11 settembre 2017

Icone per caso

 
Parla Roberto Ago, figura anomala dell'arte italiana che, in esclusiva per Exibart, ha accettato di “leggere” mensilmente una serie di immagini. A modo suo

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Roberto Ago è figura poliedrica attiva in molteplici rami inerenti all’estetica. Saggista, editorialista, iconologo, critico, artista, dopo gli studi d’arte presso l’Accademia di Brera sta conseguendo la seconda laurea in filosofia presso l’Università degli Studi di Milano. Ha all’attivo numerose pubblicazioni apparse sulle principali testate nazionali d’arte contemporanea, parallelamente a un’attività espositiva che lo ha visto ospite di importanti gallerie e musei sia nazionali che esteri. Lo abbiamo invitato a concepire una rubrica mensile di critica e approfondimento, e la sua risposta è stata “Icone per caso”, un progetto sui generis che confonde i ruoli di critico e curatore e fa a meno di opere e spazi espositivi. In attesa di svelarvi la “prima puntata”, ecco come ce la racconta l’autore. 
Puoi chiarire le tante anomalie, che peraltro abbiamo accolto con vivo interesse, che accompagneranno questa rubrica che avrà durata annuale?
«Ho trasformato la proposta di individuare e sottoporre ad analisi una serie di esperienze artistiche nell’idea, solo apparentemente balzana, di fare altrettanto con delle testimonianze estetiche che con l’arte non c’entrano nulla e che mi sono limitato a rintracciare nella vita quotidiana senza altra ingerenza che l’opera di individuazione e selezione, perché la ritengo un’iniziativa credibile in un momento storico nel quale, al contrario, l’arte e i display espositivi tradizionali mi appaiono progressivamente logori». 
Logori in quale senso?
«A partire dal XIX secolo, l’arte è andata progressivamente divorziando dalla sua antica funzione antropologica legata a sfera religiosa e ragion di Stato. Rifugiandosi nel mito di se stessa e nella sperimentazione linguistica dei codici, ha ovviato egregiamente alla cosa. Dagli Impressionisti all’11 settembre, non ha conosciuto altro che una dialettica anche acerrima tra vecchio e nuovo canone, la quale ha generato un’arte straordinaria e variegata come mai si era visto. Ma possiamo dire la stessa cosa oggi che la postmodernità, lungi dall’essersi estinta, ha scavalcato gli innovativi anni Novanta per farsi paradigma ubiquo e perenne? Con buona pace dei paladini della cosiddetta “critica istituzionale” (sic), quanto appaiono complementari, manierate e didascaliche le opere che vediamo in giro ormai da una ventina d’anni, senza con ciò negare loro, le volte che c’è, una sapienza estetica?». 
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Roberto Ago, Milano, via Pasteur
Infatti a molti l’arte di oggi sembra godere di ottima salute…
«Ciò è vero solo a condizione di accontentarsi di professionalità e maniera, senza che alcuna innovazione linguistica ci regali nuove visioni delle cose. Sono il primo ad ammettere che mai come oggi è pieno di capolavori manieristi, in tutte le declinazioni, anche se occorre attendere Art Basel per sincerarsene. Va rilevato, d’altro canto, come proprio il manierismo internazionale abbia riconsegnato alle tribù dell’arte quella “religio” che un tempo unificava gli adepti, e che a me annoia». 
Cosa presenterai per ovviare alla situazione?
«Basta arte. A me pare che il mondo sia già pieno di occorrenze estetiche senza arte né parte che non hanno nulla da invidiare al manierismo, anzi, che aspettano solo di essere riconosciute e valorizzate e che testimonino la vita in modi più autentici o “icastici” di tanti artefatti patentati o “fantastici”. Perché dunque non dovrei privilegiarle? Promuoverò tali occorrenze estemporanee al rango di “Icone per caso”, capitalizzando un corpus eterogeneo e volutamente impersonale, ancorché filtrato dal mio sguardo. Interpretandole alla luce di un’ermeneutica che travalichi il mero registro estetico, darò vita a una breve antologia di antropologia delle immagini indirizzata alla contemporaneità». 
Le testimonianze da te compendiate approderanno quindi direttamente a quello statuto documentativo che le opere d’arte mostrano solo in un secondo momento. Cosa puoi dirci in merito?
«Quel secondo momento non si rivela essere il primo e, spesso, l’unico anche per quadri e sculture? Se è soprattutto on line che fruiamo l’arte, rimanendo oltretutto delusi dai rari confronti che riusciamo a effettuare tra i lifting digitali e le rispettive opere, perché non esordire direttamente in rete? Anch’io, come Luca Rossi, ritengo che il display museale sia una vestigia del passato e che lo spettatore, previa educazione dello sguardo, possa rivelarsi artista più efficace di tanti epigoni della tradizione. Oggi si può e forse si deve fare arte anche solo osservando». 
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Roberto Ago, Google
Anche tu sembri voler convogliare diverse professionalità in un’unica figura, visto che apparirai in veste sia di curatore, capitalizzando la creatività altrui, sia di critico, interpretandola e giudicandola, sia di artista, se è vero che dopo Duchamp nominare l’arte significa produrla. Trattasi di una strategia per ovviare al conformismo?
«Solo di riflesso. Mi considero un detective delle immagini non legato in modo esclusivo al mondo dell’arte e impegnato nell’interpretazione prima ancora che nella produzione. Come amo rendere l’iconografia una forma d’arte, così la mia rubrica sarà frutto dei miei interessi per l’esegesi iconica». 
Ritieni in una fase di stanca solo l’arte, o anche la critica e la curatela non se la passano tanto bene?
«La critica è pressoché inesistente, ridotta com’è all’insegnamento accademico, alla burocrazia museale, al giornalismo d’informazione. E naturalmente alla curatela, la quale al contrario vive di fasti che l’arte non può rispecchiare. Tempo fa Francesco Bonami ha addirittura invocato, per ovviare all’attuale stallo creativo che, “more uxorio”, non può che coinvolgere anche la curatela, un’arte anti-duchampiana, incline all’oralità e al registro narrativo in genere. Condivido a tal punto, che il mio tentativo va esattamente in quella direzione». 
Come sfuggire all’attuale sovrapproduzione, se legittimamente si desidera continuare a fare e fruire l’arte?
«Non vedo soluzioni, come in ogni altro settore del mondo globalizzato si tratta di un mostro acefalo, bulimico e in crescita. Come se non bastasse, a partire (non a caso) dal 2001 si è imposto definitivamente il primato sia antropologico che estetico di cinema, televisione e web. Dunque pure di un mostro di quarta categoria si tratta». 
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Roberto Ago, Ikea parcheggio, foto di Guia Zavanella
Ritieni i tre media citati più performanti, oggi, delle belle arti?
«Perché chi può negarlo? Il web è il primo, vero museo d’arte contemporanea al mondo, mentre solo YouTube è meglio di tanta videoarte. Se pensiamo poi alle serie TV, al cinema, alla musica e a quel teatro dei corpi che è lo sport, il confronto appare impari. Le belle arti, dal canto loro, non sanno più cosa inventarsi per vivificare un’estetica intraspecifica stagnante, un pubblico insonnolito e una dimensione antropologica ridotta alla partecipazione rituale a fiere e vernici ricolme di fotocopie del già visto. Il Padiglione Tedesco a Venezia non è un perfetto ritratto del mondo contemporaneo (figuriamoci), ma del sistema internazionale dell’arte». 
Pensi che la tua iniziativa possa ridestare uno spettatore intorpidito?
«Non foss’altro chi, come me, non ne può più. “Icone per caso” testimonia, nel suo piccolo, un momento aporetico dell’arte, quell’insofferenza a consuetudini e sovrapproduzione che a ondate essa stessa produce. Per eludere il manierismo e la congestione imperanti, proporrò rispettivamente una sorta di matrimonio esogamico con il mondo “là fuori” e una salutare forma di “tele-visione”. Il palinsesto? Dodici pillole di vita quotidiana assurgeranno al rango di icone della contemporaneità per ritornare, dopo un mese, a quell’anonimato dal quale sono emerse. Una volta distolto il mio sguardo interpretante, infatti, l’icona svanirà di nuovo, a meno di volerla ritrovare in futuro nel catalogo che la preserverà da un oblio irreversibile». 
Se e quanto la tua iniziativa, indubbiamente venata di spirito sperimentale, saprà rivelarsi al passo coi tempi, sarà il pubblico come sempre a deciderlo. Vuoi rivolgergli un invito?
«Volentieri. Con una tazza di caffè fumante alla mano e le pantofole ai piedi, sono certo che per molti diventerà un appuntamento immancabile». 
Matteo Bergamini

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