25 settembre 2017

Fast & furious, Shanghai

 
Tra “direttori doppi” e musei-showroom, ecco una cartolina dell'arte contemporanea in Cina. Guardando ad Occidente, senza tenere il nostro vecchio tempo

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Strana situazione quella di lavorare in Cina, dove cui molti musei hanno in pratica due direttori: uno messo lì dai privati che pagano la struttura e uno invece posizionato dal Partito Comunista che ha il dovere di rappresentare lo stato. Per esperienza è quest’ultimo che conta parecchio, anche se spesso si tratta di un professore dell’università o comunque di un curatore con esperienza espositiva. Non è un semplice burocrate. Ma è tutto curioso perché comunque la storia del “direttore e del suo doppio” ha delle conseguenze interessanti anche per lo stile completamente diverso dei due ostentato pubblicamente. Il “privato” parla perfettamente inglese e veste alla moda, si vede che frequenta il mondo dell’arte internazionale. Il “pubblico” invece è molto dimesso, non veste maoista perché ormai non lo fa più nessuno, ma è uno che è passato prima ai grandi magazzini, e la sua sciatteria equivale ad una divisa d’ordinanza. 
Curiose storie succedono da quelle parti, anche quelle di una proliferazione ad libitum di musei, piccoli, grandi, medi che non ha uguali ma che poi andrebbero tutti verificati perché certe volte viene chiamato “museo” quella che è una semplice showroom. Certo è che in Cina le cose si muovono, e anche in fretta. 
A Shanghai succedono molte cose importanti e comunque è una città che è storicamente legata il  con il mondo Occidentale, e l’Europa soprattutto. Basti pensare al ruolo sempre più importante del Center of Photography aperto nel 2015 sponsorizzato da Bottega Veneta o della Power station che inseriscono artisti internazionali in un programma sempre legato agli artisti cinesi.  
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MoCA Shanghai
C’è voglia e interesse di conoscere una storia che non è la loro, ma senza dimenticare di valorizzare l’arte di casa propria. Quest’anno è stato anche quello del successo straordinario della grande mostra “Giorgio de Chirico e Giorgio Morandi. Raggi di luce nell’arte italiana moderna”, in un nuovo spazio espositivo, il Modern Art Museum di Shanghai, creato appositamente dal gruppo Halcyon (a Londra ha sede in Bond Street) per ospitare mostre temporanee di importanti artisti di fama internazionale. Già deposito di carbone, con il suo molo sul trafficatissimo Huang Pu, questo nuovo museo arricchisce la complessa e articolata scena artistica di Shanghai. Questa certamente vive un’intensa stagione di eventi speso difficili da ricollegare o da ridurre un denominatore comune, ammesso che questo serva. La stessa vicenda dell’M50 (50 Moganshan Road che in cinese si scrive 莫干山路50号 indirizzo utile se ci si va in taxi) è abbastanza significativa perché il quartiere dell’arte ormai è inserito nelle guide di Tripadvisor. Quando si entra nel Time Magazine tra le dieci cose da fare o visitare a Shanghai, è chiaro che qualcosa è cambiato rispetto alle origini. Questa una realtà post-industriale simile ad altre nel mondo tra cui la 798 di Pechino non a caso è di proprietà del più grande gruppo tessile di stato, la Shangtex. 
Dal 2000 artisti come Xue Song, Ding Yi, Qu Fengguo, Wang Xingwei hanno aperto i loro studi: tanto spazio e affitti bassi. Poi sono arrivate gallerie come la ShanghArt Gallery, la Eastlink Gallery e la ArtScene e si è creato un trend e un luogo di riferimento in cui artisti famosi ed emergenti vivono a stretto contatto.  Per esempio il collettivo artistico Liu Dao, fondato dal francese Thomas Charvériat nel 2006, risiede alla Island6 Gallery (una delle numerose gallerie del collettivo), realizzando opere dal carattere artistico-tecnologico ormai presenti in musei e collezioni di tutto il mondo.
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ShanghaiArt Gallery
Questo quartiere pur turisticizzato resta un campo di energia. In Cina si avverte molto questa tensione positiva a fare delle cose, a conoscere, a scambiare delle esperienze. “Energy field – Transmedia art exibition” curata da Yang Qingqing è una mostra interessante in un luogo importante come il MoCa di Shanghai, museo d’arte contemporanea inserito nell’incantevole e storico Parco del Popolo di sapore gradevolmente maoista. Un angolo di verde ormai ipervissuto in mezzo alle erezioni dei grattacieli.  Il MoCa fu fondato nel 2005 (tanto tempo fa secondo il ritmo cinese), dalla prima organizzazione no profit a osare tanto. “Transmedia Art” è una mostra-manifesto curata da un artista di riferimento per la giovane arte cinese. 
Ma cos’è questo concetto di Transmedia, che a noi ricorda quello di Postmedia che si muoveva negli anni 2000? Si tratta di mettere in evidenza una sensibilità mutata nella confluenza tra le arti. Niente confini, forme casuali di fusione, nascita di significati inattesi. Per la curatrice l’arte è “Una scienza radicata nella libertà” e i suoi numi tutelari sono Beuys “L’arte è l’unico potere per liberare l’umanità da tutte le repressioni” oltre che l’anarchico Duchamp, colui che ha mostrato la via a fregarsene delle convenzioni e delle ideologie. Curiosamente Yang Quinqing non cita la Transavanguardia, mentre mette l’accento sul termine “trans” come attraversamento ma anche come luogo/non luogo di arrivo dei linguaggi contemporanei. La vera natura della Transmedia Art va contro le definizioni razionali di medium e espressioni artistiche e che sfuoca i confini del pensiero, dell’emozione, della coscienza per diventare una forma unica, nuova un’originale forma di narrazione. Gli artisti esposti quasi tutti cinesi ed giovani tranne i tedeschi Beuys ed  Erhard Walther, lavorano con strumenti tecnologici tra video, foto digitali, installazioni interattive. In questo concetto, indefinito quanto inevitabile, c’è anche molto dell’Intermedia di Dick Higgins, profeta del Fluxus 50 anni fa: tanti per noi, ma per i cinesi sono un abisso incolmabile. 

Valerio Dehò

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