12 ottobre 2015

SENTI CHI PARLA

 
Come produrre un'arte utile in un luogo difficile. Ecco l'esperienza calabrese di Expatrie
di Iginio De Luca

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L’intento virtuoso e coraggioso del progetto “Residenze Artistiche a Cosenza 2015” è quello di avviare una dimensione di scambio reciproco tra due mondi apparentemente distanti: quello creativo e visionario e quello quotidiano, della gente “normale”: si tratta, in poche parole, di dirottare da queste parti diversi artisti, in un luogo che resta denso di stereotipi, il sud Italia, per farli lavorare sul territorio.
Sono arrivato in Calabria all’inizio di settembre, con gli artisti Piotr Hanzelewicz e Teresa Iaria, e insediatomi in uno dei 30 alloggi-studi costruiti per l’occasione, mi sono subito posto il problema: come interagire con il luogo e con le persone che lo abitano? Ma soprattutto, ha senso un incontro tra noi e gli abitanti di Cosenza? 
La domenica successiva accade qualcosa: visito un piccolo borgo della provincia, Pantanolungo, e la mia attenzione è subito richiamata da una bandiera dell’Italia collocata sopra e sulla stessa asta di quella del Canada. Chiedo il motivo di tale accostamento, e scopro che ogni anno una comunità di cittadini calabresi emigrati in Canada torna per una breve villeggiatura. Ho quindi deciso di produrre subito un video con le due bandiere che dialogano tra loro nel vento, una sorta di danza muta pseudo-istituzionale. La presenza di queste due bandiere evoca una serie di considerazioni: la dipendenza dalla terra d’origine, il rapporto di mutuo soccorso che c’è tra i due Stati, le tradizioni e le sofferenze di due popoli, di due culture diverse.
Dopo qualche scetticismo, alcune di queste famiglie accettano di parlare con me. La loro è la storia di tanti italiani che hanno cambiato Paese e vissuto per decenni lontano dalle proprie radici. Penso a quanto sia cruciale il tema dell’abitare e quante metafore sviluppi una sua riflessione: lo spazio domestico è anche una questione politica oltre che privata, di responsabilità nazionale, perché parla di rifugi, di asili contro la fame, di viaggi, di perdita di certezze e di avventure verso l’ignoto. Concetti che non cambiano, oggi come allora, pur spostando i soggetti e mutando le rotte. 
Iginio De Luca, Expatrie, vista dall'esterno
Dopo qualche giorno ritorno sul “luogo del delitto” e interagisco con una famiglia in particolare, scattando ritratti fotografici e misurando l’interno della loro casa. In seguito mi raccontano della loro abitazione in Canada e insieme, a memoria, ricostruiamo l’identikit di una casa a distanza. Le due planimetrie ricavate sono poi trasposte su fogli di poliestere opalino intagliati secondo lo schema architettonico e sovrapposti alle fotografie fatte in precedenza, permettendo una lettura parziale che lascia intravedere qualcosa proprio nel momento in cui lo si esclude. La griglia planimetrica in questo caso simboleggia liberazione e prigionia al contempo, la storia di questa famiglia. Infine, seguendo gli stessi schemi planimetrici, ho tagliato e disposto a terra nel box le due bandiere uguali a quelle del video, a simboleggiare un cortocircuito visivo tra privato e pubblico, tra casa e nazione. Da qui il titolo Expatrie (dal francese expatrié: espatriato), ma anche patrie che non sono più tali, perché non trattengono e non accolgono. La storia umana e soggettiva si intreccia alla storia collettiva, storia di confini, contesti di transito in perenne sospensione. 
Per due settimane io e gli altri artisti siamo stati abitanti di un luogo deputato alla creatività che ha cercato di sfatare un altro luogo, quello “comune” dell’arte contemporanea distante dalla realtà e dalle sue urgenze. Un tentativo che si è riempito di senso, per quanto mi riguarda, grazie alla famiglia che mi ha regalato la sua storia e per chi il 18 settembre è passato a trovarci lungo il fiume Crati, sul viale degli artisti, nella mia casa a tempo determinato. 
Iginio de Luca

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