15 febbraio 2019

Fino al 5.IV.2019 Nina Carini, Are my eyes distracting my hearing? NMContemporary, Monaco

 

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Momenti che non hanno prezzo, quando parli con un’artista e questa finisce per dirti «Non c’è differenza tra la realtà e quello che faccio» e «I miei lavori sono di pancia». Nella testa pensi “ci siamo” e si accende quella proverbiale lampadina, perché quel modo di ragionare assicura una complicità tra pratica e produzione artistica che oggigiorno non solo non è sempre così evidente, ma nemmeno troppo considerata dal settore. Un’illuminazione. Chi ha premuto l’interruttore? Nina Carini, con la sua personale da NMContemporary, contingente italico in una Monaco – con l’accento sull’ultima “o” parbleu – dove godersi della buona arte contemporanea è divenuto facile quanto bersi un Martini vista mare. 
Accoglienza italiana, questa piccola mostra è comoda come un ambientino in cui ti trovi bene, la pièce franca in terra francofona in cui Nina Carini interpreta Nina Carini, una ragazza amante della comunicazione, dei simboli e che prima, durante e dopo aver prodotto un lavoro si fa continue domande, benzina indispensabile a far correre i suoi lavori. Una di queste – Are my eyes distracting my hearing? – è diventata il titolo della sua personale monegasca. «Mi domando se guardo bene le cose» racconta, e nel mentre ci fa riflettere su quanto la vista abbia il grosso potenziale di alterare il nostro rapporto con la realtà, creando in noi una sorta di pregiudizio sulla ricezione di svariati stimoli. Carini dixit: «Voglio scardinare il pregiudizio». 
Primo atto: il linguaggio, scritto, ovvero la parola. Con in mano l’Iphone, Carini ha fatto scorrere la sua rubrica whatsapp selezionando alcuni contatti, ai quali ha chiesto “Qual’è la parola più complicata secondo te?”. Omnia vincit amor, tuttavia dire “ti amo” a furor di popolo non è per nulla facile. Da questa consapevolezza si è concretizzata Je t’aime, che è un po’ installazione, in parte azione performativa e nel complesso un’operazione d’interazione corale. Ben 110 carte al limite del palpabile, dove la frase – incisa a mano su lastra d’ottone – è stampata ad inchiostro di foglio in foglio addizionato con trasparina. Via via che la pila si assottiglierà, poiché qualcuno si sarà accaparrato uno dei fogli, questo qualcuno sarà il performer di un’eclissi testuale che terminerà quando di Je t’aime resterà solo l’ombra, incisa sulla lastra in vetro a supporto del tutto. Dondolante  «Come se fosse scritta tra le onde del mare» racconta Carini. 
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Nina Carini – Are my eyes distracting my hearing? – installation view – courtesy NMContemporary and the artist – photo Lorenzo Palmieri
Un romantico addio? Forse un arrivederci, Carini anticipa «Questo progetto potrebbe avere altri sviluppi, ho sempre la lastra in ottone». Del doman non v’è certezza, però qui e adesso abbiamo conferma di un’artista tutt’altro che impermeabile al proprio ruolo sociale, e che giustamente non si fa scrupoli a chiedere l’intervento diretto dei suoi simili per completare la propria azione. Predisposta pure al susseguirsi fortuito degli eventi: non è stato ancora accennato, ma Je t’aime è scritto al contrario, «Era una prova, fatta in fretta, ma alla fine ho deciso di lasciarlo così» poiché «Mi sono accorta che il suo significato lo percepivo anche al contrario». Come una sorta di marchio extra-visuale, contenutisticamente così forte da offuscare la sua veste grafica codificata. 
Secondo atto, disegni di filo. Ago tra le dita e filo nella cruna fanno della nostra artista una neo-sartina che si mette a produrre deliziosi ricami di femminea memoria? E no, Carini non ci sta, risoluta risolve l’equivoco dicendo «Il mio lavoro non c’entra nulla col ricamo, la carta è molto diversa, rispetto al tessuto è rigida», aggiungendo poi «Bucare la carta è la cosa più bella». Caratterizzato da un’insolita “ispirazione invertita” – andamento in cui l’artista svela di trovare punti di riferimento solo dopo averli terminati – e quasi terapeutico – «Una pratica per rilassare il pensiero» lo definisce – il disegno secondo Carini utilizza il filo al pari dell’inchiostro, una scrittura nero su bianco che prende corpo come traccia grafica più grave, corposa, un segno – dalle spirali morbide agli intrecci più serrati – tendente a marcare la propria fisicità. Spalleggiato in caso dall’uso di un pigmento-pulviscolo che inaugura pazzeschi trompe l’oeil prospettici, questo filo-inchiostro è spesso lasciato libero di spandersi senza un ordine impartito, poiché – e si dovrebbe essere capito – Carini al rigore stringente preferisce l’imprevedibilità di un divenire creativo sempre malleabile, in cui il correre delle incidenze porta volentieri a risultati inattesi. L’unica percezione netta di rigore è dettata da una specie di blocco psicologico, auto-imposto con l’uso grafico della bicromia bianco/nero. «Col colore non ho un buon rapporto, ho qualche problema da risolvere» racconta l’artista, che comunque non è rimasta passiva di fronte a questo stallo «Ho provato il filo blu, ma non mi ha convinto».
Terzo ed ultimo atto: vi catturo. L’installazione Cielo ed acqua mostra tutte le buone intenzioni del caso essendo già di per sé una rete (da palcoscenico), caratterizzata ancora una volta dall’utilizzo del filo nero. Fluttua in tutta la sua (infinitamente plasmabile) rigidità, giacché l’artista l’ha resa parzialmente scultorea immergendola in una soluzione di caolino e gesso; separa, ma non divide, attira, invoglia a passare dall’altra parte, a cambiare punto di vista ed osservare un retro che è un vero e proprio retroscena, in cui il filo mostra tutto quel brulicante dinamismo da dietro le quinte che il recto tiene ben nascosto. Cielo ed acqua imbriglia tra le sue aritmiche tesserine colme di segni/simboli, ma è più che altro una trappola totemica. Quella vera – anche perché nascosta a prima vista – è Costellazioni, sintetico video che spalancando un andirivieni galattico di spirali danzanti come trottole, col suo indecifrabile contributo audio vagamente primordiale ed un ambiente perfettamente buio, nasce apposta per irretire lo spettatore dalla testa ai piedi. «Più che un video volevo fosse un’esperienza» spiega, «La mia intenzione è ipnotizzare, bloccare per pochi minuti anche chi nella vita è impegnato in tutt’altro». Se con questo vi sembra che Nina l’abbia sparata un po’ grossa è solo perché, forse, ci si è troppo abituati ad interagire con un’arte che in sé stessa crede poco o nulla. Figuriamoci nelle proprie capacità.
Andrea Rossetti
mostra visitata il 24 gennaio 2019
Dal 24 gennaio al 5 aprile 2019
Nina Carini – Are my eyes distracting my hearing?
a cura di Angela Madesani
NMContemporary
17 Rue de la Turbie – (98000) Monaco
Orari: da lunedì a venerdì, ore 10 -13, 15 – 18; sabato su appuntamento
Info: 00377 9798 0642; info@nmcontemporary.com; www.nmcontemporary.com

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