18 giugno 2017

Art Basel/8. Tutto quello che avreste potuto vedere e abbiamo visto per voi. Parte 2

 

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Nel passaggio di accesso allo stand di Massimo Minini (che ha ottenuto quest’anno, insieme alla viennese Rosemarie Scharzwalder il premio alla carriera dalla Federazione of European Art Gallery Association), sono suggestivamente disposti sul muro numerosi cuscini colorati di varie grandezze e forme, imprigionati in una ragnatela di fili. È l’opera dell’artista americana Sheila Hicks che vive a Parigi. All’interno, Anish Kapoor, Giovanni Anselmo, Paolo Icaro (che partecipa anche ad Unlimited,) Vanessa Beecroft e Penone
Nella sezione Unlimited, la mostra che da più anni richiama numerosi visitatori nell’ampio spazio del pianoterra, la Galleria Continua propone un lavoro complesso di Subodh Gupta nato come un gioco e diventato molto impegnativo. Una struttura concepita a forma di casa, fatta da ustensili di cucina usati importati dall’India, racchiude la preparazione di un pasto composto da pietanze indiane raffinate, destinate ad 800 commensali convenuti per la fine della fiera. Sei persone assistono l’artista nella preparazione. 
Coincidenza o continuità rinnovata del linguaggio, negli anni di ricorrenza del centenario della grande scoperta artistica, 2016-2017, la presenza di opere riconducibili esplicitamente all’inventore dei ready-made, ci conferma nella convinzione che la voragine linguistica che ne è conseguita è ancora ricca di sviluppi. Un’eredità che per decenni sembrava circoscritta ed effimera ma che tanti hanno raccolto. Così la galleria di Pescara Vistamare propone una mostra monografica di Bethan Huws, artista gallese che vive a Parigi, dominata dall’iconografia del famoso scolabottiglie, associato nella forma alla torre del gioco di scacchi nel quale Duchamp era campione. Non è l’unica presenza esplicitamente duchampiana. Sarà una coincidenza se altri neo-duchampiani dada, decomplessati, partecipano alla Fiera, Lea Lubin, Sherry Levine, Martial Raysse, Rodrigo Matheus, Markus Schinwald (Unlimited), Anri Sala , Edith Dekyndt, etc.? 
La fotografia è meno presente del solito. Spiccano tuttavia Thomas Struth con opere conosciute e altre recenti, di impatto significativo come Schaltwerk, Thomas Ruff e l’artista iraniana Shirin Neshat che unisce poeticamente fotografia e calligrafia. 
Molto suggestive, infine, la scelta dei luoghi e le opere destinate a creare il Parcours dell’arte attraverso il centro di Basilea. Sul muro di una piscina pubblica si estende un grande Centopiede, proporzionato alla parete, dell’artista brasiliana Erika Verzotti. Da lontano sembra imitare la forma ingigantita dell’insetto ma da vicino si scopre che è composta da calchi di banane in bronzo scuro. In una scuola della Munsterplatz, di fronte alla cattedrale, si nota la sottile ironia caustica, dell’installazione di Nathalie Dhurberg & Hans Berg, Who am I to judge, or, it must be Something delicious. Con Parasite Fountain, Katinka Bock ripropone la questione dello spreco dell’acqua all’interno delle città. Un tubicino di plastica collega una fontana esistente a quella, creata dall’artista, che, per mezzo di un tubo di fattura industriale sormontato da un pesce in bronzo, riversa l’acqua sulla strada sottostante. 
Girando per le vie di Basilea, alla ricerca delle installazioni di Parcours che scandiscono lo spazio urbano, e, all’interno della Fiera, ci convinciamo una volta di più che l’arte non conosce frontiere ed è la quintessenza, sottile e dirompente, di una globalizzazione positiva. Diciamo pure N’en déplaise ad alcuni, in controtendenza a un noto luogo comune, che è anche grazie all’interesse dei “privati”, che sono tutelate libertà e qualità espressiva. (Michele Humbert)

In home: Artbasel Parcours, Katinka Bock, Parasite Fountain, 2017

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