14 luglio 2017

Giotto come non l’avevate ancora visto e sentito. A Venezia, una mostra diversa dal solito

 

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Alla Scuola Grande della Misericordia a Venezia, è iniziata “Magister Giotto“, un’operazione culturale che fa ancora brillare la luce della grande pittura italiana. Baciata dalla Laguna, è l’Italia del ‘300 che viene raccontata attraverso i linguaggi multimediali contemporanei e il fascino senza tempo della voce di Luca Zingaretti, su composizioni originali di Paolo Fresu
Il format, sostenuto dalla direzione artistica di Luca Mazzieri (Cose Belle d’Italia) e impreziosito dal rigore scientifico di Serena Romano nonché da esperti e curatori come Alessandro Tomei, Stefania Paone e Giuliano Pisani, è scandito in alcuni elementi: la vita, il bacio, la croce, la stella. La mostra, visitabile fino al 5 novembre, farà un po’ storcere il naso, visto che non è la classica mostra. Non ci sono opere d’arte ma è un viaggio avanti e indietro nel tempo, con un salto temporale che, dal 1986, risale all’epoca in cui Giotto, a cavallo tra il ‘200 e il ‘300, con Cimabue, Arnolfo di Cambio, Torriti e Cavallini, andava componendo la grande arte italiana. 
L’operazione veneziana, che ha in programma per il prossimo biennio di portare alla luce rispettivamente l’opera di Canova e Raffaello, nonostante l’utilizzo dei media sonori e visivi più contemporanei, non ricorre a facili effetti speciali, che avrebbero eccessivamente spettacolarizzato, ma punta i riflettori sulla figura del pittore toscano, con un resoconto denso, struggente e, sotto il profilo storico artistico, aggiornato alle ultime ricerche. Una rilettura dell’iconografia della Cappella degli Scrovegni vede infatti confutare vecchie ipotesi, gettando nuova luce sugli affreschi padovani. Si sfata, per esempio, il mito secondo cui Enrico Scrovegni avrebbe fatto costruire la cappella per esprimere pentimento per i peccati paterni e invocare il perdono divino. Cadrebbe anche l’ipotesi per cui la mancanza dell’avarizia tra i vizi capitali, fosse dovuta a una pressione da parte del committente. Così come va in frantumi anche l’influenza dantesca nella concezione generale degli affreschi. Sarebbe, piuttosto, la figura di un teologo sconosciuto a fornire la base per quell’unicum che, insieme alle opere di Assisi e Firenze, compone questo impressionante programma iconografico, apparecchiato tra le volte della Misericordia. 
Il percorso per ricomporre l’esperienza artistica di Giotto non si interrompe qui. Con una serie di video, riproduzioni luminosissime, ricostruzioni scenotecniche, aneddoti animati, mappature antiche, totem “spartitraffico” con display dove sono miniaturizzate alcune scene, il viaggio, dopo Firenze, Assisi e Padova, nell’ultima sezione, la più emozionante, diventa interplanetario. Grazie al supporto scientifico dell’Università di Padova, in collaborazione con il professore Cesare Barbieri, lo spazio celeste dell’Adorazione dei Magi si trasforma in un’occasione per ripensare con altri occhi l’universo e le stelle. Il racconto esplora la missione spaziale che nel 1986 lanciò la sonda nel punto più vicino alla Cometa di Halley, la stessa vista da Giotto e che venne inserita per la prima volta in pittura. 
Dopo stelle, elementi naturali, santi resi umani, proiettando, su pareti e schermi piatti, i volti esangui o vividi dei personaggi, i gesti morbidi, le espressioni umane, persino le lacrime commoventi delle donne, motivi che valsero a Giotto il titolo di innovatore della pittura italiana, dopo le rigide forme gotiche, c’è da domandarsi se i limiti di una mostra senza quadri e pitture possono davvero essere superati. E se le finalità del format non siano del tutto distanti da quelle espositive o museali. L’esperienza di “Magister Giotto” è per statuto qualcosa di molto diverso. Tra pixel in altissima qualità, variazioni d’intensità luminose, vecchi frammenti in bianco e nero, suoni e velocità alterate, è un percorso esperienziale che introduce, con un approccio sperimentale, a una nuova modalità di conoscenza e divulgazione dell’arte. Se da una parte viene raddoppiata la bellezza delle immagini associate alle emozioni della musica mista alla voce, la suggestione del cammino giottesco si apre verso i confini del tempo e dello spazio, oltre l’opera d’arte. E allora i tradizionali schemi compositivi vengono trattati come copia-incolla, i volti vengono ingigantiti, le gestualità amplificate o i volumi ridimensionati: le opere riprodotte, è vero, vengono schiacciate all’altezza della visuale dello spettatore ma così facendo semplificano la visione e amplificano il piacere. Le scene, i quadri e le architetture sono spesso minuscole o troppo distanti per essere apprezzate e se operazioni come queste non possono infondere le stesse emozioni, suggerire le stesse curiosità, e rendere lo stesso effetto che si avrebbe vedendo dal vivo un’opera – manca del tutto la visione dello spessore delle trame di una tela, la stesura piatta o rapida del colore, il senso della luce e delle ombre, i residui di pennello, le incisioni di un disegno preparatorio, gli errori ricomposti, o l’ispessimento di una tavola, il cedere di un frammento da un affresco e ancora altri particolari – possono però fare leva su un pubblico meno esperto e sollevare la coscienza della bellezza, avvicinare lo spettatore con un linguaggio più semplice, comprensibile, possono stimolare la curiosità, scintilla della conoscenza. Non servono a sostituire l’esperienza unica, retinica e spirituale, emotiva e conoscitiva che solo la visione diretta di un’opera d’arte può trasmettere. Costituiscono invece una sorta di ipertesto, trasponendo quelle informazioni che un quadro non può dare, fornendo dettagli e informazioni sul contesto storico, geografico, familiare, aiutando alla lettura e all’approfondimento molto di più di quanto una mostra non possa fare. 
Con “Magister Giotto” si va in direzione di mostre oltre il quadro, o meglio senza il quadro. Forse alla ricerca di una esperienza che sia totale, completa, e di un modo speciale che attragga la nostra attenzione. Che restituisca il tempo perduto di una mostra. (Anna de Fazio Siciliano)

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