25 maggio 2016

Biennale, architettura e altro/2. Primo giro di “Reporting from the front” visto dall’Arsenale: grande rigore senza ressa

 

di

Chi si aspettava un bagno di folla stamane, opening della 15esima Biennale di Architettura diretta dallo spagnolo Alejandro Aravena, sarà rimasto un po’ deluso. Dopo una brevissima fila all’apertura dei cancelli dell’Arsenale, alle 11, il flusso in queste prime ore non è per niente disturbante. Tanto meglio, per certi versi, per godersi una serie di proposte decisamente da guardare con attenzione: non ci sono giochi, interattività varie ed eventuali, caroselli o affini, nel progetto dell’Arsenale di Aravena. C’è piuttosto da leggere, da immaginare, da scoprire strato dopo strato, come propone il collettivo Marte.marte, che scava in impressionanti blocchi di pietra (sopra) per trovare quell’elemento speciale che rende l’architettura storia, cultura, tesoro e, perché no, arte, come il progetto oggi debba tenere conto di come si è evoluto il mondo. E cioè non troppo bene. 
Lo dice chiaro e tondo anche il presidente Paolo Baratta, in giro per le sale dell’Arsenale: «L’architettura deve pensare a cosa può fare realmente oggi, dove non esistono più le possibilità per realizzare progetti faraonici, colossali, come poteva essere negli anni ’50. Abbiamo un paesaggio non da costruire, ma soprattutto da difendere rispetto a quello che è già stato messo in piedi: è necessario, insomma, lavorare sulla qualità dei luoghi».
Tutt’intorno, infatti, esempi di sostenibilità, di architetture che più che essere “bio” o sostenibili sono materialmente costruzioni di società, e dove i progettisti non hanno modo di intervenire se non attraverso la possibilità di situarsi in una intercapedine dove è il cittadino, l’abitante o anche il senza fissa dimora il vero protagonista della vita nell’architettura e nello spazio quotidiano e contemporaneo. Si potrebbe dire che siamo di fronte a una serie di indagini su un progetto “d’aiuto”, anche in senso sociologico. 
Lo si vede nel progetto del collettivo Assemble, vincitori dell’ultima edizione del Turner Prize e ripresentati qui da Aravena, oppure attraverso l’anello sospeso dello spagnolo José Maria Sànchez Garcìa, pensato per essere architettura anonima ma densa di potere immaginativo per chi la esperisce.
Le due installazioni migliori? Il nostro occhio un po’ contagiato dall’arte ci impone di tracciare un parallelo. L’Arsenale si apre con la “solita” grandiosa opera site specific (in home page): in questo caso, laddove stava il “Palazzo Enciclopedico” di Marino Auriti, qui sta una ciclopica catasta di 100 tonnellate di materiali recuperati e assemblati da vecchie biennali, con infinite barre metalliche a pendere dal soffitto e anche a far pensare quante spade di Damocle – per colpa del problema globale dell’inquinamento, del consumo e del rifiuto – ci pendono sulla testa. 
Da qui il passo per “Let’s talk about garbage” del duo polacco Hugon Kowalski e Marcin Szczelina è breve, e la visione dello slum più grande del mondo, Dharavi in India, dove milioni di popolazione “errante” vive raccogliendo spazzatura, il passo è breve. Almeno mentale. E qui, idealmente, l’Arsenale si chiude. 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui