30 luglio 2014

Reading Room

 
Mario Esquilino chi era costui? Scopritelo nel suo Sillabario, nel racconto di Tommaso Pincio. E le immagini di Eugenio Tibaldi

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È un libro un po’ misterioso, curioso e molto piacevole quello che lo scrittore romano Mario Esquilino avrebbe scritto prima di rifugiarsi in Messico e far perdere le sue tracce. Sì, Acque chete. Sillabario delle basilari possibilità di esistere, è un elegante e ben fatto volumetto che Esquilino avrebbe dato alle stampe per la casa editrice Mirror. Perché tutti questi condizionali? Perché, in effetti, di Mario Esquilino non si era sentito parlare neanche prima che riparasse in Messico. Non lo conosceva neanche Tommaso Pincio che in Acque chete ne parla abbastanza diffusamente e, pur tra mille divagazioni (molto simili al continuo girovagare che lo scrittore fuggito Oltreoceano faceva sotto le arcate di piazza Vittorio a Roma), ce ne racconta stralci di vita. E anche l’editore è alquanto misterioso, così somigliante ad un noto e ricercato editore italiano, eppure così sconosciuto. Le uniche certezze di questo delizioso volumetto sono le foto e disegni che l’artista Eugenio Tibaldi ha affiancato alle varie voci del Sillabario redatto (in inglese poi, chissà perché) da Esquilino. 
Ecco, senza dubbio è un libro d’artista, Acque chete, arricchito dal catturante racconto in cui Tommaso Pincio tratteggia la figura di Mario Esquilino. Occasione, in realtà, per Pincio, per parlare d’altro. Per imbastirci storie e farci girovagare a nostra volta tra vari aneddoti e umori della sua vita: soggiorni in confortevoli castelli di memoria dantesca, gradevoli conversari serali in compagnia di scrittori messicani, architetti argentini e tra teorie più o meno strampalate e per questo molto avvincenti: come tradurre in disegno un libro e se il labirinto più complesso è la linea dritta, come sostiene Borges in Il giardino dei sentieri che si biforcano. Già, Borges, altra figura strana, un po’ convitato di pietra e un po’ ingombrante in tutta questa storia. 
Insomma, è estate e vale la pena lasciarsi scivolare tra pagine che non si sa bene cosa veramente raccontino e chi le racconta, intervallandone la lettura con altrettanti bizzarri lemmi del dizionario che il tenace Samuel Johnson compilò nell’Ottocento interamente da solo: più di 40mila vocaboli e che il più che bizzarro Pincio non esita a dichiarare essere stata “la sua lettura preferita” per molto tempo. Dondolatevi tra questi lemmi e soprattutto tra quelli squisitamente fantasmatici che Mario Esquilino ha messo insieme per il suo Sillabario. Che svariano da Daenti Oleegh Yeary (1265-1321) ci cui si dice (sempre in inglese) che fall in love at first sight at age nine a Imaan Yelle Cant (1724-1804) che never travelling more than 40 miles from his native town, passando per tal Du STOYA Skee, definito un russian epileptic e tanti altri. Fino ad arrivare alle storie forse vere e forse finte, sicuramente romane (ma nel senso buono non caciarone né generone), che compaiono negli aneddoti autobiografici (?) di Pincio, di cui però non vi raccontiamo gli esiti, per approdare infine alle immagini rigorose e sapienti, sì mi viene da dire sapienti, di Tibaldi. Artista, recita la quarta di copertina, «attratto da sempre dalle dinamiche delle aree marginali». E da uno così, che libro d’artista diverso da questo ci si poteva aspettare? Forse, non è neanche in vendita.
Autore: Mario Esquilino    
Titolo: Acque chete. Sillabario delle basilari possibilità di esistere
Editore: Mirror
Anno di pubblicazione: 2014

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