01 febbraio 2017

L’arte dopo le fiere. Quale futuro?

 
Recentemente le fiere d’arte contemporanea sono cresciute di numero e di importanza. Ma cosa potrebbe accadere nei prossimi 10 anni? Ecco un esercizio di scenari possibili

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Negli ultimi anni, tra gli appuntamenti più interessanti dell’arte (arte contemporanea in primis) si annoverano senza dubbio le fiere. Allo stato attuale, i canali di distribuzione del mercato artistico sono: gallerie, mostre temporanee, in casi eccezionali i musei, le case d’asta e, appunto, le fiere. Questo ovviamente ha inciso sul loro successo, perché (come ogni categoria merceologica) la fiera rappresenta un momento di confronto diretto tra più attori del mercato. Così, come per ogni altra categoria merceologica, il settore delle fiere ha conosciuto nell’arte un’espansione in termini di numero, che porta necessariamente ad una parcellizzazione degli operatori.
Con un aumento degli attori (e quindi delle fiere stesse), diventa probabile l’emersione di alcuni “standard” (vale a dire fiere “irrinunciabili”) che, per assicurarsi di rimanere tali, devono aumentare il costo imposto alle gallerie. L’emersione di questi standard, e quindi la richiesta di maggiori fondi, renderà inaccessibili ad altre gallerie la partecipazione, che dovranno quindi iniziare a fare delle valutazioni di mercato. Il risultato è che ci saranno alcune gallerie che “per la coerenza tra il pubblico e il prodotto venduto” preferiranno essere presenti in alcuni appuntamenti, tralasciandone altri. Ecco allora la scelta tra Art Basel, Frieze, Fiac, Volta, Art Brussels, Art Forum Berlin, Art Paris, Art Rotterdam, Paris Photo, Artissima, Artefiera, Miart, Art Chicago, Art Toronto, Tefaf, Arco, Art Basel Miami Beach, The Armory Show, e via via dicendo.
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Per specializzarsi, e quindi per poter ambire a divenire lo “standard” (e anche per mantenere un criterio di “scientificità” in un mondo che difficilmente accetta i market-places), le fiere d’arte hanno sviluppato, intorno all’evento, una serie di eventi ed interventi altamente specializzati, in grado di fornire un elemento di entertainment per chi voglia fare altro oltre che “passeggiare per gli stand” o “acquistare un’opera d’arte”. Ma anche questo è divenuto un modello molto diffuso, e quindi si ritorna alla partenza. In breve, le fiere (più o meno tutte) si stanno avvitando in un circolo vizioso. 
E a questo punto la domanda è lecita: siamo davvero sicuri che le fiere d’arte contemporanea manterranno la propria importanza nei prossimi dieci anni? E, in caso di risposta negativa, quali potrebbero essere le forme più idonee ad un mercato così peculiare?
Molti sostengono che Internet sarà (per altri lo è già) il prossimo grande mercato per le opere d’arte. Probabilmente questo sarà il futuro, ma allo stato attuale, la maggior parte delle transazioni avviene ancora in spazi fisici (nonostante Internet costituisca un canale molto importante per l’acquisizione di informazioni). Probabilmente, quindi, non è a Internet che bisogna guardare per avere una risposta definitiva, anche se sicuramente il peso relativo delle transazioni che verranno concluse online (specialmente per opere non troppo costose) è destinato a crescere. E allora quale sarà la grande macchina da vendita tra dieci anni?
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Forse, ma riguardo il futuro (per fortuna) non ci sono “sfere di cristallo”, un modello di mercato che potrebbe trovare un buon sviluppo sul mercato è rappresentato da una forma ibrida di differenti market-places già presenti in altri settori: un’unione tra il centro commerciale, l’event-marketing, la fiera e Internet. Un’organizzazione che crei un centro commerciale itinerante dell’arte, con eventi musicali, aste e altri servizi a valore aggiunto (come la presenza di family offices, hedge funds e altri servizi a componente finanziaria), con servizi di trasporto specializzati (se l’organizzazione è itinerante puoi acquistare un dipinto a Basilea e ritirarlo quando il Centro si sposta a Miami) e centri di ricavo differenziati. 
Si tratta di uno “scenario monster”? Forse, in parte, sì. Ma riflettiamo sul fatto che, aumentando così tanto i costi di ingresso nel mercato, l’organizzazione si aggiudicherebbe un quasi monopolio naturale, con tutti i vantaggi economici che ne derivano. 
Mostruoso, o semplicemente preoccupante, non è di certo l’unico scenario possibile, ma è comunque un esercizio per iniziare ad immaginare come si svilupperà un mercato che ha un bisogno intrinseco di rinnovamento. Senza pensare che, anticipare il cambiamento, potrebbe essere per l’Italia, e per i suoi operatori, una valida occasione di riscatto. Un’opportunità su cui per ora abbiamo lavorato di fantasia, anche estremizzandola un po’, ma sulla quale vale la pena di riflettere in un mercato, come il nostro, nel quale rappresentiamo un misero unovirgolaqualcosa.
Stefano Monti

1 commento

  1. Da come lo vedo io il mercato dell’arte, che rientra tra quelli del lusso, è stimolato dallo spirito di ricerca e scoperta e dall’acquisto emotivo che, messi assieme, richiedono la presenza fisica dell’oggetto desiderato in modo da poter provare direttamente l’emozione della conquista e dell’acquisizione. Per questo su internet si studia il soggetto, ma poi, in galleria o in fiera, si va alla ricerca e, se si trova, lo si acquista/conquista.

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