16 febbraio 2017

Qualche palma non fa primavera

 
Palermo o Dubai? No, Milano. Che bello il giardinetto-palmeto in piazza Duomo che solleva polemiche. Un'operazione un po' artistica, se la si prende nel giusto modo, ma che tradisce qualche interrogativo più profondo

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Ci siamo salvati, diciamolo pure, dall’invasione americana di Starbucks fino ad ora. Fino a stamattina, quando la catena ha ufficialmente ufficializzato la sua futura presenza in città prendendosi cura delle aiuole di piazza del Duomo, a Milano, e piantando una serie di palme che precedono banani e ibiscus rosa. 
Bello, ma non bellissimo, a sentire la politica. Il Sindaco Sala si è limitato a sospendere il giudizio, scrivendo che “Milano osa, eh…”; dalla Lega e Forza Italia sono arrivati invece attacchi contro “l’africanizzazione” della piazza.
Il riferimento storico, sempre secondo Sala, c’è, e la sovrintendenza ha dato parere positivo al progetto, che ha seguito e vinto il bando del Comune per il restyling degli spazi verdi alle spalle del monumento equestre a Vittorio Emanuele II. L’installazione, potremmo anche definirla così, è ad opera dell’architetto Marco Bay. 
Bene, ma non benissimo. Perché? Non siamo scettici nei confronti del verde, anzi. Quanto sulle volontà di Starbucks: a Milano, nel 2018, non solo si aprirà nello storico e splendido Palazzo delle Poste di piazza Cordusio, ma da lì in poi – nell’arco di pochi giorni – dovranno inaugurare altri 4-5 punti vendita tra Milano e la Capitale, e l’obiettivo finale è di aprire nel prossimo lustro circa due o trecento caffè nella Penisola. Ebbene: ci piace un po’ di esotismo, ci piace il Duomo un po’ marittimo, ma del caffè “americano” (nemmeno troppo low cost) e degli arredi cheap di Starbucks ne avremmo fatto volentieri a meno. A meno di questo ultimo latrato di “globalismo”. (MB)

3 Commenti

  1. Sono d’accordo, l’invasione di Starbucks a Milano e nel resto del ns paese non è benvenuta. Una soluzione ci sarebbe: non ci si va, se non lavorano sono costretti a chiudere, come il Mc Donald di Lecce che fu costretto a chiudere perché i giovani del luogo lo snobbavano.

  2. Ricordo la frase provocatoria di Andy Warhol “la cosa più bella che c’è a Firenze è McDonald”, detta quando in realtà a Firenze non c’era ancora. Io trovo un po’ stucchevole e provinciale questa opposizione a Starbucks e al food franchising. Se ben guardiamo, a Milano (e in tante alter città italiane) ci sono già centinaia di caffé ispirati al modello Starbucks, nei quali i consumatori – soprattutto giovani – si siedono con il loro Mac, PC o tablet approffittando del WiFi gratuito e del fatto che non vengono fatti sloggiare appena finita la consumazione. E anche i diversi tipi di bevande al caffé sono diventati popolari da noi, così come i dolcetti che li accompagnano. Per non dire di quanti di noi italiani, all’estero, sono entrati in uno Starbucks, e quanti dei turisti che vengono a Milano lo cercano. Il piccolo mondo antico in cui si compravano i vestiti dalla modista, esistevano le drogherie e le cartolerie, i ciabattini e i pizzicagnoli, non c’è più. Tutto il mondo si assomiglia un po’ di più; forse è un bene, forse è un male, ma essere passatisti serve a poco.

  3. Concordo anch’io. Del resto qui sta la differenza tra chi ama qualcosa e chi lo sceglie per moda. E se Starbucks ci dovesse conquistare, vorrà dire, ne sono certa, che poco dopo seguirà l’era del ritorno dell’espresso preso al bar!

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