24 ottobre 2014

Dai monti dell’Atlas ai terreni dei nativi americani: ecco il nuovo progetto di Angelo Bellobono. Ce ne parla l’artista

 

di

Angelo Bellobono, Ramapough territory, 61x92 cm, acrylic, glue and Lenape's soil polluted by Ford plants on canvas, 2014

Inaugura lunedì, da E.R. Butler & Co, in piena Soho a New York, il nuovo progetto di Angelo Bellobono Before me and after my time. Stavolta l’artista appassionato di montagne è negli Stati Uniti per il risultato di un “site specific” piuttosto differente dai precedenti, anche se i monti, e più precisamente gli Appalachi, sono i protagonisti insieme ai primi abitanti del luogo. Bellobono ha indagato la storia dei primi abitanti di New York, gli Indiani Lenni Lenape, che già 10mila anni fa popolavano “Manna Hatta – l’isola dalle molte colline”, e che popolavano le distese degli Appalachi, originariamente collegati al Marocco prima della frattura delle placche tettoniche. Questa popolazione oggi è confinata nel New Jersey, nella zona boschiva di Ringwood e Mahwah, e come gli abitanti dell’Atlas le cui falde acquifere sono contaminate e impoverite dalle miniere d’argento, qui le tonnellate di colori tossici riversati da un impianto della Ford hanno provocato danni gravissimi alla popolazione. L’artista ha lavorato con questi terreni contaminati, creando una serie di dipinti che in mostra si configureranno come gli elementi di un luogo di rappresentanza temporanea dei Lenape, nella città che li ha espropriati.  Ne abbiamo parlato con l’artista. 
“Before me and after my time”. Quali sono state le “felici coincidenze” di cui parli, che hanno portato alla nascita di questo nuovo progetto? 
«Già anni fa avevo elaborato un progetto legato a Manhattan e ai nativi americani Lenape, poi, alcune esperienze che da anni connotano la mia vita, come vivere tra Italia, Marocco e New York, si sono casualmente connesse. Attraverso la mia ricerca, che indaga l’incessante trasformazione di uomini e territori e la conseguente fragilità di confini e identità personali, ho scoperto che fino a “soli” 150 milioni di anni fa, gli Appalachi americani alle spalle di New York e l’Atlante marocchino erano uniti in un’unica catena, parte del Supercontinente Pangea.  Questo ha attivato il mio desiderio di approfondire la storia dei primi abitanti di Manhattan, gli Indiani Lenni Lenape, che già 10mila anni fa popolavano “Manna Hatta – l’isola dalle molte colline” e riconnettere quelle montagne, oggi divise dall’Atlantico, con un ponte ideale. Tutto ciò ha automaticamente messo in relazione la piattaforma interdisciplinare Atla(s)now alla quale lavoro dal 2011 con l’altra sponda dell’oceano. La natura non crea quei confini dei quali l’uomo necessita, ma realizza quelle relazioni alla base della variabilità, costante fondamentale per  ogni processo di arricchimento. Oggi una nuova Pangea virtuale sta ridefinendo il mondo, e lo schermo diviene al tempo stesso membrana protettiva e confine individuale, un territorio protetto da dove esprimere le proprie verità, spesso inconciliabili con le vicende del pianeta».
Da un lato l’Atlas e la tua residenza che ha portato anche la partecipazione degli abitanti della zona, e ora gli Appalachi con gli Indiani Lenape che ti hanno accolto e “concesso” la loro terra (inquinata dalla Ford) per i tuoi lavori. Segui le montagne, come hai detto, ma vorrei chiarire un punto: ti consideri un artista “sociale”? Un rappresentante di chi spesso non ha voce, costretto a vivere in quei confini politici che tenti di abbattere con la condivisione?
«Non sono un artista né sociale né politico, anche se questi codici affascinano molti, non credo che esista un’”arte sociale”, ma un agire etico e responsabile in qualità di individuo, poi l’arte e la vita che ne derivano sono più o meno il prodotto di questa attitudine. Un dilagante opportunismo “individuale”mina le opportunità “collettive” e spesso usa comunità disagiate in modo autoreferenziale e funzionale al riconoscimento del proprio status di “artista politico e sociale”. Il presunto aspetto relazionale con le parti coinvolte si esaurisce spesso nell’assegnare un compito da far eseguire e poter mostrare agli addetti ai lavori. Indirizzare la propria ricerca in ambiti che prevedono partecipazione e condivisione, comporta prese di responsabilità importanti e l’uso di grandi energie, che spesso non conciliano con la pratica artistica propriamente detta e con i luoghi in cui è essa si mostra. Poi, se si vuol far passare per azione artistica ad impatto sociale pulire il giardino dei vicini saltuariamente,  facendosi fotografare con il rastrello in mano, allora il discorso assume connotati diversi. Sono “solo” un pittore che usa ed è usato dalla pittura, che con la sua carica immaginifica nasce quando non c’è nulla, e non detta contenuti assoluti, da cercare alla lettera in testi pretenziosi e infiniti.  Si accompagna e origina da sensazioni, e si lega agli occhi che trova, senza cercarli. In un epoca in cui il fine viene confuso con il mezzo, e dove si assiste ad un uso accademico e manierista dell’istallazione, della performance e del video, la pittura a causa del suo isolamento forzato pare più libera. Attraverso la pittura, è difficile  costruire quelle trappole emozionali, proprie di scenografie per gli umori del momento di fruitori abituali: è il fruitore occasionale o straordinario, che può aprire un nuovo scenario in un ambito sempre più asfittico ed autoreferenziale. La verità, da non confondere con la realtà, è il prodotto più difficile da piazzare sul mercato, perché contraddistinta da un altissimo grado di variabilità. Le verità, che nel tempo sono rimaste tali, rappresentano una piccola percentuale di quelle che ognuno di noi propaganda ogni giorno». 
Raccontaci del futuro. Quali sono le prossime montagne che toccherai o sulle quali vorresti lavorare? 
«Di montagne ne supero tante, sia fisicamente che idealmente, salirle e discenderle fa vedere molto, ma non necessariamente capire. Ogni dipinto è poi una montagna in cui individuare la via migliore, gli appigli più stabili, ma anche il pendio più veloce per scivolare via. Questo con i Lenape è un percorso appena avviato, da seguire con cautela e pazienza. Prossimamente racconterò in modo inusuale il Mediterraneo visto dalle sue catene montuose in un importante incontro internazionale, che non posso al momento dire. Poi, oltre che alla nuova stagione di Atla(s)now, che avrà contenuti nuovi ed eccezionali, sto lavorando ad un progetto che metterà in relazione fisica le due vette che chiudono il Mediterraneo a Nord e a Sud. Inoltre da un punto di vista tecnico-professionale, quello di allenatore di sci e feeride, ci saranno parecchie salite e discese».

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