14 dicembre 2016

C’è chi vuole l’albero e chi vuole il Nalbero

 

di

«Ma come, è già passata l’Immacolata
e non hai ancora fatto l’albero?», Marco mi redarguisce con severità,
mentre tenta la giusta disposizione delle luci intermittenti blu e rosse, il
cavo ben teso tra i rami di plastica verde e gli innumerevoli addobbi pendenti.
La sua espressione soddisfatta per aver trovato il miglior ritmo coloristico svanisce
subito, come neve natalizia sulle spiagge delle Barbados, di fronte alla mia
sconsolante risposta e, per rimediare alla situazione, la butto sul presepe,
che preferisco all’albero per una serie di questioni affettive, tradizionali,
estetiche, storicopolitiche, socioeconomiche. In realtà, non farò nemmeno il
presepe, eppure ogni anno mi riprometto di mettermi al lavoro, già fissando in
calendario i giorni in cui andrò a San Gregorio Armeno a far spesa. Cioè a
settembre, quando ancora ci si può addentrare tra le vie del centro storico di
Napoli, in prossimità della famosa strada dei presepi, senza il pericolo di venir
inglobati, digeriti e risputati chissà dove, da qualche gruppo ben organizzato
di turisti, zaini capienti e ben assicurati sulle spalle, gomiti alti stile stopper
anni ‘70, caviglie poderose tra i sanpietrini irregolari della via obliqua che
unisce via dei Tribunali e Spaccanapoli. Poi settembre passa, insieme a ottobre
e a tutti gli altri pochi mesi che rimangono dell’anno e mi riduco a mettere su
una piccola capanna che, credo, preparai come lavoretto alle scuole elementari.
L’anno prossimo comprerò una fontana, quella con il motorino per far scorrere
veramente l’acqua, e un forno con la luce.

Elliot Arkin, Maurizio Cattelan come Caganer, statuina del folklore catalano

Intanto, per fortuna, all’atmosfera
natalizia ci pensa qualcun altro e basta uscire appena fuori casa per entrare nel
clima gioioso delle feste. In ogni quartiere di Napoli si allestiscono
mercatini a tema, tra handmade e artigianato, cineserie e vintage, Andy Warhol
sarebbe impazzito. Ogni appartamento ha le sue luci, allestite sui balconi con
simmetria e rigore tali che nemmeno Dan Flavin. E poi, sul lungomare
Caracciolo, davanti allo slargo della Rotonda Diaz, di fronte alla Villa
Comunale, Nalbero. Quaranta metri di altezza per un peso di quattrocento
tonnellate e una capienza di 750 persone. Perché Nalbero è una struttura
percorribile, illuminata da 1.300.000 lampade a led, un grande albero di ferro
ornato da 2.000 alberi di legno che, promettono, saranno successivamente
reimpiantati in città. Tutti vogliamo essere più buoni in questo periodo ma le
critiche stanno fioccando da più parti, insieme agli elogi. Non se ne gradisce
l’estetica, lo si reputa troppo ingombrante, sfarzoso nelle luci e misero nell’ostentazione
dei pali di ferro. Oppure, al contrario, si fa leva sul nuovo punto di vista sul
panorama, che si può godere dalle tre terrazze e dal ristorante con 168 posti a
sedere, sull’occasione per i commercianti, tra i quali, Renault, Mondadori,
Vodafone, la famosa pasticceria Scaturchio e la storica catena di supermercati
Flor do cafè, che vi hanno allestito i loro punti vendita. I dati sull’affluenza
sembrano premiare questo orientamento, con 10.000 ingressi giornalieri dall’apertura
ufficiale. Ma sulle cronache locali le voci non sono tenere e tendono ad
allargare il discorso, da Marta Herling, che sulle pagine di Repubblica scrive
di «vuoto
caos che snatura il lungomare di Napoli, a Nicola Quatrano, che sul Corriere accusa il sindaco De
Magistris di aver affidato spazi pubblici a privati solo «per collocarvi
gazebo, NAlbero o altre amenità».

Veduta del Nalbero

Infatti, i cantieri, durati
pochissimo, e questa è una notizia di primissimo piano, sono stati avviati dalla
Italstage di Pasquale Aumenta, azienda napoletana leader nella costruzione di
strutture temporanee, con il supporto di altre società private. Bisogna
aggiungere che la Italstage si occupò, nei primi anni 2000, dell’allestimento,
a Piazza Plebiscito, delle opere di Anish
Kapoor
, Richard Serra e Rebecca Horn. Già dal alcuni anni, la
piazza, finalmente liberata dal transito veicolare, era stata trasformata in
sede di installazioni di arte contemporanea, precisamente dalle vacanze di
natale ‘95, dalla Montagna di sale di
Mimmo Paladino, quando l’allora
sindaco di Napoli Antonio Bassolino, ed Eduardo Cicelyn, il plenipotenziario
dell’arte contemporanea nel golfo e primo direttore del MADRE, tentarono la
scommessa dell’arte pubblica. Un impegno portato avanti con indubbia costanza e
caparbietà, pur con esiti alterni, puntando prima sulla squadra di poveristi e
concettuali, come Jannis Kounellis, Gilberto Zorio, Mario Merz, Giulio Paolini,
proseguendo poi sui grandi nomi internazionali di cui sopra. Lo stesso Cicelyn,
dalle colonne del Napolista, interpretando perfettamente l’orientamento del quotidiano
di «informazione
e analisi politico calcistica», interviene sulla vicenda a gamba
tesa: «la
verità brutta è che Nalbero sfrutta e falsifica il contesto. Napoli, il suo
golfo, il Castel dell’Ovo, Posillipo, il Vesuvio: insomma, tutto l’armamentario
retorico partenopeo è ripresentato alla Rotonda Diaz come il luogo dello
spettacolo di una politica in stato confusionale». Eppure, «nessuno ha mai
pensato di voler costruire un’opera d’arte. Nalbero vuole essere una struttura
ricettiva e turistica che possa portare in città migliaia di persone», aveva dichiarato
Aumenta al Mattino, prefigurando bene i punti deboli della sua creazione, visti
anche i suoi trascorsi a stretto contatto con l’arte contemporanea in generale e con Cicelyn, in particoalre. Comunque, per Aumenta, non solo il passato ma anche futuro è nel segno dell’arte,
visto che, seguendo la sua strategia di difesa, ha reso noto di essere stato recentemente chiamato da Kapoor per
una sua prossima installazione.

Anish Kapoor, Taratantara, Napoli 2000

E intanto, mentre cerco tutto ciò
che, sulla vicenda, è stato scritto sui muri e sulle pagine del web, leggo
anche una breve news appena pubblicata su Repubblica: «tra i tetti dei Quartieri
Spagnoli svetta l’albero di Paladino: una guglia, un obelisco, una bandiera per
la città con il blu del mare e del futuro e i suoni dei vicoli, delle piazze,
della Gente, del Natale», scrive Cristina Zagaria. L’opera è allestita e visitabile nel
cortile dell’ex Convento di Montecalvario, una struttura recuperata da Rachele
Furfaro e Renato Quaglia, rispettivamente Presidente e Direttore di Foqus,
Fondazione Quartieri Spagnoli.

A quanto pare, tutti hanno un albero. Tranne
me. Ma l’anno prossimo…

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui