15 gennaio 2013

L’intervista/Bruna Roccasalva Un’altra porta per il buco della serratura

 
Si spierà dall'ex zona industriale di Milano dove è già di casa Lia Rumma. Ma i programmi e la grinta di Peep-Hole non cambiano. Stessi anche i curatori che l'hanno fondato. Che ripartono, a febbraio, da via Stilicone con nuove mostre e progetti. Ma sempre con quell'identità ibrida tra spazi alternativi anglosassoni e Kunstverein tedeschi. Come racconta a Exibart Bruna Roccasalva

di

Peep-Hole annuncia un futuro – ma ormai imminente – trasferimento in Milano, alla Fonderia Battaglia, Via Stilicone 10. Lascerà così il 14 febbraio 2013 lo storico spazio di Via Panfilo Castaldi (già galleria Massimo De Carlo, già studio e abitazione di Patrick Tuttofuoco) nel quale, con forze autonome e senza scopi commerciali, Peep-Hole ha saputo costruirsi un’identità innovativa e partecipativa basata su proposte attente alla complessità contemporanea e costruite su nuove strategie culturali e organizzative.
È un ristretto team di persone quello che, con un’attività quotidiana stratificata, con relazioni professionali, rapporti d’amicizia nazionali e internazionali, ha permesso a Peep-Hole di vincere una scommessa fatta in Italia. Al centro di una Milano che si è affacciata al nuovo millennio, stanca e ripiegata su se stessa, e iniziando nell’attualità di una crisi che morde gli enti privati e pubblici più solidi. Dentro questo contesto, senza una pregiudiziale lettura giovanilistica o esterofila (forse questo uno degli aspetti internazionali più convincenti accanto a quelli di un’imprenditorialità di taglio sperimentale) l’avvio di una seconda fase di attività in una nuova sede, trovata dopo lunghe ricerche. Con lo spirito di un’istituzione, Peep-Hole oggi è un’associazione che opera nella dimensione partecipativa e relazionale senza perdere l’evidenza e la responsabilità di scelte curatoriali libere e distinte che s’intrecciano criticamente con relazioni e opportunità istituzionali. Ne parliamo con Bruna Roccasalva, una dei fondatori.

Che cos’è Peep-Hole e chi ne progetta, cura e organizza le attività?
«È un luogo in cui da quattro anni ci si confronta e si prova a immaginare quale può essere il ruolo e il futuro dell’istituzione d’arte. Peep-Hole è uno strano ibrido tra gli Alternative Space anglosassoni e i Kunstverein tedeschi, ma fatto in un Paese come l’Italia, dove questi due modelli non potrebbero esistere. Il programma è curato da me e Vincenzo de Bellis che, insieme ad Anna Daneri, siamo anche i fondatori di Peep-Hole. Al nostro team si è unita poi Stefania Scarpini».
Quali sono stati i presupposti di nascita del progetto nel 2008 e quale è stato il suo programma e le sue caratteristiche sino ad oggi?
«Peep-Hole è nato dalla necessità di creare un’istituzione specifica anche per sperimentare una struttura ibrida come quella di cui parlavo prima. Il nostro programma espositivo consiste in quattro mostre ogni anno, dedicate a giovani artisti o ad artisti già consolidati all’estero, ma alla loro prima mostra in Italia. Per citare qualche esempio, abbiamo realizzato esposizioni di Renata Lucas, Mario Garcia Torres, Francesco Arena, Rosalind Nashashibi, tutti giovani o relativamente giovani ma già noti a livello internazionale; ma anche esposizioni di artisti più “maturi” come Corrado Levi o Pavel Büchler. La nostra attività non si limita ai progetti espositivi. Abbiamo organizzato incontri e seminari, come quello con Dora García; pubblichiamo il trimestrale di scritti d’artista Peep-Hole Sheet, che ha avuto i contributi, tra gli altri, di Liam Gillick, John Miller, Massimo Grimaldi, Matias Faldbakken, Karl Holmqvist, Jimmie Durham, Lara Favaretto, Nick Mauss, prossimo numero, in uscita a fine Gennaio, con Paul Sietsema. Una costante della nostra politica istituzionale è attivare connessioni attraverso collaborazioni con altri centri d’arte nazionali e internazionali. Sono tante le istituzioni con cui abbiamo collaborato in questi anni, come la Kunsthalle di Zurigo, l’Istituto Svizzero di Milano, la Galleria Civica di Trento, Museion di Bolzano, il Contemporary Art Center di Vilnius, il Padiglione Spagnolo della 54a Biennale di Venezia con Dora García, il CAC Centre d’Art Contemporaine di Brétigny, la Nomas Foundation di Roma e recentemente Portikus di Francoforte».

Su quali economie si è basata sino a oggi l’attività di Peep-Hole e perché avete sentito la necessità di cambiare sede?
«L’economia di Peep-Hole, che è un’associazione culturale senza scopo di lucro, si è basata all’inizio esclusivamente sul supporto degli artisti che hanno donato delle opere a sostegno dell’attività e della programmazione, artisti che ad oggi sono oltre cento. Nel corso di questi anni a questa forma di fundraising si sono aggiunti contributi da ambasciate e istituti di cultura per la realizzazione dei singoli progetti e nel 2012 abbiamo ottenuto dei fondi dalla Fondazione Cariplo. Per quanto riguarda il cambio di sede, lo abbiamo fatto per ragioni di natura meramente pratica: lo spazio all’interno del quale eravamo non era più disponibile. Questo è quello che può accadere quando non hai una sede pubblica, che rimane ancora oggi un nostro obiettivo. Questo trasferimento in un nuovo spazio arriva tuttavia nel momento giusto, perché dopo quattro stagioni per noi era diventato necessario confrontarsi con una scala diversa di progetti e una tipologia differente di spazio, proprio nell’ottica di continuare a rinnovarsi e sperimentare che è ciò che uno spazio come il nostro deve fare».
Cambieranno le linee della vostra attività futura, l’economia e la struttura dell’organizzazione e delle relazioni?
«Il nostro approccio e la nostra politica istituzionale non cambiano, cambierà il nostro programma, ma solo nel senso che si arricchirà di nuove collaborazioni e progetti off-site. Nel corso del 2013 saremo al Museo del Novecento di Milano, con la seconda serie del progetto Effetto Venturi e al Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce di Genova, dove cureremo un progetto biennale sull’editoria sperimentale, The Book Society. Nel nostro spazio invece, dopo la mostra inaugurale, ospiteremo ad aprile la Kunst Halle Sankt Gallen con un progetto di Kilian Rüthemann come parte del ciclo Six Ways to Sunday».

Come descrivereste oggi il vostro rapporto con Milano?
«Ottimo. Milano è una città con grandi potenzialità, una città nella quale abbiamo creduto e crediamo ancora, l’unica in cui si può realmente lavorare sul contemporaneo in Italia».
Con quale progetto inaugurate il 14 febbraio la nuova sede?
«Con una personale di John Henderson, un giovane artista americano (Minneapolis, 1984) che seguiamo da un po’, e che presenterà un progetto composito e ambizioso; siamo molto felici di inaugurare la nuova sede con la sua mostra».

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui