05 novembre 2016

Affacciati al balcone della Reggia di Carditello

 

di

A un
certo punto, la città scompare. Superato lo svincolo di Casaluce, l’intonazione
verticale e metropolitana di Napoli e dei suoi immediati dintorni, si attenua
verso un’uniformità pianeggiante, lo sfondo visivo si tinge di tutte le
sfumature del verde e dei minerali brunastri, le profondità modulate dai
palazzi e dai quartieri lasciano il posto a una fitta teoria di campi
coltivati. Via Consortile è un segmento allungato e regolare che taglia
ortogonalmente le trame delle serre, una cesura ai filari degli orti e degli
alberi da frutto. Alla fine della strada, innalzandosi oltre un muretto di
mattoncini di tufo, la Reggia di Carditello compare come un’estensione
architettonica coesa con il paesaggio, una rappresentazione ideale e neoclassica,
di stampo monarchico, del canone rurale. È una mattinata di fine ottobre e i
colori bianchi e rossicci della facciata della Tenuta Reale completano la
prospettiva. Già si è radunata una gremita fila di persone, in attesa della cerimonia
di apertura del sito, voluto da Carlo e Ferdinando IV di Borbone per la caccia
e l’allevamento del cavallo Persano.

 La Reggia in una incisione d'epoca

La
Reggia, in posizione intermedia tra Napoli e Caserta, nel territorio del Comune
di San Tammaro, venne costruita nel 1744 e faceva parte delle “Reali Delizie” dei
Borbone, insieme, tra le altre, alla Reggia di Portici e a quella di
Capodimonte, luoghi destinati non solo allo svago ma anche alle attività
agricole, talvolta condotte con metodi sperimentali e illuministi. Si deve
all’architetto Francesco Collecini, allievo di Vanvitelli, la sistemazione
attuale della Tenuta, un grande complesso simmetrico, circondato da 2.100
ettari di boschi, pascoli e terreni seminativi e comprendente una residenza
reale, vari ambienti destinati ad azienda e una pista riservata alle corse dei
cavalli. Il Re assisteva agli spettacoli ippici, la sua passione, da una
posizione privilegiata, da un tempietto circolare in stile classicheggiante, al
centro del circuito. Possiamo solo immaginare lo sfarzo di quelle occasioni,
perché per la Reggia il tempo è stato inclemente, degli affreschi di Cammarano
e Hackert, dei marmi e degli arredi che impreziosivano gli interni, non
rimangono molte tracce, tanti pezzi sono stati sottratti nel corso degli anni,
solo una parte si trova in musei o altre residenze reali.

 Jakob Philipp Hackert, Paesaggio con giardino all'inglese, 1797

Dopo essere stata accorpata nel
Demanio dello Stato, quindi ceduta all’Opera Nazionale Combattenti, poi
occupata dalle truppe tedesche e americane, nel secondo dopoguerra, la tenuta,
insieme ai 15 ettari rimanenti da lottizzazioni e vendite a privati, entrò tra
le proprietà
del Consorzio generale di bonifica del Volturno. Da quel
momento, la Reggia è stata abbandonata a se stessa, depredata ed entrata nei
traffici illeciti delle varie associazioni camorristiche che controllano
capillarmente la zona. Dal 2011 al 2013 è stata sorvegliata, a titolo
volontario, da Tommaso Cestrone, che in più modi, insieme ad altri cittadini e
associazioni come FAI, Touring Club, Agenda 21, aveva tentato di richiamare
l’attenzione delle istituzioni per il recupero del complesso architettonico. La
storia dell’angelo di Carditello, così era conosciuto Cestrone, è stata
raccontata anche nel film Bella e perduta,
di Pietro Marcello.

Poi,
nel 2014, una società controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze
ha acquistato la Reggia, per trasferirla al Ministero dei Beni e delle Attività
Culturali e del Turismo, allora presieduto da Massimo Bray. L’anno successivo
fu stipulato un accordo tra il Ministero, la Regione Campania, la Prefettura di
Caserta e il Comune di San Tammaro, per la “Valorizzazione del Real Sito di
Carditello”, un progetto i cui primi passi sono stati la costituzione della
Fondazione per il Real Sito e lo stanziamento di più di tre milioni di euro per
far partire i restauri. Presentare lo stato dei lavori e comunicare le strategie
di sviluppo da intraprendere sono i motivi di questa manifestazione, per la
quale è stato coinvolto il IV Reggimento Carabinieri a Cavallo che, per la
rievocazione allestita nel circuito della Reggia, monta esemplari di Persano,
una razza formata proprio nelle scuderie reali, per volere di Carlo III di
Borbone.

 Veduta assonometrica della Reggia

Per
Luigi Nicolais, succeduto a Mirella Stampa Barracco nella carica di presidente
della Fondazione, questa è l’occasione giusta «non tanto per mostrare ciò che è
stato fatto, piuttosto per porre altri traguardi da superare», obiettivi che
sembrano procedere verso un incrocio, ancora non chiarito, tra istituzioni e
finalità. Oltre a Sebastiano Maffettone, delegato alla cultura della Regione
Campania, a Gaetano Manfredi e Giuseppe Paolisso, rettori delle Università
Federico II e SUN, garanti di una collaborazione interdipartimentale, sono presenti
alla conferenza anche Dario Franceschini, che fa leva sul peso della Reggia
all’interno di un flusso internazionale di turismo interessato agli itinerari
borbonici, e Maurizio Martina, che parla della rilevanza delle produzioni
agricole locali, come la mozzarella di bufala, le cui sorti, dopo i disastri
della terra dei fuochi, sono da rilanciare. Da anni, tutta la zona è sotto la
lente mediatica per le vicende legate agli sversamenti illeciti di rifiuti
tossici, motivo per il quale lo Stato è già stato ripetutamente condannato,
dalla Corte di Giustizia Europea, al pagamento di ingenti multe.

 Il Ministro Dario Franceschini durante la visita alla Reggia

A
parte l’indiscutibile pregio dei prodotti agricoli e la rilevanza storica della
razza equina, l’impressione è che per portare una ventata di nuove possibilità non
solo alla Reggia ma a tutta l’area, ci sia bisogno di un tassello ulteriore. Ottimistico
pensare che possano bastare la squisitezza dei latticini, un’accademia di
equitazione e il fascino del guscio architettonico a deviare il flusso del
turismo da grandi numeri che, pur spinto da un impulso irrefrenabile e
combinato per i formaggi e i cavalli, più in là dello splendore della Reggia di
Caserta difficilmente vuole e può arrivare, contando anche lo stato delle
infrastrutture e la vocazione dell’area, segnatamente agricola e mai impegnata
in altri settori. Interessanti sembrano le proposte avanzate dai Rettori che, con
i Dipartimenti di Agraria e di Medicina Veterinaria della Federico II e di Scienze
Ambientali e di Beni Culturali della SUN, attiveranno un programma di
collaborazioni, impegnando gli studenti in attività mirate al restauro degli
ambienti e al recupero delle coltivazioni e degli allevamenti. Un’idea
stimolante ma ancora insufficiente per garantire sostenibilità a un sito nel
cuore di un territorio martoriato da illegalità e abbandono istituzionale. Franceschini
parla di «sfida che interessa tutta l’Italia», la situazione della Reggia e,
per riflesso, di tutto il territorio che la circonda, è uno dei banchi di prova
della credibilità del Governo e anche un simbolo delle difficoltà endemiche
nelle quali il meridione continua ad affogare, bruciando le identiche speranze,
puntando sugli stessi termini. 
Oggi,
la definizione di specificità è instabile, il suo campo semantico si apre a
sperimentazioni e la tipicità può essere rappresentata come un’immagine da
interpretare su livelli sfalsati. Proponendo l’immagine oleografica della
cartolina, affidandosi ai parametri storicizzati del prodotto tipico, da
vendere al minuto, si corre il rischio di trasformare la peculiarità in
soffocamento, in un elemento di chiusura, soprattutto nel caso di un’area
universalmente conosciuta più per la diossina che per il neoclassico.

 Interni della Reggia

In
questo senso, la nomina di Angela Tecce come direttore del sito sembra aprire
nuovi spiragli. Tecce ha una lunga e consolidata esperienza nel settore dell’arte
contemporanea – in particolare, come direttore del Museo del Novecento a Napoli
– e potrebbe inserire un altro elemento nella via già dichiarata
dell’agroalimentare, come la stessa nomina lascerebbe presupporre. Una
struttura dalla storia fascinosa e dalla forma altamente significante, inserita
in un contesto suscettibile di declinazioni linguistiche eterogenee, dall’ecologia
ai temi sociali, potrebbe naturalmente convogliare l’interesse di molti artisti
e, di conseguenza, accendere le attenzioni del sistema dell’arte. Puntando su
un programma di altissimo profilo e di respiro internazionale, articolato tra
residenze, laboratori e mostre, la Reggia potrebbe proporsi non come prodotto
tipico, un bell’oggetto destinato a scomparire, seguendo il destino degli
arredi che una volta ne ornavano le sale, ma come un organismo complesso, uno
strumento per l’innesco di un circuito in grado di autoalimentarsi, un
dispositivo in cui l’ambito specifico lavora nella profondità delle relazioni e
dei movimenti, per dare luogo a nuove peculiarità.  

Una
parte dei lavori si è conclusa, la struttura esterna è stata rinforzata, gli
ambienti sono quasi totalmente percorribili e in sicurezza. Per assistere alla
celebrazione equestre inscenata dal Reggimento dei Carabinieri a Cavallo, si
può salire fino al terrazzo, attraversando saloni e corridoi in cui gli stucchi
superstiti accentuano il senso di vuoto. Sono pronti cinque milioni di euro per
continuare con la prossima fase, la più difficile della lunga storia della
Reggia.

 

 

 

 

 

 

 

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