18 dicembre 2018

Eva Frapiccini a Senigallia

 
Il progetto nasce nel 2014 da un’idea dell’artista nell’ambito di un progetto espositivo sul tema della legalità, a cura di Connecting Cultures, Isole e Caterina Niccolai, presso il Tribunale di Palermo

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Le associazioni Connecting Cultures e Isole inaugurano al Palazzetto Baviera di Senigallia, la terza e ultima tappa del progetto “Il Pensiero che non diventa Azione avvelena l’Anima” di Eva Frapiccini, vincitore della prima edizione di Italian Council. Visitabile fino al 2 marzo 2019, l’opera entrerà a far parte delle collezioni del Museo Comunale d’Arte Moderna, dell’informazione e della fotografia (MUSINF). Ne abbiamo parlato con la curatrice Laura Riva e con la stessa artista.
Laura, come nasce “Il Pensiero che non diventa Azione avvelena l’Anima”?
«Nell’autunno 2013, dai dialoghi e dalle riflessioni tra Connecting Cultures di Milano, Associazione Isole di Palermo e l’avvocato Caterina Niccolai, nasce una proposta inedita: realizzare una mostra d’arte collettiva, in grado di affrontare i temi della contemporaneità e della recente storia italiana all’interno di uno spazio del tutto distante dalle consuete sale espositive, il Tribunale di Palermo. Il titolo e il concept iniziale, “Sulle tracce della storia. Per una cultura della legalità”, invitava gli artisti selezionati – Francesco Arena, Tommaso Bonaventura e Alessandro Imbriaco, Gianluca e Massimiliano De Serio, Eva Frapiccini, Giuliana Racco, Maria Domenica Rapicavoli, Anna Eghenter Scalfi – a riflettere sull’eredità lasciata dalle numerose stragi di mafia, attraverso il medium artistico, proponendo nuove chiavi di riflessione. Tra gli artisti Eva fu la prima a svolgere una residenza a Palermo nel 2014 e ad elaborare una prima idea di progetto, che prendeva le mosse dal suo lavori precedenti, in particolare Muri di Piombo (2005-2007). Per quanto questo lavoro avesse ricevuto il consenso e l’appoggio di alcuni membri interni allo stesso Tribunale e di alcuni giornalisti da tempo impegnati nelle indagini sulle vicende legate alle guerre di mafia, la mancanza di fondi ha impedito di portare a compimento la sua realizzazione. A giugno 2017, a tre anni di distanza, grazie al bando Italian Council, ideato e sostenuto dalla Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane (DGAAP) del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, è stato possibile per noi riprendere in mano il progetto palermitano di Eva, arricchendolo di nuove residenze, contenuti e collaborazioni da cui è nata l’installazione fotografica esposta per la prima volta nell’Archivio Storico Comunale di Palermo durante l’estate 2018».
Questo progetto, curato da Connecting Cultures e Isole, quali realtà di Palermo ha coinvolto?
«Coerentemente con la metodologia di lavoro di Connecting Cultures e di Isole, l’intero progetto di Eva è stato concepito come percorso di partecipazione e di coinvolgimento attivo delle realtà locali, senza le quali non sarebbe possibile valutare e misurare l’impatto che possono avere azioni artistiche di questo tipo. A Palermo quindi ha preso vita un modello di progettazione culturale, dove il lavoro di ricognizione in loco, mediazione e relazione sul territorio propri del progettista, si sono intrecciati e hanno dialogato con la creatività e l’intuizione dell’artista e con tutto il tessuto di saperi e conoscenze locali. Abbiamo, dunque, coinvolto istituzioni come il Comune di Palermo – Assessorato alla Cultura e alle Politiche Giovanili, Scuola, Lavoro, Salute – che ci ha dato la possibilità di entrare a far parte del programma di Palermo Capitale Cultura 2018; l’Archivio Storico Comunale, che ci ha ospitato per più di due mesi nella sua meravigliosa Sala Almeyda; le scuole – tra cui i Licei Artistici Catalano e Ragusa-Kiyohara – che hanno contribuito concretamente alla realizzazione della mostra; l’Accademia di Belle Arti di Palermo, che ha attivato tirocini curricolari per gli studenti del corso di Didattica dell’Arte, di Allestimento e di Fotografia. Di fondamentale importanza – e che non smetteremo mai di ringraziare – i familiari delle vittime, che hanno aperto le proprie case e le proprie memorie all’artista; gli archivi, gli istituti di ricerca, tra cui l’Istituto Gramsci Siciliano, così come le biblioteche che hanno messo a disposizione del progetto quanto in loro possesso e che hanno permesso all’artista di concludere le sue indagini.
Il progetto, infine, ha dato vita a un processo virtuoso dove singoli individui così come attività locali – tra cui l’emittente locale TRM e le Cantine Val di Suro (entrambe in amministrazione giudiziaria) – si sono avvicendati, sia per curiosità che per condivisione di ideali, nelle varie fasi di progettazione, dando contributi di volta in volta diversi. Senza tutti loro non sarebbe stato possibile realizzare questo progetto».
Eva, cosa ti ha lasciato la tua residenza in Sicilia di sei mesi dove hai svolto un’indagine sulle vittime e i protagonisti delle guerre di mafia?
«Ho conosciuto molte realtà diverse, anche lontane dal mio mondo: magistrati, giornalisti, politici, militari, sono categorie asettiche finché non conosci di persona quante persone e approcci differenti ci sono all’interno di esse. In questo variegato mondo di diverse storie di vittime di mafia, c’è un comune rispetto per l’operato di esponenti eroici della lotta alla mafia: Rocco Chinnici, Peppino Impastato, Giulio Francese, Paolo Borsellino, Pio La Torre, e Giovanni Falcone. Senza di loro non si sarebbe fatta giustizia per molte vittime. Con alcuni familiari ho avuto solo un reciproco scambio di informazioni, con altri si è creato un rapporto umano incredibile, di rispetto o un rapporto di empatia per vicinanza anagrafica. Alcuni di loro li ho rivisti dopo quattro anni, con qualcuno non ci siamo mai incontrati, altri mi hanno incontrato solo una volta. A ogni modo, io mi sento debitrice di ciascuno di loro, perché mi hanno permesso di continuare il mio lavoro, dandomi un quadro storico tangibile attraverso aneddoti e storie diverse. Ho avuto un posto in prima fila nella visione di un frammento ancora misterioso di storia italiana dagli Settanta ai Duemila. Non dimenticherò mai i brividi di entrare nello studio intatto di Paolo Borsellino, per cui sarò sempre grata ai suoi figli: è stato un privilegio fotografare quel luogo dove tutto è stato preservato dal 18 luglio 1992. Il loro senso di memoria è davvero totale, e tanto più difficile in quanto si unisce alle vicende personali». 
Come si articola e come si svolgerà questa terza e ultima tappa del progetto?
«Il Museo Comunale di Fotografia e dell’Informazione di Senigallia accoglierà nelle proprie collezioni (che vantano già lavori di Cucchi e Giacomelli) l’installazione fotografica che ha viaggiato dall’Italia al Belgio. L’installazione rimane visibile e “toccabile” nella nuova sede di Palazzetto Baviera, nel centro della città, fino a inizio marzo e, quindi, sarà a disposizione dei visitatori durante le vacanze di Natale. Successivamente, è in programma una mostra in Inghilterra e il museo si occuperà di predisporre questo e i successivi prestiti. Sono, pertanto, molto contenta che il Premio Italian Council mi abbia permesso di lasciare in custodia questo progetto tanto complesso». 
Il progetto comprende anche un libro, edito da Silvana Editoriale, ideato insieme a te. Come è stato concepito e qual è la sua struttura?
«Il libro del progetto è molto più vicino al libro d’artista che al catalogo. Ho strutturato la riproduzione delle stampe fotografiche, ristabilendo lo stesso gioco di fronte e retro dell’installazione dei documenti fotografati: perché ridesse l’esperienza dell’oggetto. Quindi, il movimento del voltare la pagina del libro ha una perfetta corrispondenza nel fronte e retro dell’oggetto agenda o post-it. Inoltre, ho inserito delle immagini che includessero una porzione maggiore del background dove avevo scattato, per dare l’idea dei molti luoghi dove avevo “collezionato” gli scritti delle vittime. Infine, ho deciso di mantenere una certa proporzione delle reali dimensioni delle agende, post-it, fogli ritrovati, anche all’interno del 17×21 cm della pubblicazione. Per quanto riguarda l’appendice, ho scritto gli apparati descrittivi di ciascuna immagine riportando la motivazione di quel documento attraverso la storia del personaggio. E queste descrizioni riflettono anche delle indiscrezioni e aneddoti riportatemi dai familiari. Il libro è, dunque, un dispositivo che viaggia in modo indipendente rispetto all’installazione fotografica, e dà il senso pieno di un progetto di ricerca visivo, e di raccolta di fonti. Si aggiungono i testi di Anna Detheridge, Costanza Meli, Carlo Bugatti e Antonio Calabrò, che ringrazio molto per il loro contributo. Infine, le splendide immagini della prima restituzione del progetto, lo scorso giugno nello splendido Archivio Storico Comunale di Palermo, all’interno del programma di Palermo Capitale della Cultura 2018». (Cesare Biasini Selvaggi)
INFO
Opening: ore 17
Eva Frapiccini. Il Pensiero che non diventa Azione avvelena l’Anima 
dal 18 dicembre 2018 al 2 marzo 2019
Palazzetto Baviera 
piazza Del Duca, Senigallia (AN)
orari: mercoledì, giovedì e venerdì, 15.00-19.00; lunedì-venerdì, 15.00-19.00, sabato-domenica e prefestivi, 10.00-13.00/15.00-19.00
ingresso libero

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