02 gennaio 2018

Anche il futuro invecchia!

 
Al Centro Arti e Scienze Golinelli una serie di opere ci dicono come siamo, e che uso abbiamo fatto del progresso. Nel bene e nel male, con un po' di previsioni avverate

di

Con la mostra “Imprevedibile: essere pronti per il futuro senza sapere come sarà” a cura di Giovanni Carrada per la parte scientifica e Cristiana Perrella per la parte artistica, è stato inaugurato il nuovo Centro Arti e Scienze Golinelli, ricavato dall’opificio omonimo, progettato da Mario Cucinella Architets, per la “città della conoscenza e cultura”. 
Il nuovo edificio destinato a ulteriori lavori di ampliamento, in un anno raggiungerà un’area di 14mila metri quadrati e lo spazio interno è privo di ripartizioni per garantirne la massima flessibilità. Il nuovo parallelepipedo (di 30 metri per 20, alto 8), dall’esterno lo si distingue per una griglia modulare metallica, sul modello dei cubi bianchi di Sol LeWitt tanto per chiarire. Questo “volume” minimalista di forma geometrica, chiuso, dalle pareti semi trasparenti, stile anni ‘90, vive anche di illuminazione notturna per caratterizzare l’area industriale defilata in cui si colloca. 
Di scena in questo contesto ecco la settima mostra prodotta dal 2010 da Fondazione Golinelli (fondata nel 1988 e considerata punto di riferimento nel campo della promozione della cultura scientifica e della formazione), e nel titolo c’è il tema: preparaci al futuro comunque vada. 
Le tematiche indagate nelle mostre precedenti ideate e prodotte dalla Fondazione Golinelli sono state l’atmosfera, il rapporto tra uomo e tecnologia, le nuove età della vita, le energie della mente, la scienza del gusto, la libertà, e con quest’ultima esposizione, ospitata nel nuovo centro, una cosa risulta chiara: il futuro pare già invecchiato. La mostra, con uno sguardo trasversale, tenta una ricognizione su cosa intendiamo e come immaginiamo il tempo che verrà attraverso opere di 16 artisti internazionali. Peccato, però, che nessuna sia partecipativa, o creata site specific. 
null

Veduta della mostra IMPREVEDIBILE, Centro Arti e Scienze Golinelli, Bologna. Foto: OKNOstudio

Il percorso espositivo si articola in sei sezioni dalle intenzioni investigative teoriche interessanti: Il futuro arriva comunque; Il futuro crea più di quanto distrugga; Il futuro non si lascia prevedere (per fortuna); Il pregiudizio contro le cose nuove; Fare i conti con la natura; Chi non innova rischia di perdere anche il proprio passato: in ognuna di queste troverete opere che declinano i temi suggeriti. Sono eccellenti i video documentari scientifici di carattere divulgativo, visibili nel sito del museo (www.artescienzaeconoscenza.it).
Le opere esposte, per lo più sculture, ci informano su come siamo, che uso abbiamo fatto del progresso nel bene e nel male e sono “griffate” da artisti di fama internazionale: Paolo Bronstein, Martin Creed, Flavio Favelli, Martino Gamper, Tue Greenfort, Ryoji Ikeda, Christian Jankowski, Elena Mazzi con Sara Tirelli, Tabor Robak, Nasan Tur, Tomas Sarceno, Yinka Shonibare MBE, Little Sun, Superflex, Joep Van Lieshout, Ai Weiwei
Fortunatamente il futuro non esiste, lo immaginiamo per rassicurarci contro l’incertezza e la complessità del presente, la paura di un domani imprevedibile, angosciati come siamo dell’impossibilità di controllare le evoluzioni della nostra civiltà secondo schemi prefissati; tanto poi non tutto va come pianifichiamo. Tra le altre opere, è ipnotica l’unica installazione multimediale sui Big Data (2011) del compositore giapponese di Ryoji Ikeda (1966); è interessante Christian Jankowski (1968), con il video Telemistica (1999), paradossale e un po’ datato, ma illuminanti sono le sue tematiche crossmediali nella Babilonia della comunicazione contemporanea. Il video fu anche esposto nell’ambito della 48esima Biennale di Venezia. 
null

Veduta della mostra IMPREVEDIBILE, Centro Arti e Scienze Golinelli, Bologna. Foto: OKNOstudio

Olafur Eliasson (1967), artista ingegnere danese conosciuto per opere ambientali site specific spettacolari, auspica un futuro di sviluppo sostenibile con un un progetto etico condiviso, ovvero Little Sun: una piccola lampada a forma di girasole che funziona ad energia solare, creata con la collaborazione dell’ingegnere Frederick Ottosen. Convince la sua proposta di un’arte sociale, a favore di una cultura sostenibile-imprenditoriale, con l’intento di portare la luce ed energia là dove manca coniuga tecnologia, design ed etica. Spicca tra le altre opere il video Mind Map (2017) di Tabor Robak (1986), con visioni di grafismi seducenti digitali, sviluppato utilizzando il linguaggio dei videogames che invita a riflettere sul potenziale dei new media art. Sempre poetiche e vagamente nostalgiche ma non retoriche, gli assemblaggi di insegne luminose di Flavio Favelli (1967), della serie Mille luci (2017): icone del linguaggio di notturni urbani dell’Italia tra il boom economico e gli anni di piombo, con scritte, nomi e prodotti, loghi e disegni luminescenti, stile Las Vegas. Di Tomas Saraceno (1973), c’è una grande scultura fluttuante Cosmos Fabric (2011), dalle forme organiche come “antipasto” sul tema della biodiversità ambientale: una sfida del futuro per eccellenza, nel segno di una biologia tecnologica concepita nel rispetto della natura. Di Ai Weiwei (1957), pop star del dissenso, c’è Very Yao (2008), maxi scultura composta con assemblaggi di bicicletta, il mezzo di trasporto della Repubblica Popolare Cinese oggi desueto, già vista a Palazzo Strozzi a Firenze in occasione della sua mostra personale. Insomma, il futuro prima o poi invecchia, e anche se a volte è un po’ “prevedibile” va premiato l’intento di divulgare la conoscenza e la cultura scientifica applicata all’arte.   
Jacqueline Ceresoli

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui