17 marzo 2013

READING ROOM Anna Detheridge, Scultori della speranza. L’arte nel contesto della globalizzazione, Einaudi 2012

 
Anna Detheridge, Scultori della speranza. L’arte nel contesto della globalizzazione, Einaudi 2012
di Andrea D’Ammando
Se l’Arte Concettuale disegna un atlante delle emozioni

di

Un’arte che accoglie al proprio interno la difficile contingenza del reale ha bisogno di uno sguardo eticamente consapevole e di una narrazione altrettanto impegnata in grado di metterne in luce gli aspetti più significativi. Questo è il presupposto, dichiarato in apertura e sotteso all’intera trattazione, che ha guidato Anna Detheridge nella realizzazione di Scultori della speranza. Non è un testo di introduzione teorica all’Arte Concettuale, né una ricostruzione storico-artistica che sorvola dall’alto le vicende più importanti di un dato periodo per restituirne un quadro più o meno sistematico. Quello della Detheridge, al contrario, è un racconto denso e stratificato, sentito emotivamente e partecipato moralmente, che si muove al confine tra due istanze principali: da un lato la volontà di gettare luce sui presupposti più importanti che hanno portato alla nascita e allo sviluppo del movimento dell’Arte Concettuale, e dall’altro la necessità di tracciare un percorso che renda conto delle implicazioni più incisive che quelle esperienze hanno avuto sul rinnovato modo di fare arte, dagli anni Sessanta fino ai nostri giorni.

Se l’arte è, e vuole rimanere, momento esemplare dell’esperienza, dopo la tragedia bellica e la frattura con il passato che quelle tragiche vicende hanno provocato essa non può che farsi carico del bisogno collettivo di una riorganizzazione del senso comune: al di là della reazione dell’Arte Informale, ciò che appariva necessario era una rinegoziazione dei significati e delle esperienze prodotte e condivise intersoggettivamente. Detheridge così illumina di senso, in modo del tutto appropriato, le ricerche linguistiche minimaliste, l’apertura alla contingenza della vita e alle relazioni collettive di happenings e performance, l’uscita dall’istituzione-museo della Land Art. Lontane dal presentarsi come semplice contestazione del mondo artistico, tutte le ricerche del periodo pongono in essere un ripensamento degli spazi e dei momenti in cui la comunità umana si costituisce come tale, un ripensamento che verrà a porsi come punto di riferimento imprescindibile per molte delle esperienze artistiche successive.
Ed è proprio nell’analisi dell’eco che quelle ricerche hanno avuto nei decenni a venire che la ricostruzione della Detheridge mostra alcune delle sue peculiarità più sorprendenti: l’autrice, nella ricchissima panoramica offerta, lascia intendere una profonda e vasta conoscenza dei maggiori protagonisti del pensiero e dell’arte degli ultimi cinquant’anni, senza però che un arido citazionismo comprometta il confronto in prima persona con quella “disperata speranza” di riorganizzazione sociale e artistica che ha animato molti dei protagonisti presi in considerazione.
Senza perdere mai il filo di un discorso complesso, l’attenzione dell’autrice spazia attraverso campi di interesse differenziati, con l’intento di sottolineare pratiche e azioni contemporanee capaci di confrontarsi con i problemi più significativi della società globale. Dalla gestione dello sviluppo urbano e degli spazi sociali fino alla comprensione del territorio come spazio dell’esperienza condivisa, emancipatosi dunque dall’idea di paesaggio che si offre alla contemplazione, l’analisi della Detheridge si articola attraverso un percorso che da Smithson e Matta-Clark giunge fino ai collettivi e gruppi europei degli ultimi anni, passando per la fotografia di Mulas e Ghirri. L’idea di un’arte che affronta i problemi del reale accogliendoli al proprio interno e che mette in discussione la capacità di comprensione che di quel reale viene proposta percorre il testo come un filo rosso, capace di collegare ricerche eterogenee nel tempo e nello spazio: le mappe di Boetti, le pratiche situazioniste, le azioni di Beuys, appartengono tutte a vario titolo ad una visione dell’esperienza artistica capace di incidere sul quotidiano. 
Una forma d’arte, quella contemporanea analizzata dall’autrice, interessata al coinvolgimento diretto dello spettatore e alla relazione con gli spazi condivisi. Su questo terreno, l’analisi messa in campo mostra il coinvolgimento diretto di Detheridge, che non si limita al semplice riconoscimento dei tratti artistici peculiari, ma si impegna a fondo nell’invocazione di un’Arte Pubblica e Relazionale in grado di operare attivamente nella realtà sociale presa in carico: non un’Arte Pubblica tout court, spesso coinvolta a pieno titolo nei terribili progetti di riqualificazione urbanistica e architettonica piovuti dall’alto di istituzioni cieche, quella a cui Detheridge si richiama, ma al contrario una precisa gamma di esperienze in grado di coinvolgere attivamente comunità e spettatori nello stesso processo di ideazione degli interventi. 
L’impegno soggettivo è sempre presente, lungo tutto l’arco del testo, uscendo fuori a tratti in modo perentorio all’interno delle diverse trattazioni dedicate alla situazione italiana, indicative dell’equilibrio precario – e per questo ancora più apprezzabile – tra giudizi di valore e ricostruzione distaccata e informata.
Quello offerto dalla Detheridge è un percorso lungo e ricco di suggestioni. Un lavoro che fugge dogmatismi dal sapore accademico o specialistico, ma che dal confronto costante con punti di riferimento importanti trae beneficio per lasciare aperti spazi di riflessione individuali e collettivi su alcune delle questioni più importanti della contemporaneità artistica e politica: esattamente quello che serve in un momento storico e sociale come quello attuale.

di Andrea D’Ammando

Autore: Anna Detheridge

Titolo: Scultori della speranza. L’arte nel contesto della globalizzazione

Editore: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2012
ISBN: 9788806210526
Pagine: 360
Prezzo: 35 Euro

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