23 aprile 2014

Il “Tacco” visto con gli occhi dell’arte Cinque realtà a confronto

 
Ecco la Puglia radicale attraverso cinque storie nate negli ultimi anni. Tra pessimismo della ragione (il network dell’arte è ancora debole rispetto agli altri) e ottimismo della volontà. E come dappertutto le realtà alternative offrono spunti di riflessione molto intensi. Qui cinque soggetti pugliesi si raccontano. Mission e progetti per il prossimo futuro all’interno di una regione vitale, ma un po’ complessa

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Un talk di Vessel organizzato nel Teatro Margherita di Bari, 2013. Courtesy Vessel
Tra un atavico dibattito sulla presenza o meno di un museo d’arte contemporanea in città, il progressivo sviluppo di realtà museali come la Fondazione Pascali di Polignano a mare e il MUST di Lecce e gli sforzi continuativi di realtà come il Torrione Passari di Molfetta, la Puglia si conferma terra di sollecitazioni notevoli per quanto riguarda l’arte contemporanea. Ma molta strada c’è ancora da compiere sotto il profilo degli spazi pubblici, soprattutto per garantire programmazioni continuative e di respiro internazionale, mentre alcune realtà private e “alternative” (occhio alle virgolette) si stanno facendo strada con idee curatoriali forti e talvolta radicali. Abbiamo perciò intervistato i referenti di cinque distinte “situazioni”, per capire mission e sviluppi, con tre domande (uguali per tutte) secche.
1. Viviana Checchia e Anna Santomauro. Vessel, Bari
Quando è nata Vessel e quali sono le vostre principali missioni?
«Vessel nasce nel 2011 a Bari grazie al supporto della Regione Puglia attraverso il bando Principi Attivi. Vessel è una piattaforma curatoriale per lo sviluppo di un pensiero critico legato a problematiche culturali, sociali, economiche e politiche attuali che da un lato sono legate al territorio e dall’altro possono essere affrontate con strumenti e metodologie condivise in una geografia più ampia: approcciamo i nostri temi di interesse usando gli strumenti che l’arte e la cultura offrono in un’ottica multidisciplinare e inclusiva. Abbiamo scelto di affrontare queste tematiche attraverso linguaggi diversi rispetto a quello espositivo, muovendoci in un territorio di confine tra l’arte, la pedagogia e la pratica sociale». 
Operate in Puglia, una regione ultimamente abbastanza attiva ma per certi versi ancora difficile per ciò che riguarda il sistema dell’arte. Qual è il vostro parere in merito e come vi ponete rispetto alle realtà attive in questa regione?
«La Puglia è un territorio estremamente interessante, soprattutto considerando le grandi trasformazioni che lo stanno attraversando. Le politiche legate all’innovazione sociale e all’iniziativa giovanile hanno fatto di questa regione un caso unico nel Sud Italia, una specie di modello virtuoso a cui rifarsi. In questo clima di rinnovamento e attivazione brulicante ci sono tuttavia dinamiche ben consolidate e alle volte ostiche da affrontare per chi cerca di affermare una pratica indipendente e in parte critica rispetto al sistema esistente, e soprattutto per chi come noi e molti altri lavora nella totale precarietà e flessibilità. Ci siamo scontrati spesso con la scarsa complicità di istituzioni come l’Università e l’Accademia, che il più delle volte non proviene tanto da scelte individuali quanto da un sistema schizofrenico fatto di tempistiche, economie e metodologie divergenti. Ci sono molte realtà indipendenti che operano in Puglia in questi anni, tutte con profili diversissimi, (solo per citarne alcune Doppelgaenger e ArtCore a Bari, Ramdom, Damage Good e Ammirato Culture House a Lecce): credo che la sfida più grande ora sia creare sinergie reali che possano trasformare queste costellazioni di iniziative in terreno fertile».
Progetti per il futuro?
«Siamo reduci dal bando Che Fare al quale abbiamo partecipato con il progetto Terra Piatta, che mira alla creazione di un hub di ricerca e di produzione artistica, sociale e culturale per/nell’area denominata Capitanata, in cui convergano le buone pratiche già esistenti sul territorio ad opera di organizzazioni, associazioni e individui che progettano e lavorano per la riqualificazione dell’area e per la valorizzazione del territorio, e una rete internazionale di artisti e operatori culturali interessati all’emancipazione sociale di contesti rurali e semi-rurali. Pur essendo arrivati alla fase finale del concorso non abbiamo ottenuto il fondo, quindi i prossimi mesi saranno dedicati al fundraising per la realizzazione del progetto. Inoltre accompagneremo il progetto Tre Titoli di Nico Angiuli a Cerignola: a partire dal bando Arte patrimonio e diritti umani di Connecting Culture si è avviato – nello specifico contesto Dauno – un percorso di comprensione della presenza migrante intesa come elemento “culturante” dell’identità italiana e quindi locale; ci si è messi in ascolto per giungere ad una proposta progettuale che riconnetta le vicende di questi nuovi cittadini, alle storie dei lavoratori – e delle lotte per il lavoro – condotte in Puglia tra ‘800 e ‘900, riportando in luce le azioni del giovane Giuseppe Di Vittorio (all’epoca non ancora segretario nazionale CGIL) e della Lega dei contadini. La proposta progettuale vede la partecipazione attiva dell’istituzione Casa Di Vittorio con sede a Cerignola (FG) e del Gruppo curatoriale Vessel, oltre al CRSEC e al laboratorio urbano Ex-Opera.  Il consueto International Curatorial Workshop non avverrà a giugno, ma stiamo lavorando a un’edizione autunnale».
Il cortile interno di Ammirato Culture House. Courtesy ACH
2. Luigi Negro. Ammirato Culture House, Lecce
Quando è nata Ammirato Culture House e quali sono le vostre principali missioni?
«Ammirato Culture House è nata tre anni fa. Nasce all’interno di una vecchia discussione tra diverse realtà della Provincia di Lecce, di questa provincia finita di significato. Questa discussione era anche in atto con la Fondazione Musagetes, con cui siamo cresciuti sulla missione comune: occuparci della società attraverso il filtro dell’arte. Ammirato Culture House è nata come strumento del rapporto che Alessandra Pomarico ed io abbiamo costituito in stretta collaborazione con altre realtà. Abbiamo scelto un luogo che aveva anche una dimensione estetica notevole. Il Comune di Lecce è stato subito attivo nella relazione co
n la Fondazione Musagetes dandoci in comodato d’uso uno spazio molto bello e difficile. Siamo riusciti ad avere diverse realtà: da quelle teatrali guidate da Ippolito Chiarello, presidente dell’associazione ACH, a Transadriatica; poi abbiamo una serie di attività di pratiche sociali, tra cui Orti di guerra, la biblioteca di quartiere, lo spazio per le mostre e per le residenze. Il quartiere attorno all’Ammirato è molto complesso, abbiamo tentato un dialogo, ancora in corso, con gli abitanti, e questa è un’altra delle nostre fondamentali missioni. La lentezza è un presupposto che ci contraddistingue anche in termini progettuali, che hanno sempre una fondamento partecipato, condiviso». 
Operate in Puglia, una regione ultimamente abbastanza attiva ma per certi versi ancora difficile per ciò che riguarda il sistema dell’arte. Qual è il vostro parere in merito e come vi ponete rispetto alle realtà attive in questa regione?
«La Puglia ha moltissimi potenziali ma non ha ancora espresso e sviluppato energie collettive. Ci sono energie individuali, autarchiche. Non c’è un vero dialogo tra queste realtà, spesso è più facile trovare un dialogo all’estero, anziché in Puglia e in Italia. L’apprezzamento va su alcuni fronti, come la Fondazione Pino Pascali a Polignano a mare, o realtà private come Vessel, a cui siamo particolarmente legati. Qui in Puglia ci sono problemi ben più forti, la dimensione barese è molto legata al collezionismo ma questo non comporta un apporto alla collettività. Per me arte vuol dire ricerca, significa che un’osservazione attraverso l’arte può dare una visione nuova della società. L’istituzione pubblica, a parte eccezioni dovute, non si è assunta la responsabilità di osservare un territorio attraverso la cooperazione tra realtà diverse. Spesso chi gestisce le istituzioni museali è fortemente conservativo nelle impostazioni, senza avere un’idea di cambiamento sociale. Si guarda al territorio all’interno del territorio con una dimensione decisamente provinciale». 
Progetti per il futuro?
«Preferisco non rispondere a questa domanda».
Un'opera di Ingrid Simon presentata durante un workshop di Damage Good nel 2012. Courtesy I. Simon
3.Valeria Raho. Damage Good, Lecce
Quando è nata Damage Good e quali sono le vostre principali missioni?
«Damage Good è anagraficamente giovane. Nasce tre anni fa a Lecce come gruppo curatoriale e di artisti. Ci occupiamo di formazione, ricerca artistica e pratiche partecipative. La nostra mission? Direi la cura e la messa in pratica di idee collettive, ma anche di progetti che fuggono da logiche di mercato, audience e documentazione nella maggior parte dei casi. Lavoriamo molto sui processi, sul valore dell’esperienza e le relazioni nel territorio, il che per noi vuol dire stabilire una vera e propria convivenza col luogo. Nella nostra pratica rientra una buona dose di fatalismo: molti dei nostri progetti nascono per l’idea di fare qualcosa che non c’è ma di cui sentiamo il bisogno o per le ragioni più varie. Non ne facciamo mistero, come non nascondiamo di aver vissuto lo scorso anno una fase di redifinizione. Questo perché ci interroghiamo costantemente su come agiamo, sul senso delle nostre azioni e del lavoro. Ma su alcuni aspetti non abbiamo mai avuto dubbi: Damage Good non nasce per sostenere un artista piuttosto che un altro o per rientrare in un determinato circuito, così come ci interessa poco o niente la fruizione puramente contemplativa legata all’arte se non apre margini di dialogo e di formazione personale». 
Operate in Puglia, una regione ultimamente abbastanza attiva ma per certi versi ancora difficile per ciò che riguarda il sistema dell’arte. Qual è il vostro parere in merito e come vi ponete rispetto alle realtà attive in questa regione?
«Tirare in ballo la Puglia e al tempo stesso il sistema dell’arte vuol dire aprire a una varietà di risposte altamente mutevoli a seconda del centro e delle variabili di riferimento. Nel campo delle pratiche e delle arti visive poi, il panorama è vastissimo, tanto quanto la sua geografia. Certo, non mancano le difficoltà soprattutto nel dare continuità e respiro alle iniziative ma siamo onesti: chi oggi come oggi in Italia, pubblico o privato che sia, non è inciampato almeno una volta in questo dilemma? Per noi lavorare qui a Lecce ha un senso e la relazione con il territorio di vitale importanza: ci mette di fronte alla diversificazione dei linguaggi, ad un’estrema libertà nella sperimentazione e ci tiene alla larga dall’antagonismo e dalla serialità che attanaglia i grandi centri. E questo lo dobbiamo al confronto con le numerosissime realtà con cui collaboriamo, ma anche con chi è del tutto fuori dal sistema dell’arte e che ci dà la possibilità di avere accessi completamente differenti sulle pratiche artistiche. In fondo Washing by Watch nasce proprio così: all’interno di una lavanderia a gettoni, al crocicchio di uno dei quartieri più multietnici di Lecce, abbiamo messo su questa rassegna di videoarte e fotografia contemporanea che per sei mesi ha accolto i contribuiti di otto artisti visivi, tra i più validi e interessanti sulla scena, frequentata da chi mastica e ne sa di arte e al tempo stesso da persone che in vita loro non hanno mai messo piede in un museo o in una galleria ma con cui abbiamo portato avanti lunghe, lunghissime discussioni, in merito ai lavori presentati». 
Progetti per il futuro?
«Come dicevo prima, nella nostra progettualità rientra per filosofia una buona dose di fatalismo per cui se posso assicurarti che siamo già a lavoro per dare seguito a Washing by Watch piuttosto che Yourban, non posso dirti nulla sugli esiti e le soluzioni che sceglieremo e a quale deriva ci porterà. Senza dubbio continueremo a coltivare e insistere sul campo della formazione, che se da un lato ci permette di autofinanziare le nostre attività, dall’altro si trasforma in un’occasione per lavorare a stretto contatto con artisti e curatori, dando vita a quelle che si potrebbero definire delle residenze a tutti gli effetti, anche se non amiamo sistematizzarle in quanto tali, dal momento che si fondano su logiche e valori estremamente lontane da quelle istituzionali. Dico questo non perché ci riteniamo “alternativi a…”: non ho mai creduto in certe definizioni, ma nell’autonomia, quella sì. Però qui si apre un altro capitolo. Magari ne parleremo un giorno, poi». 
Un workshop di Ramdom al castello di Acaya, in Salento 2013. Courtesy Ramdom
4. Paolo Mele. Ramdom, Lecce
Quando è nata Ramdom e quali sono le vostre principali missioni?
«Siamo nati nel 2011, grazie al supporto della Regione Puglia (Principi Attivi), con l’intento di sostenere e incentivare la formazione e produzione artistica. Con Default, il nostro progetto biennale di masterclass, ospitiamo artisti provenienti da ogni parte del mondo e diamo loro l’opportunità di dialogare con rinomati esperti del settore (tra gli ospiti delle due edizioni precedenti Lissoni, Condorelli, Ramos, Quadrio, Desire Machine Collective, Biggs, Cramerotti, ed altri). A questo momento di formazione affianchiamo la produzione, andando a realizzare alcuni dei lavori proposti dagli artisti della masterclass e di altri che individuiamo in base a progetti specifici.
Il nostro obiettivo è quello di dare agli artisti l’opportunità di riflettere sulle proprie pratiche e metodologie di lavoro per rendere i propri progetti ancora più solidi. E poi creiamo networking, che è allo stesso tempo il valore aggiunto e la parte più difficile da valorizzare: le decine di collaborazioni e nuovi progetti che nascono a partire dalla masterclass tra noi, gli artisti e gli ospiti in maniera assolutamente random».
Operate in Puglia, una regione ultimamente abbastanza attiva ma per certi versi ancora difficile per ciò che riguarda il sistema dell’arte. Qual è il vostro parere in merito e come vi ponete rispetto alle realtà attive in questa regione?
«La nostra “Dom” è la Puglia, ma la nostra essenza è RAM, volatile. Operiamo a partire dalla Puglia, ma con tante collaborazioni fuori dal Paese. Siamo nell’estremo lembo del Salento: guardare il resto della regione da quaggiù ci ha offerto sin dalla nascita una prospettiva interessante, ma allo stesso tempo complica non poco il nostro lavoro. Che in Puglia ci siano tante realtà interessanti e un’energia diffusa che rende attrattivo il nostro territorio è abbastanza evidente. Ma continua a mancare una direzione e forse anche la stessa convinzione politica che è stata messa in altri settori (musica, cinema, turismo e mobilità). Manca una rete dedicata all’arte, ancor più su quella contemporanea. Mancano gli spazi: quelli dedicati solo all’arte sono praticamente inesistenti. Poche gallerie, pochi musei. La maggior parte del lavoro è affidata alle associazioni culturali, che non hanno il necessario supporto né dal settore pubblico né da quello privato. Facciamo rete, proviamo a collaborare per ottimizzare i risultati e ridurre i costi, ma il più delle volte dobbiamo andare a cercare fondi all’estero per sopperire alla mancanza di sostegno dall’interno. Regionale in parte, nazionale soprattutto».
Progetti per il futuro?
«Tanti e ambiziosi. Nei prossimi giorni lanceremo il nostro nuovo progetto “Indagine sulle Terre Estreme” e da metà maggio ai primi di giugno abbiamo in serbo un ricco programma di attività nel e a partire dal Capo di Leuca. Luca Coclite aprirà il programma con una spettacolare performance. Poi, Alessandro Carboni e Andreco ribalteranno il tacco d’Italia con laboratori, mostre, parate. Inoltre stiamo aspettando che la Regione Puglia ci consegni “Lastation” (siamo risultati vincitori del bando Mente Locale), il nostro spazio di lavoro e residenza nell’ultima stazione ferroviaria d’Italia a Sud Est che avvieremo anche grazie ad una collaborazione con l’Accademia NABA di Milano e tanti partner locali che ci affiancheranno in questa avventura. Poi porteremo e cercheremo le Terre estreme in giro nel mondo attraverso mostre, talk e workshop. Abbiamo avviato una collaborazione con la School of Visual Art di New York, e saremo lì a luglio come ospiti della Summer School ” Reconfiguring Sites”. Default 15 nel giugno del prossimo anno, con tanti eventi collaterali. Diventerà quasi un festival». 
Amalia Ulman, Landing talks 63rd-77th STEPS - Art Project Staircase. Ph. R. Ciano. Courtesy R. Ciano e F. Santacroce
5. Fabio Santacroce. 63rd-77th STEPS – Art Project Staircase, Bari
Quando è nato 63rd-77th STEPS – Art Project Staircase – e quali sono le sue principali missioni?
«L’attività espositiva di 63rd-77th STEPS – Art Project Staircase – è partita a Gennaio 2014 con LANDING TALK di Amalia Ulman che, per “felice coincidenza”, visualizzava testualmente una parte significativa di quello che è lo statement di questo spazio non commerciale, incorporato in un palazzo, tra il 63° e 77° gradino della scala condominiale. Ho iniziato a strutturare questo progetto a partire da ottobre 2013. Ha una programmazione temporanea che terminerà a fine giugno: un “concentrato” d’interventi site specific realizzati da artisti che, a mio parere, sono tra i più interessanti al momento sulla scena internazionale. Questo progetto, inteso anche come estensione della mia pratica artistica, ha sicuramente puntato i riflettori su Bari, capoluogo di una delle regioni più belle d’Italia, potenziando l’offerta artistica della città e inserendola momentaneamente in un circuito più ampio». 
Operi in Puglia, una regione ultimamente abbastanza attiva ma per certi versi ancora difficile per ciò che riguarda il sistema dell’arte. Qual è il tuo parere in merito e come ti poni rispetto alle realtà attive in questa regione?
«Il sistema artistico pugliese è generalmente orientato verso discorsi e produzioni ai quali non sono interessato. Trovo che sia ancora poco efficiente e di conseguenza genera un pubblico non sempre preparato. Supporto invece progetti non istituzionali, più ibridi e indipendenti come Vessel, Damage Good, Ramdom, Like a little disaster, Xscape Lab e Momang per la capacità di promuovere con sforzo e professionalità attività di scambio, ricerca e interazione anche su larga scala».
 Progetti per il futuro? 
«Mi auguro una piacevole vacanza per prepararmi a un futuro meno prossimo al quale non ho ancora pensato».

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