11 febbraio 2019

Sperimentazioni sulla pittura da Renata Fabbri

 

di

Thomas Berra, Alessio de Girolamo, Francesco Fossati, Luigi Massari, Alessandro Piangiamore, Alessandro Roma, Alessandro Scarabello riuniti nella mostra che oggi inaugura la programmazione 2019 della Galleria Renata Fabbri, a Milano. Con un titolo preso in prestito da Mimmo Paladino, “Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro”, il percorso espositivo – ha spiegato la galleria alla stampa – è dedicato «ai confini formali e concettuali che definiscono il termine “quadro” nel contemporaneo». La mostra, ha aggiunto Lorenzo Madaro, curatore della mostra, rispondendo alle nostre domande, «è una raccolta di diverse pratiche che dalla pittura si muovono con disinvolta sperimentazione, senza però mai dimenticare un corpo a corpo con l’opera, con la dimensione intima del fare». Qui le risposte complete con cui Madaro ci accompagna alla scoperta del progetto.
Che cosa vedremo in mostra? Il titolo cita quello di un quadro di Mimmo Paladino, che legame ha il progetto espositivo con quest’opera? 
«Preciso subito un aspetto: questa mostra non è una ricognizione sulla pittura italiana contemporanea, d’altronde non credo mai alla possibile esaustività di un progetto espositivo su un determinato tema o linguaggio e quindi sarebbe già una contraddizione in partenza. “Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro”, titolo che cita un lavoro molto noto di Mimmo Paladino della fine dei Settanta, un vero e proprio spartiacque nella storia dell’arte contemporanea del paese, è piuttosto una raccolta di diverse pratiche che dalla pittura si muovono con disinvolta sperimentazione, senza però mai dimenticare un corpo a corpo con l’opera, con la dimensione intima del fare. Perciò troverete anche sculture in ceramica e installazioni. Il progetto tende a favorire un dialogo dialettico tra le opere dei diversi artisti, perciò il percorso è immaginato con un rapporto serrato tra opere, anche di diverse dimensioni. Il bellissimo spazio di Renata Fabbri, articolato in due ambienti al piano terra e in altri spazi al piano interrato favorisce moltissimo la natura anche circolare (e verticale) dell’itinerario espositivo che ho in mente. A ogni artista ho chiesto almeno un pezzo di grandi dimensioni, proprio per favorire una lettura più solida della propria ricerca, in relazione a opere più raccolte. Molte di queste sono state concepite ad hoc per la mostra, oppure riallestite per l’occasione. In ogni caso, non sono mai state esposte a Milano e dintorni. Il riferimento a Paladino è solo un punto di partenza, visto che non c’è nessun artista tra quelli che ho invitato legato al genius loci arcaico da lui perseguito sin dalla fine dei Settanta, quando realizza quel dipinto paradigmatico che dopo decenni di sperimentazioni linguistiche intendeva propugnare un rapporto quasi spirituale tra l’artista e la bidimensionalità della tela. Anche questo concetto del quadro bidimensionale viene superato, ovviamente». 
Come hai scelto gli artisti? 
«Ognuno di loro si muove su una peculiare via: c’è chi riflette sul segno, chi si immerge in una natura immaginata, chi studia forme arcaiche e iconografie simbolicamente criptiche, chi si spinge verso un pensiero multimediale e tecnologico, ma mediante il gesto pittorico. Tutti loro però si confrontano con la manualità, che è uno dei punti cardinali di questa mostra. Il progetto, infatti, nasce anche come una possibile meditazione sui confini stessi delle attuali pratiche artistiche, sempre più spinte verso quello che è stato teorizzato come Postproduction. In un’epoca di cloni, di revival continui, di un vintage esasperato rispetto a certe produzioni anni Sessanta, per esempio, una mostra che parte della pittura, un linguaggio considerato da molti come obsoleto, per spingersi verso altri ambiti linguistici può essere una possibile via: mi pare quindi un gesto sincero, onesto. Perciò mi pare significativo concentrarsi in questa fase su questo rapporto intimo con l’opera, senza orpelli. Gli artisti coinvolti per la mostra li seguo, direttamente o indirettamente da alcuni anni. Con alcuni di loro ho già avuto modo di collaborare, attraverso mostre, interviste e testi per alcuni progetti. Altri li ho seguiti solo attraverso il loro lavoro, nelle mostre e altrove. Sono felice perché con ognuno di loro siamo riusciti a pensare a un dialogo condiviso e anche l’allestimento sarà una conseguenza di questo».
Una domanda alla gallerista, Renata Fabbri: come si inserisce questa mostra nella vostra programmazione? Quali saranno i prossimi progetti?
«Questa mostra si inserisce nella volontà della galleria di indagare sulla pittura e di creare nuovi dialoghi con giovani artisti italiani. Seguirà in aprile una mostra curata da Branka Bencic “LOOSE ENDS” che vede come protagonisti Vlatka Horvat, Sophie Ko, Istvan Ist Huzjan e Dino Zrnec. Chiuderà la prima parte dell’anno un giovane talento italiano Andrea Martinucci». (Silvia Conta)
In homepage: Francesco Fossati – self portrait as a green loser, ecoprint su lino e foglie di palma, 340 x 155 cm – 2018
In alto: Alessandro Roma – The edges of the landscape, 122×150 cm –olio e spray su tela – 2015
Thomas Berra, Alessio de Girolamo, Francesco Fossati, Luigi Massari, 
Alessandro Piangiamore, Alessandro Roma, Alessandro Scarabello
“Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro”
a cura di Lorenzo Madaro
Dall’11 febbraio al 23 marzo 2019
Renata Fabbri arte contemporanea
via A. Stoppani 15/c, Milano 
Opening: 11 febbraio 2019, ore 18.30

Orari: dal martedì al sabato dalle 15.30 alle 19.30 (lunedì su appuntamento)
www.renatafabbri.it, info@renatafabbri.it


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