25 febbraio 2019

Ciacciofera, la libreria del tempo codificato

 

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Un ottimo momento per Michele Ciacciofera, dopo che nel 2017 aveva esposto alla Biennale di Venezia e partecipato a Documenta di Kassel con una istallazione sonora.
Legato alle persistenze visive delle sue terre, la Sardegna e la Sicilia, e così dedito alle questioni antropologiche di molte culture tradizionali, questa tensione è evidenziata nella mostra “The library of ecoded time” alla Michel Rein di Parigi, una galleria di ricerca ben posizionata nell’art system d’Oltralpe, nella quale Ciacciofera presenta un’ampia selezione degli ultimi lavori sul tema della memoria, tra segni e materia, una memoria allo stesso tempo personale e universale in cui l’artista mischia oggetti della propria biografia, simboli delle civiltà passate, reperti di ere geologiche lontane. 
Scrive bene nel testo la giovane curatrice franco italiana Virna Gvero che “alla concezione lineare del tempo come fenomeno quantificabile matematicamente, si sostituisce la riflessione sulla durata reale, intesa come il continuo avanzare del passato che rode il futuro (Bergson), e la cui azione è costantemente presa in considerazione nelle opere qui presentate, che ne conservano la traccia. L’attenzione portata alla longue durée si traduce in una pratica artistica che privilegia il processo di stratificazione come aspetto chiave del lavoro creativo, ma anche della costruzione della storia, dell’identità e della memoria umane. La stratificazione rappresenta un atto di resistenza contro il consumo definitivo ed eterno delle parole e degli atti dell’uomo, ed è solo attraverso essa che la cultura può essere preservata attraverso le epoche: sono infatti le culture più stratificate che sono giunte fino a noi, indenni all’erosione provocata dall’avanzare del tempo”.
Nello spazio white cube della Michel Rein assistiamo così all’epifania di questa stratificazione: a terra una installazione con i libri di mattoni cotti che Ciacciofera in passato aveva dedicato alla sua maestra Maria Lai, ma che poi sono diventati così caratteristici del suo lavoro, di grande potenza evocativa e poetica, in cui l’artista italiano, residente a Parigi, reinventa una lingua in cui il significante prevale sul significato, l’estetica sul contenuto; sui muri invece Janas Code sono griglie di ferro, quasi ascisse e ordinate su cui si incontrano, tra pieni e vuoti, oggetti e tessuti, i punti della vita dell’artista con le rette incrociate della storia dell’universo e dell’umanità: “La loro configurazione spaziale – scrive ancora la Gvero – che alterna spazi vuoti e pieni, invita lo sguardo del visitatore a percorrere la superficie dell’opera, attraversandola verticalmente o orizzontalmente partendo da diversi punti di vista, definendo il ritmo di lettura di queste realizzazioni dalla natura profondamente polisemica, in cui segni appartenenti a civiltà, epoche e culture temporalmente e geograficamente distanti coabitano. Ai fili di tessuto, appartenenti alla tradizione manuale più ancestrale e ai reperti archeologici, come i trilobiti e ammoniti, i ciondoli medievali o frammenti e oggetti di epoche varie dal neolitico in poi, si affiancano reperti dell’epoca contemporanea”. 
Così che il dialogo tra passato e presente creatosi attraverso l’accumulazione di riferimenti è testimonianza dell’esplicitarsi nel tempo di quel processo creativo assoluto di cui oggi Ciacciofera è uno dei protagonisti. (Angelo Crespi)

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