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Durante i giorni di opening della 56esima Biennale, The internet saga del duo Francesco Urbano Ragazzi si era rivelato come uno degli appuntamenti più interessanti e frequentati della laguna.
I due curatori, insieme al filmaker Jonas Mekas, padre del cinema “undergrund” statunitense negli anni ’60, al nuovo Spazio Ridotto e nel Burger King di Palazzo Foscari Contarini, hanno raccontato – proprio attraverso i video diari, in un corpus di opere che rifiutano la narrazione e tendono verso l’evocazione della memoria e l’esperienza personale, di Mekas – quella sorta di stato di connessione perenne tra noi e il web, anticipata proprio da quel metodo filmico e senza filtri di Mekas.
Ma c’è un’altra mostra, tutta veneziana, che racconta di una connessione internet come opere d’arte: è quello di Nástio Mosquito, nato in Angola nel 1981 e di base in Belgio, la cui ricerca è radicata nel settore broadcast, dove ha lavorato in precedenza come regista e cameraman, abbracciando video e musica, performance e installazioni e una mimica “spietata”, che annulla la distinzione tra finzione e arte in vari episodi dove lui stesso è attore e protagonista. La sua consapevolezza di sé come personaggio nel mondo dell’arte si affianca alle sue preoccupazioni con la politica africana, in particolare quelle relative a Angola – come si tratta con l’eredità di una guerra civile lunga e sanguinosa – Politica sessuale, il consumismo sfrenato e altri sintomi di globalizzazione. Un mix anche in questo caso destinato a far implodere le idee standard su quella che è l’informazione, l’uso del petere delle immagini, dei media, della politica della rappresentazione. All’Oratorio di San Ludovico, fino a domenica.