16 settembre 2013

La Lavagna

 
di Luca Bertolo
La stella-sole. Altre note sulla 55ma Biennale di Venezia

di

La grande bellezza
La Biennale di Gioni è bella, molto bella. Ne sono uscito un po’ frastornato, eccitato, ammirato, commosso. Visitare la Biennale a settembre offre qualche vantaggio, specie se si leggono o ascoltano pochi commenti su di essa nei mesi precedenti. Sia come sia, dopo la visita mi sono ritrovato a parlarne con degli amici, tra cui Tiziano Scarpa, di cui ho poi letto in seguito testo molto bello e che consiglio vivamente (www.ilprimoamore.com/blogNEW/blogDATA/spip.php?article1150). Le note che seguono prendono spunto anche da quel testo e da quelle conversazioni…   
Insiders/Outsiders #1
È strano, a volte avvengono dei rovesciamenti e ci vuole tempo per accorgersene: per un secolo è parsa cosa ovvia che gli artisti fossero degli outsiders, dei “di fuori”, sia socialmente (vita da bohème) che psicologicamente (infinita sarebbe la lista dei morti di fame, degli squilibrati e dei suicidi, da Van Gogh ad Artaud). Seppure indirettamente, questa mostra rende manifesta una nuova condizione dell’artista, quella dell’insider, di colui che sta dentro… Ma dentro a cosa? Al “gioco” culturale, certo, ma anche ai giochi di potere/carriera, alle cene con collezionisti e curatori, alle sottigliezze ludico-concettuali…  L’artista insomma sarebbe un privilegiato oltre che, in quanto iperconsapevole, l’esatto opposto del naïf… Un tempo frequentava  le stesse osterie di ladri, puttane ed emarginati – oggi si occupa semmai di reinserirli nella società (cfr varianti della public art)…
Il Palazzo Enciclopedico di Marino Auriti, all'ingresso dell'Arsenale
La casa di Breton
Come fa giustamente notare Scarpa, quello del Surrealismo è il grande fantasma che aleggia sull’intera mostra. Ed è vero che André Breton (più che il Surrealismo nella sua complessità) nutriva una certa sfiducia per la dimensione estetica in quanto tale; racconta il fotografo Brassaï, pur amico ed estimatore di Breton, che «bastava che un’opera rientrasse nel programma ideologico del Surrealismo per essere accettata come buona» e «buone opere potevano essere accettate per ragioni sbagliate». Del resto, come sosteneva già tanti anni fa Franco Fortini, il Surrealismo ha perso la sua battaglia non perché le sue idee siano state respinte ma, al contrario, perché la cultura di questa società (tardo capitalista, postmoderna, dello spettacolo) si è appropriata di esse evitando di passare attraverso una rivoluzione che ne sovvertisse la struttura di dominio e sfruttamento… È interessante che due opere esposte in mostra si riferiscano direttamente al gran maestro del Surrealismo: la Mask of André Breton, di René Iché, e un video (di cui ho dimenticato l’autore) che utilizza immagini della sua casa-collezione parigina. Guardando quest’ultimo (poco riuscito come opera, ma interessante come documentazione – capita spesso) mi sono reso conto che l’intera Biennale di Gioni è una specie di ingrandimento della collezione di Breton… 
Friedrich Schröder-Sonnenster, 55ma Biennale di Venezia
Didascalia e Vocazione
Mi ha sorpreso piacevolmente scoprire che in tanti abbiano notato la qualità delle didascalie, una sottocategoria del testo critico troppo spesso sottovalutata. Talmente mi piacevano che durante una pausa sono andato a cercare sulla guida: ma chi sarà questo CW? (Chris Wiley). La quasi totalità delle didascalie dedicate a opere di non artisti hanno la forma del breve racconto biografico (a metà tra l’anamnesi clinica e le vite dei santi) che in genere comincia proprio nel momento dell’evento risolutivo/scatenante: l’illuminazione, l’infortunio, le voci sentite una mattina… E mi viene in mente il quadro dipinto da Sigmar Polke nel 1969 intitolato come la scritta che contiene al suo interno: Höhere Wesen befahlen: rechte obere Ecke schwarz malen! (Esseri Superiori ordinano: dipingere di nero l’angolo destro in alto!). Il rapporto decennale tra Polke (insider) e la dimensione del soprannaturale e i suoi adepti (outsiders) è un buon esempio di come ci si possa incontrare, senza per questo dover abolire i confini disciplinari: ironia e allo stesso tempo accorata partecipazione – autoironia. È  della stessa sostanza il sorriso che mi si stampa sulle labbra quando vedo il Palazzo enciclopedico di Auriti o i palazzi simbolici di Rizzoli, gli incredibili disegni di Schröder-Sonnenstern, o quelli di Hilma af Klint…  li sento come dei fratelli, dei fratelli inadatti per il servizio militare… Se non bastasse quanto ho già detto fin qui per essere tacciato di neo-naïf, escapist, tardo romantico ed esistenzialista disimpegnato eccovi la prova finale. Questa mostra mi fa venire in mente il termine vocazione. Termine quanto mai negletto, oggi, e che nel settore arte-contemporanea suona astruso come, diciamo, transustanziazione o lipomania. Eppure a pensarci bene, l’immagine della vocazione mi pare ancora utile per spiegare quel fenomeno stranissimo che spinge migliaia di persone (comprese quelle che vivono nelle situazioni più disagiate) a fare cose apparentemente inutili con una cura pazzesca e un talento fuori dal comune, senza averne in genere alcuna ricompensa immediata (sto parlando degli artisti, ndr)…  

Il Palazzo Enciclopedico, Venezia, Giardini-Arsenale 55ma Biennale di Venezia 2013


Insiders/Outsiders #2 (È  una questione di qualità, anche)
Nei suoi libri Henry Miller ha mostrato che l’umanità più vivace può ben essere rappresentata da una serie di spostati, sradicati, fissati e mistici, di cui alcuni sono artisti propriamente detti. Ma Scarpa pone una questione importante quando si/ci chiede se a questo punto vada messo tutto nello stesso calderone, se dei dipinti tantrici usati per la concentrazione o i fogli compilati ossessivamente da un mistico casalingo abbiano diritto allo stesso tipo di considerazione di un quadro, di un video o di una performance. La risposta implicita di Scarpa è no, non foss’altro che a causa di quella che giustamente ricorda essere una delle fondamentali acquisizioni dell’estetica occidentale, il concepire l’opera d’arte come una creazione che trascende sia i bisogni che le aspettative del proprio autore per farsi universale, oltre a non avere un significato chiaro (per non parlare dell’assenza di valore d’uso); a questa tesi mi associo volentieri. Tuttavia, credo che manchi un punto essenziale per rendere davvero interessante questo dilemma: quali quadri, quali video, quali dipinti tantrici, quali fogli compilati ossessivamente? E in effetti quello che avrebbe potuto essere un  punto debole della mostra di Gioni non lo è, e non lo è perché, come è stato evidente per tutti,  le “opere” dei cosiddetti outsiders, quelle opere scelte da Gioni e dai suoi collaboratori possiedono una qualità sconcertante. In questo caso trovo salutare che, pur  forzando un po’ la correttezza ontologica, si obblighi il pubblico (tra cui gli artisti) a riconsiderare ciò che ha davanti ripartendo da capo – non proprio ex nihilo ma almeno ex sensi bus. Lo trovo salutare proprio in un momento in cui progetti, meta discorsi e cultural studies sembrano saturare le pratiche di artisti e curatori. Ovviamente la questione non si risolve così facilmente, poiché la qualità, l’inafferrabile qualità, anche quella apparentemente più fisica, dipende tanto dalla cosa quanto dal giudizio che se ne dà, giudizio che a sua volta dipende dal contesto, dalla conoscenza, dalla sensibilità etc.  È un vecchio dilemma, forse insolubile, ma sempre utile da sondare quello del giudizio di valore… Nella sua magnifica collezione privata, oltre ai Matisse e ai Degas, Picasso custodiva gelosamente alcune tele del Doganiere Rousseau, non quadri qualsiasi di altri pittori cosiddetti naïve – e si peccava di saper riconoscere a prima vista i falsi Rousseau ogni volta che gli venivano propinati da mercanti poco accorti…
Una mostra fatta per gli artisti, per fornire loro dei materiali
Così mi ha detto una mia amica artista mentre visitavamo assieme la biennale. Probabilmente non ci crede nemmeno lei, ma mi sembra un bel pensiero…
Massimiliano Gioni
Insiders/Outsiders #3 (la guerra tra poveri)
Mi hanno riferito di molte critiche all’impostazione di Gioni (Gioni lo spietato, Gioni l’amico dei potenti) riconducibili più o meno a questa: all’apparenza ti propina degli outsiders come fossero dei puri, ma in realtà, a guardare le etichette, si capisce che sono già tutti o quasi preda di gallerie pronte a un profluvio di profitti. Mi pare una critica un po’ stupida: io partirei piuttosto dal presupposto generale che alla Biennali (come a Documenta etc.) le opere della stragrande parte degli invitati appartengono a quegli operatori del mercato in grado di sostenere la manifestazione stessa oltre che la carriera futura del curatore. E non mi pare che Gioni abbia mai lasciato intendere che la gran quantità di artisti non professionisti invitati (per la maggior parte defunti, poi) abbia alcun significato etico, almeno non nel senso di anti-mercantile. Un po’ più brillante – perché gioca sull’ambiguità del termine – un’altra critica: perché selezionare tanti outsiders fuori dal mondo dell’arte e quasi nessuno nel mondo dell’arte, cioè artisti sconosciuti, o che non lavorano (per scelta o sfiga), con gallerie commerciali? Ma, a parte quanto ho già detto sopra, credo che il punto interessante – ed è un punto davvero critico – sia quello di chiedersi cosa significhi oggi outsider … 
Di questa Biennale ci ricorderemo solo il nome di Gioni
Così hanno detto o scritto alcuni. Obiezione respinta: io ricorderò, se non i nomi degli autori (ma Sonnestern/ Stella-sole è talmente bello) almeno delle immagini; e se anche queste si sfocheranno nel tempo, ricorderò la sensazione di quell’energia… Gioni, al contrario di tanti suoi colleghi, ha rinunciato qui a un percorso fatto di opere il cui unico pregio è quello di illustrare amabilmente banali discorsi sulla tecnologia, sull’impegno, sulla globalizzazione… semmai si tira indietro e lascia che le contraddizioni cantino… 
Padiglione Biennale, Venezia
Insiders/Ousiders #4 (La concorrenza sleale)
In molti hanno osservato, con un misto di meraviglia e fastidio, che da questo confronto tra insiders e outsiders i primi, cioè gli artisti professionisti, sembrano uscirne sconfitti. Peggio: visitando la mostra si comincia pian piano a guardare agli artisti con un misto di compassione e fastidio proprio per il loro (apparente) distacco dalla materia del loro fare, quasi fossero impiegati dell’arte… Non sono d’accordo. Prima di tutto credo che molti artisti siano – non sembrino – degli impiegati dell’arte (o meglio della cultura) e dunque questo problema va collocato ben al di qua della Biennale di Gioni. Secondo, mi pare che i buoni artisti, per non parlare dei grandi artisti, non solo non temano tale concorrenza ma l’abbiano in un modo o nell’altro sempre cercata. Terzo, davvero pensiamo che abbia senso trincerarsi dietro divisioni che in ultima analisi (tra l’altro contraddicendo palesemente l’unanime politically correctness) richiamano il concetto di normalità? Normale, di qua, anormale di là… Vi sembrano normali opere come Plötzlich diese Übersicht (Fischli und Weiss) o Das Loch (De Gruyter e Thys)? Giusto per citare due capolavori in mostra… No, la qualità – in arte più ancora che nella vita in genere – è sempre a-normale, è sempre out-sider – dico una banalità? Intanto le affascinanti sequenze mute dei super-8 di João Maria Gusmão e Pedro Paiva sembrano chiederci di fare silenzio e smettere di argomentare… 
l matrimonio delle mucche 
Vorrei allora chiudere questa serie incongrua di osservazioni non con un’idea né con un’opinione, ma con due sequenze tratte dal bel video di Neïl Beloufa (Kempinski). 1. Notte, esterno, campagna. Luce al neon che lampeggia. Altro piccolo neon tenuto in mano da un ragazzo di colore. Siamo immersi nel nulla. Sorride. Racconta di un matrimonio i cui partecipanti sono mucche e vitelli, ci saranno anche i musicisti… 2. Interno, buio, Africa. Lo stesso ragazzo, con una luce in mano, spiega con dolcezza di non aver bisogno di aerei o telefoni cellulari per collegarsi con ogni luogo del mondo, lo può fare mentalmente. Più avanti dice: “Se parli a loro, anche le automobili ti parlano”. Luci che lampeggiano…  

1 commento

  1. Come dire: “tanto rumore per nulla..”.
    La Biennale è stata il solito balletto di lavori inutili, ovvi, autoreferenziali che guardano da un’altra parte rispetto a cosa stà accadendo nei singoli paesi…………la festa dell’Accademismo che venera le Avanguardie senza costruire nulla di nuovo

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui