13 luglio 2013

Un’epoca da lasciare andare, con una processione di due mesi e mille chilometri. Tre domande a Simona Bramati e Michele Mariano

 

di

La processione di Carletto

“La Processione di Carletto”, ovvero due artisti, due asine e un cane. E comincia un “viaggio”, che porta dal Sud verso il Nord della penisola, dal Molise al Friuli, in un “infimo inizio”. Un’impresa di “Disertori in avanti”, per raccontare un ciclo dell’arte contemporanea che si è chiuso. E per spiegare che è di nuovo ora di mettersi in movimento. Sono Michele Mariano e Simona Bramati i due “temerari” che percorreranno mille chilometri, da Montagano, in provincia di Campobasso, sede della Koma Gallery, con l’arrivo dopo due mesi a Polcenigo, in provincia di Pordenone. Ci raccontano di questa avventura “d’altri tempi, di tutti i tempi” proprio i due artisti.
La processione di Carletto”. Sembra un progetto d’altri tempi, un film quasi pasoliniano, una scrittura da “Uccellacci e Uccellini”. Com’è nato, e perché, il progetto di questo “pellegrinaggio-processione”?
«Si in effetti molte cose accomunano la nostra processione a Uccellacci Uccellini, in questo risulta un progetto d‘altri tempi e aggiungiamo di tutti i tempi! Il corvo che viene zittito alla fine del film, nella nostra processione invece viene zittito all’inizio: non si può dare il via ad un qualcosa se prima non si è conclusa la precedente tappa. L’idea è stata suggerita direttamente da Carletto, l’asina mamma che è la protagonista della scultura postuma di Michele www.trigger.es. Insieme con Simona si è iniziato a lavorare sulla reale fattibilità dell’impresa. La motivazione: viviamo in un periodo storico di mutamento; siamo nell’”infimo inizio”, non si può stare alla finestra a guardare, bisogna mettersi in movimento e a chi se non agli artisti spetta il compito di fare il primo passo?
Mettersi in movimento non significa spostarsi da un luogo ad un altro, mettersi in movimento significa rivedere totalmente se stessi, ripensarsi, e senza legami col passato predisporsi al futuro senza timori. Ecco perché si chiama processione e non viaggio, nella processione la meta è il viaggio stesso».
C’è qualcosa che volete “dimostrare” con questo “Infimo Inizio”? Un ritorno e una ripartenza che interrompa il “normale” svolgimento velocizzato delle azioni contemporanee, anche dell’arte?
«Stiamo vivendo uno dei periodi più belli e interessanti, quello del cambiamento, siamo nell’infimo inizio. L’infimo è l’impercettibile inizio del movimento del principio opposto e contrario all’egemonia che ha raggiunto la sua massima espansione. Pochi vedono questo impercettibile movimento, questo segno visibile di ciò che è fausto. Meno che meno lo vede l’ArtWorld, troppo impegnato a trovare l’ultimo affare prima dell’ora di chiusura. Invece l’Uomo di valore non appena vede l’infimo passa all’azione, senza attendere la fine della giornata.
L’artista è quell’uomo di valore? Noi pensiamo di sì, a patto che riprenda quel cammino dove l’arte è pensata come percorso evolutivo del pensiero umano e il cui obiettivo sia quello di aprire un nuovo livello superiore, cominciando dalla ridefinizione della parola artista e del suo ruolo.
In realtà l’artworld non è veloce, ma completamente fermo, da più di 20 anni, e anche qui si continua a pronunciare la parola crisi invece di salutare un fallimento e una fine. Per noi non si tratta quindi di crisi ma di “fine naturale”, che va salutata con un Finalmente!! 
Mettersi in movimento quindi non per interrompere, ma per sancire la fine di una cosa che come dice Kant ne “La fine di tutte le cose” «infine deve pur cadere il sipario. Perché alla lunga diverrebbe una farsa; e se gli attori non se ne stancano perché sono pazzi, se ne stanca lo spettatore, che a un atto o all’altro finisce per averne abbastanza se ha ragione di presumere che l’opera, non giungendo mai alla fine, sia eternamente la stessa».
La fine dunque costituisce la premessa indispensabile dell’inizio di qualcosa di differente. Cosa avviene se non si ha il coraggio di porre fine ad un’esperienza, ad una fase della vita privata o collettiva, ad una istituzione che non ha più ragione di esistere? È probabile che essa ad un certo punto da un giorno all’altro collassi.
Ciò che caratterizza l’esperienza estetica è dunque il compimento: l’azione diviene “bella” nella misura in cui io mi impegno in essa, mi dedico ad essa, combatto per la sua piena estrinsecazione. Il contrario di un’esistenza estetica è una vita che va alla deriva, che non ha né capo né coda, né inizio né termine; oppure è un’esperienza che ha un cominciamento, ma che viene abbandonata per ignavia, viltà, inclinazione al compromesso, desiderio di “quieto vivere”, ossequio alle convenzioni»
Come sarà organizzato il viaggio? Vi saranno tappe simboliche e soste programmate? Che spazio sarà dato al caso?
«La Processione è organizzata per l’incontro di genti e luoghi, portando la voce dell’arte come momento di crescita, per liberare le idee, i sogni e le speranze. Come in ogni processione che si rispetti si usano mezzi semplici, essenziali, senza artifici: il camminare a piedi con l’aiuto di due asini, simbolo di sacrificio ed impegno, un cane simbolo di fedeltà e vicinanza e due artisti, simbolo di idee e di futuro.
La processione è strutturata in “stazioni” così come nella Via Crucis, le tappe assumono valore per il fatto di viverle, quindi saranno tutte simboliche. Per ora possiamo segnalare la prima stazione ovvero la partenza, quella del 15 luglio, come dicevamo prima, non si può dare inizio a un qualcosa se prima non si è conclusa quella precedente. Partiremo da Faifoli, un’abazzia nei pressi di Montagano in Molise, dove studiò e prese i voti Papa Celestino V, il Papa del Gran rifiuto, uno di quelli che ha saputo mettere finire ad una cosa. Per noi quel luogo è un luogo del no, da cui tutto può nascere. Lungo il tragitto abbiamo stabilito degli incontri, ma il resto sarà dettato dal caso, che non è mai un caso essendo noi convinti di vivere la condizione di Amletizzazione dell’eroe, cioè quella condizione per cui la tragedia non dipende da un’azione compiuta ma da un’azione da compiere».

2 Commenti

  1. Non si inizia una nuova era con una modalità espressiva vecchia (così al volo mi viene in mente quello in bicicletta di nagasawa negli anni 60 e quello + recente di Andreotti caló

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