26 febbraio 2014

Ascolto, dunque sono

 
di Giuseppe Pietroniro

Una play list adrenalinica per caricare bene la giornata. Ma anche una cura, quasi un angelo custode. Questo è la musica per l’artista romano

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Viaggio, lavoro o semplicemente ozio, cerco sempre di organizzare una colonna sonora. La musica mi tiene compagnia, accompagna i miei pensieri, modifica, amplifica e gestisce il mio stato  d’animo. È come un angelo custode, presente in ogni istante della vita, qualunque sia il mio umore. La musica ha sempre bisogno di qualcosa di nuovo, qualcosa da dare, ma anche di qualcosa da ricevere, perché anche i brani musicali, perfetti o imperfetti che siano, hanno bisogno di ricevere delle “sensazioni”. La musica ci insegna, ci cura e ci accudisce. È tutto e il contrario di tutto.  
Generalmente la prima cosa che faccio la mattina in studio è ascoltare per poco tempo Radio Lifegate in streaming, per distendere i muscoli sonori, rilassare la mente e organizzare la selezione di una breve playlist che mi farà compagnia. Ouverture con Sunday Morning, brano di apertura del primo album dei grandiosi The Velvet Underground. Con la sua sonorità acida,  fantastica e cristallina mi carica e mi proietta nella New York underground degli anni Sessanta e in particolare all’esperienza della Factory. Pubblicato nel 1967, il brano è interpretato dalla straordinaria voce soave e graffiante di Lou Reed, anima oscura e sotterranea della cultura “alternativa” americana, ma anche precursore, con il suo genio, del fenomeno punk, new wave e noise. L’album nasce dalla collaborazione di Nico, personaggio carismatico e di spicco della New York dell’epoca e dal genio della Pop Art Andy Warhol, il quale, oltre a realizzare la copertine dell’album, finanziò parte della produzione. 
Per mantenere il livello di carica emotiva e sogno americano, ecco Blister in the Sun dei Violent Femmes, dall’album di debutto del 1982, Violent Femmes. Uno dei miei gruppi preferiti di sempre, mi accompagna dal periodo del liceo. Il brano, bellissimo e intenso, mi carica di energia estiva, potrei ascoltarlo in loop senza annoiarmi. Contaminato da invenzioni punk rock/country alternative, e da un violino indisciplinato, è accompagnato dalla voce acida e dalla chitarra tagliente del loro frontman, Gordon Gano
Per continuare in crescendo adrenalinico, un bel coast to coast.  Mi ritrovo  esattamente a Los Angeles con Stop dei Jane’s Addiction, band formatasi al crepuscolo degli anni Ottanta. Il brano è estratto dal terzo album Ritual De Lo Habitual ed è una miscela esplosiva di energia, recitato dalla voce quasi femminile, perforante e tagliente, del loro cantante, leader, inventore e poeta, Perry Farrell. «Ci vuole una visione periferica. Solo così puoi vedere il centro», diceva agli esordi con la band in una delle sue formidabili performance. Saluto la mattinata con un crescendo musicale di energia pura e ritmo asfissiante. Killing in the Name, è il primo singolo dei Rage Against the Machine, estratto dal loro omonimo album di debutto, del 1999. Frutto della Los Angeles inquieta degli anni Novanta. Killing in the Name è un brano potente e nero. Con una decisa presa di posizione politica, rappresenta una delle canzoni più famose di questa band. Nel testo viene affermato che alcuni membri delle forze dell’ordine degli Stati Uniti farebbero parte del Ku Klux Klan, ma tutto l’album è una dichiarata denuncia politica.
 Il pomeriggio cerco di moderare le energie, la carica e il mio stato d’animo. Inizio con Tango Till They’re Sore di Tom Waits dall’album Rain Dogs, progetto discografico del 1985, con ballate fantastiche, ricchissimo d’invenzioni musicali e cantato con la sua inconfondibile voce ruggine e miele, ormai devastata dall’alcol. Poeta dannato, cantore per eccellenza dell’America underground, Tom Waits con il suo stile inconfondibile è uno dei cantautori più importanti dell’intera storia del rock.
Per mantenere positivo il mood pomeridiano, continuo con Just a Gigolo di Louis Prima, singolo straordinario, musicato con sonorità jazz e swing anni Trenta, e interpretato con la sua voce rauca, decisamente non bella, ma affascinante e avvolgente, accompagnata dall’immancabile tromba. Nato è cresciuto nella New Orleans degli anni Trenta, ma di origine italiana, con le sue sonorità swing mi porta in un’America che non ho vissuto, ma che conosco dal cinema, quella del proibizionismo e del gangster gentiluomo. 
Sempre in tema jazz continuerei con uno dei classici del genere: Take Five dall’album Time Out del 1959 di The Dave Brubeck Quartet. È uno di quei brani in cui freschezza e leggerezza del sax, del contrabbasso, del pianoforte e il ritmo della batteria si fondono sapientemente, potrei ascoltarlo per ore. Il disco è famoso per essere stato il primo album jazz a superare il milione di copie vendute e per aver portato il jazz ad un vasto pubblico. Pomeriggio inoltrato, sono pronto per un aperitivo prima di cena, il sole è calato e tutto è più morbido, mi accompagno con un buon vino e con Time after Time dall’omonimo album di Chet Baker, uno dei più sensibili e delicati jazzisti mai esistiti. Il brano mi riporta indietro nel tempo, regalandomi momenti intensi e atmosfere intime. Quasi soffiata e accompagnata da un delicatissimo piano che culla, dolcemente, la voce di Chet Baker.

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