24 gennaio 2018

MUSICA

 
Due inaugurazioni di stagione, a Roma e a Napoli. Con una "Fanciulla" e una "Damnation"
Di Luigi Abbate

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La precedenza alla Capitale non per diritto costituzionale, ma perché, trattando la rubrica suoni e visioni in modo equanime, lo impone l´assai immaginifica Damnation de Faust di Hector Berlioz che apriva la nuova stagione dell’Opera di Roma. Protagonista Damiano Michieletto, regista che torna al Teatro Costanzi per la terza volta in meno di due anni. Ex enfant terrible della messa in scena operistica, Michieletto oggi è ormai in grado di farsi riconoscere per un segno nel quale attualizzazione e simbologia non sono più (ma forse per lui non lo sono mai stati) elementi di provocazione, ma strumenti per offrire attraverso la messa in scena un nuovo possibile punto di vista sull´opera proposta. Quando poi l´opera non è un´opera, come nel caso della Légende dramatique di Berlioz, ma un´invenzione che rilegge il mito di Faust, del Faust goethiano, partendo dall´assunto in base al quale “la légende du docteur Faust peut être traitée des toutes manières”, così scrive il compositore francese, per esempio facendo morire dannato in un Pandemonium il protagonista, e viceversa elevando all´apoteosi Margherita, in un finale piuttosto edulcorato e improbabile, beh, allora c´è spazio per un cospicuo numero di licenze. Michieletto, in maniera, come si diceva, matura e consapevole dei propri (notevoli) mezzi  inventivi, ne sceglie una, quella della proiezione, forse facendo anche leva sulla sfumatura di significato psicanalitico del termine, e con ciò  immaginando un Faust giovane, emotivamente irrisolto, isolato dal mondo reale e completamente calato in quello virtuale. Mefistofele di bianco vestito lo accompagna e lo seduce con tutta l´ambiguità del caso. Quantomai centrato nel contesto scenico il dettaglio della steadycam che sottolinea ingrandendo nella proiezione (di nuovo il termine) sullo schermo oggetti-simbolo (la chiave) o umori e stati d´animo. Dice il regista veneziano che la telecamera mobile è un po´ come l´occhio dello stesso Mefistofele, ma forse è qualcosa di più, una proiezione (…) orwelliana invasiva e pervasiva che tutti coinvolge. 
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Damnation de Faust, Hector Berlioz, Teatro dell’Opera
Formalmente Michieletto la risolve sottolineando una certa frammentarietà, tipicamente berlioziana, della partitura musicale, circoscrivendo il racconto (immaginato più che conseguentemente proposto dallo stesso Berlioz) in tableaux con tanto di numerazione e titolazione, soluzione resa in modo elegante, anche se didascalica. Si diceva, la proposta non prescinde dall´idea di un rapportarsi con il mezzo visivo, (video, internet, social) come unico drammatico interlocutore di una realtà virtuale, e basata sul fallimento della comunicazione diretta, fisica. Originale in questo senso la scelta di accompagnare l´ascolto della celebre Marcia di Rákóczy, ossia la scampagnata di Faust in terra ungherese, con una forte scena di bullismo che Faust immagina di (ri)vivere, con tanto di ripresa da parte degli aggressori attraverso il proprio telefonino.  Lo scarto poi con la scena d´amore, nella terza parte, scena prontamente interrotta da Mefistofele sul piu bello, ambientata in un contesto completamente differente, floreale, del giardino creato da Mefistofele per i due amanti (qui il regista ci dice di far riferimento alla pittura di Lucas Cranach il Vecchio), con, aggiunta l´insegna di un Motel Paradise, crea uno scarto forte e fortemente voluto, anche in questo caso teatralmente assai efficace. Il coro nella Damnation non interloquisce come personaggio, ma commenta, e non a caso viene collocato in posizione estranea, sopra la scena, opacizzato da un tulle scuro fino all´illuminazione calda dell’apoteosi finale, dove si rivela pienamente. 
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Damnation de Faust, Hector Berlioz, Teatro dell’Opera
E la musica, la resa musicale, in tanta proiezione visivo-immaginifica? Partiamo dal fondo, prova eccellente del coro del Teatro dell´Opera istruito come sempre con cura ed esperienza dal suo maestro titolare, Roberto Gabbiani. La direzione era affidata a Daniele Gatti, il quale, tiene a sottolinearlo, arriva a questa Damnation nel segno della continuitá rispetto a un lavoro interpretativo avviato sul capolavoro sinfonico dello stesso Berlioz, la Symphonie fantastique, a Parigi e Amsterdam, le due capitali europee con le quali Gatti ha avuto e continua ad avere un intenso rapporto artistico; ma anche Milano, con la Filarmonica della Scala. Ho ascoltato quella Fantastica  nell´aprile scorso, una lettura originale e molto affascinante, scelta di tempi mai inutilmente concitati, più riflessivi del consueto, che rivelavano sfumature timbriche ed espressive inedite del capolavoro di Berlioz. Anche in questa nuova occasione romana e su una partitura dello stesso autore, nella quale si posson trovare elementi di contiguità ma anche sensibili differenze, l´atteggiamento interpretativo di Gatti è del tutto coerente con l´esperienza maturata in precedenza. In sintesi, una lettura molto attenta all´analisi, che arriva così a mettere a nudo la propensione quasi prestravinskiana di Berlioz per l´asimmetria, ma allo stesso tempo una lettura drammaturgicamente efficace. Ne hanno certamente tratto giovamento gli interventi vocali, su tutti il Mefistofele di Alex Esposito particolarmente apprezzato anche dal pubblico sia per la prestazione in voce che per quella attoriale. Un Mefistofele molto dongiovannesco, direi “ormonale”.
Da segnalare, e non come contorno, in occasione di questa apertura di stagione, e oltre, cioè fino all´11 marzo, la mostra “Artisti all´Opera” al Museo di Roma, Palazzo Braschi, con dipinti originali, bozzetti e costumi riguardanti interventi scenici di alcuni tra i protagonisti del Novecento artistico chiamati ad operare presso il teatro capitolino dal 1880 al 2017.
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Fanciulla del West, San Carlo
A Napoli apre una Fanciulla del West che mancava al Teatro di San Carlo da quarantadue anni. Autentico capolavoro di Giacomo Puccini  –  La Girl è riuscita per me la migliore opera, scrive l´autore, conscio dell´importante punto di svolta stilistico e compositivo che il lavoro, (1907-10) segnava -, è  in realtà opera assai meno frequentata dei titoli (nazional)popolari (Bohéme, Tosca, Butterfly, Turandot). Non a caso fu amata da un grande intellettuale della direzione d´orchestra, Giuseppe Sinopoli. Non a caso un direttore come Riccardo Chailly, che sta portando avanti un importante progetto di rinnovamento della prassi esecutiva pucciniana, ne ha proposto al Teatro alla Scala nel 2016 la versione originale, ripulita da tagli e interventi a suo tempo operati da Toscanini e rimasti come tradizioni. C´è una ragione a tutto, e qui le ragioni stanno nella difficoltà di trovare un ruolo vocale, quello del titolo, sufficientemente versatile al punto da combinare toni sfumati e vigore quasi espressionista (più che, propriamente, verista), ma soprattutto un´orchestra in buca tecnicamente attrezzata per affrontare soluzioni dinamiche e timbriche di grande raffinatezza, e naturalmente un direttore in grado di portare queste peculiarità alla giusta temperatura. Nella produzione che ha aperto la stagione in corso del teatro napoletano la prima condizione non ha soddisfatto le attese.  Autorevole presenza scenica a parte, la voce del soprano statunitense Emily Magee possiede i numeri dei ruoli wagneriani e straussiani, ma, oltre ad apparire per l´occasione piuttosto stanca e debole nei gravi, non ha dato l´impressione di dominare in modo convincente l´impegno double-face cui si accennava, quell´agire dell´eroina pucciniana fra i toni del carisma di donna in un mondo di soli maschi e, all´opposto, della passione tenera e del fuoco di un amore difeso fino all´ultimo. E dire che negli ultimi anni la Magee s´è presentata a più riprese nel ruolo di Minnie.  Restando sul cast, Claudio Sgura (Rance) e  Roberto Aronica (Johnson), han confermato entrambi i pregi manifestati da tempo nei rispettivi ruoli, a partire dalla citata produzione scaligera diretta da Chailly per la regia di Robert Carsen.
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Fanciulla del West, San Carlo
Si deve dare invece un voto pieno alla soddisfazione della seconda condizione sine qua non per una buona resa della Fanciulla. L´orchestra ha fornito un´ottimo servigio alla preziosissima partitura di quest´opera. Merito di Juraj Valčuha, quarantaduenne, slovacco, da poco piú di un anno direttore musicale del teatro napoletano.  Gran lavoro di fino il suo, nel curare una scrittura orchestrale che, ancor piú della voce di Minnie fa convivere momenti di forte densità espressiva, se non di violenta  tensione emotiva, come la partita a poker nel secondo atto, con momenti di straordinaria delicatezza come il Finale del primo atto. Valčuha s´è fatto conoscere e apprezzare in Italia dirigendo per anni la Sinfonica Nazionale della Rai, e quell´importante lavoro sull´orchestra viene a suo merito e a giovamento della sua nuova compagine, questa volta votata soprattutto al repertorio operistico.
Hugo De Ana, che curava come di consueto anche scene e costumi, non rinuncia neppure qui al suo proverbiale horror vacui. Il palcoscenico è sempre stracarico, più che di cose, oggetti, ammennicoli, direi di situazioni, e di conseguenza manca quella leggerezza necessaria soprattutto a sottolineare il discrimine sia scenico che formale fra gli episodi d´insieme e i momenti intimistici, o comunque costruiti sui singoli.
A chiudere, una volta tanto, un giudizio anche sul pubblico del San Carlo. Saró lapidario: inqualificabile. La misura era già colma per via del sistematico ritardo nell´ingresso in sala, un malcostume che è ormai tradizione non sradicabile; degli scatarramenti; del prurito dell´applauso anzitempo che scatta alle mani di quel famoso figlio di mamma sempre gravida sulle già nominate ultime armonie del  primo atto da gustare in religioso silenzio; dei miagolii della vecchia carampana nella poltrona alle spalle sull´unico pezzo chiuso dell´opera (Che ella mi creda libero e lontano). Ma poi, invece di riconoscere almeno la cortesia d´un apprezzamento al lavoro dei protagonisti e della gente di teatro sul e dietro al palcoscenico, a fine spettacolo tutti di corsa verso il guardaroba per raccattare lo sdruscito redingote o lo spelacchiata pellicciotta! Il Teatro San Carlo è … a´ fin ro´munn, una gioia per la vista e per l´udito, la responsabile di sala una persona di sensibilità e cortesia, le maschere fanciulle deliziose, gentilissime ed eleganti, c´è persino l´ascensore, ma, dico io, il pubblico, dopo essersi fatto tanto pregare per entrare, con tutto il tempo che ha a disposizione… che fretta c´è, direbbe anche Biagio Antonacci! 
Luigi Abbate

La Damnation de Faust sarà riproposta al Teatro Regio di Torino

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