27 novembre 2018

DANZA

 
“Lasciateci sognare”: una notte di gala a Padova
di Giuseppe Distefano

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È un’intramontabile, ancora luminosa stella. Di quelle che continuano a brillare anche quando ormai scruti altrove e poi improvvisamente ritorni a guardarla e ti accorgi che la sua luce è sempre lì. Anche se già da tempo ha dato addio alle scene, di tanto in tanto Luciana Savignano la ritroviamo a calcare ancora il palcoscenico per un gala o un evento. E si rinnova sempre la magia della danza. È quanto avvenuto a Padova al Gala di danza contemporanea della quindicesima edizione del Festival “Lasciateci sognare” diretto da Gabriella Malvezzi Furlan, manifestazione che ha assegnato alla Savignano, durante un’affollata cerimonia, il Premio Sfera Danza 2018 alla carriera. Sempre pronta a mettersi in gioco la settantaquattrenne étoile, dal fisico malleabile come un giunco e una morbidezza ancora intatta, si è lasciata forgiare dalla coreografa Milena Zullo in una creazione espressamente costruita addosso a lei: una nuova versione di Bolero dal sottotitolo Prigionia di un amore, circondata dai giovanissimi ballerini del Progetto PadovaDanza, privilegiati interpreti accanto alla meravigliosa icona dell’arte di Tersicore. Musa prediletta di Béjart nel suo leggendario Bolero al femminile, Savignano si è prestata con generosità a questa nuova sfida coreografica che l’ha vista dare corpo ad un grido contro il femminicidio, tema della composizione di Zullo. Sulla musica ipnotizzante di Ravel, Savignano, dal fisico dinoccolato ed esilissimo, tesse con le sue braccia sinuose vibranti movimenti e gesti taglienti che segnano il racconto della prigionia di un amore malato, un mantra che grida dentro il silenzio nel mezzo di una massa che la attornia, la strattona, la solleva, fino a liberarsi mentre piove dall’alto una cascata di scarpette rose. La gran maratona di danza ha visto alternarsi un nutrito drappello di danzatori e coreografi, tra cui Valerio Longo con l’anteprima assoluta dell’inedita creazione Nine Bells (una produzione della Fondazione Nazionale della Danza/Aterballetto in collaborazione con l’Associazione La Sfera Danza), performance per un danzatore e un percussionista, Simone Beneventi, con nove campane a lastra, sull’opera omonima del 1979 del compositore Tom Johnson. Raphael Bianco con la sua compagnia EgriBiancoDanza ha presentato due intensi brani Apparizione #4 e Apparizione #5: sette danzatori in nero in un’atmosfera rarefatta tra suoni sospesi e clangori, tra slanci nervosi e figurazioni a terra, prese graffianti, avvinghiamenti e corse, mentre si susseguono assoli, duetti e terzetti sempre in tensione. Di richiamo la presenza del danzatore siriano-palestinese Ahmad Joudeh, noto per la sua arte coraggiosa che insorge sulle rovine di un mondo in guerra. Sulle proiezioni di immagini di rovine sullo sfondo, e i suoni di un canto doloroso, con una lunga gonna bianca Ahmad ha danzato una sua coreografia dal titolo Sacrifice, un atto simbolico di preghiera che accomuna tutte le religioni.
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Quanto Basta di Federica Galimberti-photo di Mario Sguotti
A precedere il Gala si è svolta la Vetrina di Danza Contemporanea, protagonisti giovani autori e giovani interpreti. La coppia Claudio Pisa e Laura de Nicolao per il loro duetto In Timeless Passion, si sono ispirati al celebre bacio di marmo di Rodin ripercorrendo a ritroso i momenti di un amore in bilico tra il desiderio e la fuga, l’unione e il distacco. Svestendosi e rivestendosi sostando su due sedie frontali dalle quali si guardano, i loro gesti di sfioramenti e slanci, di passione e fulminei contrasti, si bloccano e si rianimano di continuo tra buio e luce, ma con troppi tempi statici, sulla musica di Max Richter e Apparat, per finire abbracciati sulle note della canzone “Che m’importa del mondo”. Altra coppia quella di Michela Lorenzano e Giovanni Fregonese, interpreti della coreografia della veneziana Laura Boato Hic et Nunc | Noi. Ora. Qui. che si apre sulla voce di Carmen Consoli in contrasto con l’immobilità e la distanza dei due, successivi tentativi di avvicinamento e unione, tra movimenti convulsi e sequenze frammentate. Quanto Basta, creazione di Federica Galimberti per E.sperimenti Dance Company e i giovanissimi danzatori del Corso di Perfezionamento Professionale Padova Danza, è una fulminante fotografia di una stravagante comunità in competizione animata da ansia di prestazione, che infine si accorgerà che si può essere liberi e sinceri senza per forza dover dimostrare qualcosa. Un’altalena rossa e dei microfoni sospesi oscillanti sono gli elementi in scena che accompagnano la teatralità di una danza articolata e ironica con l’utilizzo di voci, una sorta di babele delle lingue che rende surreale l’immaginario dei quattro interpreti tra cui spicca, per espressività e padronanza tecnica dei diversi stili, il giovanissimo Toni Flego. 
Non sono mancate due presenze della coreografia internazionale: Itamar Serussi Sahar e Pompea Santoro. Serussi Sahar, israeliano, già danzatore per la Batsheva Dance Company, e dal 2014 allo Scapino Ballet di Rotterdam dove è coreografo residente, è autore di uno stile personale che sperimenta i limiti fisici attraverso l’umorismo e l’improvvisazione cercando di andare oltre la danza tradizionale. Lo si è visto in Mono, un estratto basato su un lavoro nato per la Danshuis Station Zuid nel 2012. Creato per i danzatori del C.P.P. Padova Danza sulle sonorità originali di Richard van Kruysdijk, storico collaboratore del coreografo, l’accattivante brano alterna movimenti segmentati, plastici dinamici, a gesti fluidi e ginnici. I cambi d’atmosfera, con canzoni, silenzi, e musica martellante, colgono i danzatori – in pantaloncini colorati e t-shirt -, solitari, disposti in file, in cerchi, con assoli e duetti sardonici e movenze che li rendono simili a cartoons. E sono davvero bravi i giovani danzatori che hanno ben assimilato il complesso linguaggio del coreografo. Storica interprete del Cullberg Ballet di Mats Ek e attualmente direttrice di Eko Dance International Project, Pompea Santoro ha ricreato alcuni estratti dello storico Giù nel Nord di Mats Ek, creazione del 1985 sulle vivaci musiche popolari svedesi. È la storia danzata degli abitanti di un piccolo villaggio in cui i personaggi ben delineati fanno da pretesto ad una riflessione più ampia, ovvero sul tema della diversità, sui sentimenti che ci accomunano e sul bisogno della luce, tema ricorrente nella vita del nord Europa. Energica, potente, luminosa, e contemporaneamente nostalgica, delicata, struggente, la danza rivela il segno inconfondibile di Mats Ek, quell’incarnazione di un movimento estetico che galvanizza l’esperienza interiore. 
Giuseppe Distefano

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