13 maggio 2019

Incontro con Susanne Capolongo di Pandolfini

 

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Lo staff di Pandolfini si arricchisce di una nuova e importante professionalità, quella di Susanne Capolongo in veste di capo dipartimento per l’Arte Moderna e Contemporanea. 
Gallerista prima, consulente per enti pubblici, privati, curatrice e art advisor poi, vanta una grande conoscenza del collezionismo. Com’è nato l’interesse per la materia e in che modo pensa che la sua esperienza le sia servita per arrivare fin qui?
«Nasce casualmente negli anni 90 quando entro a far parte di una casa d’aste milanese, nonostante provenissi da studi diversi mi sono avvicinata all’arte e ne ho fatto il mio lavoro. Le case d’asta in quegli anni erano organizzate in modo estremamente diverso rispetto a quelle attuali, non erano strutturate come lo sono oggi ed anche numericamente erano di meno. Il lavoro era più variegato, ci si occupava di molte mansioni diverse: dalla presa in carico delle merci, fino al momento della consegna. Quelli erano gli anni in cui si faceva un’esperienza totale su come funzionavano le case d’asta, imparavi a conoscere la materia perché ne eri direttamente a contatto. Non mi occupavo solo d’arte moderna e contemporanea, ma di qualsiasi altra tipologia di bene soprattutto legato all’antiquariato. Per mio interesse personale mi sono sentita più vicina all’arte contemporanea ed ho focalizzato i miei studi su questo tipo di materia. Dopo sette anni di collaborazione mi sono concessa un anno sabatico; ho viaggiato molto e tornata in Italia ho aperto una galleria in via Maroncelli che ho gestito per quattro anni. Questo lavoro è fatto soprattutto di passione e questa passione ti porta a non considerare mai il confine tra vita privata e vita professionale, ogni esperienza è un po’ come se fosse una conseguenza alla precedente, una catena a cui si aggiunge un anello di volta in volta».
Quale contributo intende portare al dipartimento per rispondere al meglio alle sfide proposte da un mercato sempre più esigente e in fermento? 
«Il mercato è in fermento e soprattutto è sempre più esigente ed il collezionismo è sempre meno acculturato. Negli anni novanta i collezionisti compravano per il piacere di comprare, studiavano l’artista, si appassionavano, adesso il mercato si è proiettato verso una forma di investimento che ha i suoi risvolti negativi. Abbiamo avuto un boom di artisti che continuano a mantenere un valore internazionale come Fontana e Burri, altri che hanno perso il proprio mercato. Questo è dovuto dalla voglia di investimento, oggi il collezionista tende a non guardare l’opera come un piacere personale. Al contrario, secondo me l’opera è e deve essere un piacere personale, provocare delle emozioni percepite diversamente da persona a persona. Negli anni 90 il cliente era per lo più: il mercante, il collezionista e pochi collezionisti. Oggi l’avvento di internet e la nascita di siti web (che danno la possibilità di monitorare i risultati delle aste) ha cambiato i meccanismi di mercato. Ha aperto a una larga fascia di piccoli e grandi collezionisti, ma ha fatto si che i valori delle opere oggi dipendano dal giudizio del mercato, non tenendo presente che un’opera è più importante perché di qualità, con un suo curriculum bibliografico ed espositivo che va a incidere sul valore intrinseco». 
Il dipartimento ha interessanti margini di crescita, ha aspettative in questo senso? Cosa rappresenta per lei questa nuova sfida? 
«Questa è una nuova sfida personale per me, la Pandolfini è la casa d’aste più vecchia che ci sia in Italia, naturalmente molto radicata a Firenze che ha la sede nel meraviglioso palazzo storico Ramirez-Montalvo, e due sedi distaccate a Milano e Roma. Per quel che riguarda il ‘900 italiano, Milano è la piazza dove c’è più interesse e movimento, non per niente altri colleghi hanno aperto nuove sedi qui. È una grossa sfida per il mio dipartimento, ma grazie a Glauco Cavaciuti responsabile esecutivo e Diletta Spinelli la mia assistente a Firenze, stiamo cercando di improntare una dinamica che possa ben funzionare tra Firenze e Milano. Ci auguriamo di sviluppare il dipartimento a livello internazionale, ormai le aste sono online, il cliente anche dall’altra parte del mondo può partecipare, visionare, avere condition report e quant’altro. Quello che contiamo di fare è sicuramente mantenere un rapporto diretto con il cliente, curando anche chi ha l’opera minore (spesso rifiutata da altre case d’asta) al contrario noi gli diamo lo stesso tipo di importanza. Il cliente è un cliente».
Sta già lavorando per la prossima asta che si svolgerà il 10 giugno a Milano, centro nodale del mercato dell’arte moderna e contemporanea. Può anticiparci qualcosa a riguardo? 
«Si, sto già lavorando. Siamo in chiusura di catalogo, avremo un’ampia raccolta di opere che partono dagli inizi del 900 italiano con qualche opera futurista e figurativa, per poi arrivare a due/tre opere importanti di Boetti, Parmiggiani, un Isgrò spettacolare, un Calzolari veramente inedito, un Angelo Savelli del 61, Morlotti anch’esso degli anni 60, ma anche una ricca raccolta di opere su carta provenienti da collezioni private. Raccolte intere che contengono anche un Kokoschka, un’opera molto particolare di Licini, alcune sculture interessanti come un Leoncillo e poi tutta una sezione di fotografia tra cui Erwin Olaf, Matteo Basilé e Andreas Serrano».
Mi sembra un ottimo inizio.
«Ce lo auguriamo, come sempre ci mettiamo un impegno importante, abbiamo avuto una buona raccolta, ce n’è per tutte le tasche. Per il momento il collezionismo non vive grandi entusiasmi, ma questo è dovuto a tanti fattori contingenti, nazionali, non solo legati all’ambito dell’arte. La concorrenza è tanta, ma quello che ci auguriamo è di mantenere la nostra setta, riorganizzare il dipartimento e sviluppare ancor di più il lavoro sul territorio nazionale e internazionale». (Elisabetta Melchiorri)

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