19 luglio 2013

Roba che scotta: sono capolavori rubati che bruciano. Finisce in cenere il bottino trafugato dal Kusthal di Rotterdam, nel 2012

 

di

Henri Matisse, Ragazza che legge in bianco e giallo, 1919
Testa di Arlecchino, di Pablo Picasso, dipinta nel 1971; Waterloo Bridge, London e Charing Cross Bridge, London del 1901, di Claude Monet; Ragazza che legge in bianco e giallo, di Henri Matisse, datata 1919, Donna davanti a una finestra aperta, di Paul Gauguin, 1898; Autoritratto di Meyer de Haan, dipinto nel 1890 e Donna con gli occhi chiusi, di Lucian Freud, quadro del 2002. Ve li ricordate? Erano la refurtiva che un gruppo di ladri aveva sottratto all’interno del Kusthal di Rotterdam, nello scorso ottobre, tra le sale della mostra “Avanguardie”. In questo caso il passato è, però, un tempo verbale obbligatorio, perché la refurtiva non c’è più.
Si arricchisce di una nuova storia che ha dell’incredibile la cronaca dell’arte: i pezzi rubati dal Kunsthal sarebbero stati bruciati in Romania, dalla madre di uno degli autori del furto -già arrestato.  «Un crimine contro l’umanità». Così ha definito il gesto il direttore del museo nazionale di storia della Romania, Ernest Oberlander-Tarnoveanu.
Le opere, secondo la versione riportata dalla donna, al vaglio degli inquirenti, sarebbero state nascoste nel villaggio di Caracliu, ma l’arrivo della polizia avrebbe messo in agitazione la madre che avrebbe buttato tutto in un forno con legna da ardere. Le autorità hanno rinvenuto resti che potrebbero effettivamente essere quanto rimane delle opere e che sono state, per ora, sottoposte ad analisi. Tra i 100 e i 200 milioni di euro svaniti letteralmente in fumo, in una storia che sta facendo il giro del mondo e che sembra a dir poco di fantasia. Ma non sarebbe di certo l’unico caso di una trafugazione finita in tragedia: tempo fa vi avevamo raccontato anche del Caravaggio e della sua Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, che il procuratore antimafia Pietro Grasso aveva dichiarato probabilmente divorato dai porci, in una cascina fuori Palermo, alla fine degli anni ’60.
In questo caso però è stata forse la “roba che scotta”, impossibile da rivendere per la sua fama e valore, a spaventare gli sciagurati. E a mettere nella tomba sette capitoli di storia dell’arte. 

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