L’edificio in alluminio e vetro, realizzato dall’architetto americano Rafael Vignoli, accoglie opere di 75 artisti internazionali, esposte nell’atrio, nei corridoi e nelle sale comuni dove si formano i futuri manager della East Coast, mentre il cortile esterno accoglie Idee di Pietra (2010) una spettacolare scultura di Giuseppe Penone. «È l’opera più costosa che abbiamo acquistato per la collezione», spiega Canice Prendergast, il professore di economia che cura l’intera raccolta. «Sono sempre stato un appassionato di arte contemporanea – racconta – e quando mi hanno chiesto di iniziare una collezione non mi sono tirato indietro».

Insieme a due professionisti di prestigio come Suzanne Ghez, direttrice della Renaissance Society e James Rondeau, curatore di arte contemporanea dell’Art Institute, coadiuvati da Suzanne Booth e Dean Valentine, noti collezionisti internazionali, Prendergast acquista ogni anno una dozzina di opere, selezionate ad Art Basel Miami o a Frieze, per un budget annuale di 350mila dollari. «Le proposte possono arrivare da ognuno di noi, ma l’acquisto avviene soltanto quando siamo tutti d’accordo, senza eccezioni», sottolinea il curatore.

Così è successo per le fotografie di Wolfgang Tillmans, una ventina di immagini di diversi formati collocate al piano terra, dove si aprono le aule. «Non abbiamo potuto acquistare i soggetti più esplicitamente erotici, perché ci troviamo in un’università, e in un caso ho chiesto all’artista di cambiare il titolo di un’opera, che faceva riferimento ad un gay club, ma nel complesso non ci sono limitazioni agli acquisti». Così sono arrivate all’Harper Center 25 fotografie scattate nei primi anni Ottanta dal regista russo Andrej Tarkovsky di grande poesia, la serie di stampe digitali Constellation Series (2005) dell’americano Paul Chan, oltre ad un’importante opera di Tacita Dean The Russian Ending (2001) che potrebbe far parte della permanente di un museo di medie dimensioni. Un posto di rilievo spetta alla pittura astratta, che fa parte dei “must” del gusto statunitense, con opere di Mark Grotjan, Sergej Jensen e Ellen Greutemeier, accanto a Assassini che mangiano, un dipinto di Alessandro Pessoli acquistato nel 2005 da Anton Kern, gallerista di New York. «La faccia scura di uno dei due uomini ritratti da Pessoli mi ha creato non pochi problemi con i nostri alunni di pelle nera. Ho dovuto spiegargli che si trattava di due criminali nazisti, che non avevano nulla a che fare con discriminazioni razziali», racconta il curatore. «Con mia grande sorpresa gli studenti sono molto più interessati dei professori alla nostra collezione: si informano, chiedono, vogliono conoscere il significato delle opere, esprimono le loro preferenze».

Un interesse che ha convinto il curatore a collocare due lavori fotografici nella mensa comune: scatti dell’africano Zwelethu Mthethwa e del cinese Sze Tsung Leong. «Purtroppo non abbiamo molte opere di artisti africani o asiatici, perché per molto tempo ci siamo concentrati su tedeschi e americani. Ma vogliamo allargare i nostri orizzonti». Non mancano invece ottimi esempi di artisti sudamericani, come il messicano Damien Ortega e la brasiliana Rivane Neuenschwander, per non parlare di maestri dell’Arte Concettuale come Hanne Darboven o Bernd e Hilla Becher. «Abbiamo avuto la fortuna di comprare opere di emergenti di talento come Jeppe Hein, Raymond Pettibon o Jonathan Meese prima che diventassero troppo costosi, perché oggi non potremmo più permetterceli».

La collezione della Chicago Booth è una testimonianza di come la collaborazione tra istituzioni e privati possa funzionare in maniera egregia, con risultati di ottima qualità, anche dal punto di vista didattico. «Per sapere di più abbiamo anche un sito, interamente dedicato alla collezione: art.chicagobooth.edu», conclude il curatore. Un esempio che università italiane come la Bocconi, la Normale, la Cattolica o la Luiss potrebbero seguire senza troppe complicazioni, per promuovere la nostra arte contemporanea in un contesto prestigioso e utile per educare le future classi dirigenti ad apprezzare i migliori artisti di oggi e di domani.

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