11 gennaio 2017

Donate un oggetto all’artista: un percorso nella camera delle idee di Carolina Ciuccio. Porte aperte dello studio e della sua prossima opera

 

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Un’intrusione nel proprio spazio, nell’intimità che si costruisce con i giorni e i progetti che lì vi sedimentano, prima di venir fuori. Una invasione premeditata da Carolina Ciuccio, napoletana, classe 1984, che apre per la prima volta le porte del proprio studio, nel coacervo di Via Tribunali 334, accettando il tacito accordo di una messa in discussione totale, che non riguarderà solamente le sue opere, ma andrà a ritroso, fino alla critica del suo fare non solo artistico ma più generale. Una porta divide lo studio dalla casa dell’artista, «è un esperimento, che mi ha permesso di ripulire lo studio dal troppo, per accogliere i visitatori. Vivo questa cosa come una festa», dice.
Con l’open studio, previsto per domani, Carolina Ciuccio dà una traccia del suo lavoro, dalle opere più recenti a quelle più lontane nel tempo, muovendosi lungo tutta la sua storia di artista. In esposizione opere differenti, che rimandano a momenti assai diversi, da Black Hole, sei fotografie che mostrano il corpo dell’artista segnato da zone oscure, come cicatrici dell’anima, a Culture Migranti, installazione sul tema dell’emigrazione, esposta il marzo scorso al MACRO.
L’artista, che ha realizzato negli anni scorsi opere site-specific con il duo 2/4our, insieme a Sofia Scarano, come Luminaria – installazione nel centro storico di Napoli –   mantiene nelle sue opere lo stesso tono leggero e vacuo che usa in questa occasione, con una fresca apertura allo spettatore, senza porsi alcun limite. 
I partecipanti sono infatti invitati a donare un oggetto che possa raccontare qualcosa di sé, che l’artista potrà inserire nel complesso del suo prossimo lavoro. Sarà un’opera sulla relazione e che dallo scambio riceverà un impulso formativo, come un principio di sentimento, che poi si svilupperà altrove, autonomamente, forte delle proprie origini condivise. Coinvolge dunque quell’esterno che certamente lei stessa concepisce come diverso, poiché riconoscendolo come tale, lo accoglie, lo immette dentro il proprio. Una procedura questa che non si ritrae di fronte alle masse, che probabilmente le giudica, ma vi assicura un raccordo, una continuità, servendosene pure come principio creativo. «Abitare – ricorda l’artista – implica un’osmosi con l’esterno: non è solo conoscersi ma sentirsi a casa, ospitati da uno spazio che non ci ignora, tra le cose che dicono il nostro vissuto». (Elvira Buonocore)

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