25 luglio 2014

Se la Toscana istituzionale chiude. Dalle Papesse a EX3, e ora la Strozzina, l’altra faccia dell’arte in una regione paradossalmente ricca di iniziative

 

di

CESARE PIETROIUSTI Senza Titolo, 2008 Acido solforico su banconote da 1 e 5 $ 3000 esemplari unici in distribuzione gratuita Prodotto da CCCS, Firenze e Galleria Franco Soffiantino, Torino Veduta della mostra Arte, Prezzo e Valore 20082009, CCC Strozzina, Palazzo Strozzi, Firenze Foto Valentina Muscedra

In realtà le iniziative abbondano da tutte le parti, e riescono anche a fare un po’ di rete. Parliamo dell’area toscana, di cui spesso ci siamo occupati, a partire dalle recenti Marble Weeks, dal festival di San Sepolcro, Nottilucente a San Gimignano, Livorno che conta il Premio Fattori e il suo week end di apertura delle gallerie, e anche Firenze che quest’anno si è guadagnata un Museo del Novecento, ma non l’atteso (da molti anni) museo d’arte contemporanea. Certo, è nato un poco diverso da come tutti se lo aspettavano nei sogni, ma almeno c’è. E forse per un po’ resterà. Così come è rimasta per un po’ di anni il Centro di Cultura Contemporanea di Palazzo Strozzi, la Strozzina, che invece pare arrivata al capolinea senza tante possibilità di salvataggio, come accaduto per EX3, diventato spazio comunale per iniziative varie ed eventuali (un po’ quello che a Roma si è tentato di fare con il MACRO).
Già, perché dopo l’annuncio dello spostamento a Francoforte della direttrice Franziska Nori, la seconda notizia è che Palazzo Strozzi in difficoltà taglia. E ovviamente taglia sul contemporaneo,  su quella disciplina che a Firenze non ha mai avuto vita facile e nemmeno troppa fortuna, come ricorda anche Lorenzo Fusi, senese con una carriera iniziata nello scomparso Palazzo delle Papesse ed ex direttore della Biennale di Liverpool, intercettato da Repubblica per parlare del caso: «Dal momento che Palazzo Strozzi conta per un terzo del suo finanziamento sui propri ricavi è naturale che in un regime di ristrettezze si scelga di tagliare il ramo meno produttivo in termini di numeri e ingressi. Ma queste istituzioni dovrebbero essere nella posizione di osare e sperimentare: scommettere talvolta anche su scelte meno ovvie o populistiche, in cui si crede fermamente. Dovremmo istituire un modello di valutazione che misuri la qualità dell’esperienza dei visitatori, non solo il numero degli stessi». 
E invece nulla, a Firenze pare si lavori sulla grande quantità. E come al solito non pare esserci una visione ad ampio raggio della questione: un direttore cambia sede, e allora il museo “finisce” fino a data da destinarsi. «In Italia non c’è pianificazione, quando si aprono centri di arte o musei, spesso per fini elettorali o propaganda politica, non si pensa a come tenerli in piedi e assicurare loro un futuro. Non c’è strategia nel medio e lungo termine; lavoriamo sempre nell’immediatezza dell’emergenza, spesso affannati a rimediare i pasticci combinati nel passato. Inoltre, la creazione di queste istituzioni rispondeva a logiche individualistiche e locali», è ancora l’opinione di Fusi su Repubblica.
E c’è sempre, inoltre, uno spettro ben delineato all’orizzonte: la fuga delle opinioni, si potrebbe definire. Che stiamo dicendo? Che “dal basso”, da quella popolazione a cui si chiedono fondi vari ed eventuali per progetti e iniziative e di cui spesso ci occupiamo (e che forse anche la Strozzina con un buon “piano marketing” potrebbe provare a fare), non arriva nessun segnale. E pochi ne arrivano anche dagli addetti ai lavori. «La Strozzina, ridotta nelle cantine del Palazzo, in uno spazio angusto e francamente molto difficile da allestire, ha fatto miracoli a resistere fino ad oggi», chiude Fusi nell’intervista. Cosa aspettarsi ora? La risposta l’avete appena letta. 

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