04 giugno 2019

La dolcezza di Thomas Houseago a Parigi

 

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In una rimessa, tra enormi sculture antropomorfe, un uomo nudo salta vigorosamente da circa tre metri di altezza a braccia aperte, su un mucchio d’argilla sparsa a terra. Chi è? Thomas Houseago in un magnifico scatto di Muna El Fituri che lo coglie nel pieno della creazione di Cast Studio, ossia un ritorno alla performance dell’artista britannico. Cast Studio oggi è una scultura che restituisce uno spazio aperto a grandezza umana, con una zona notte, una dedita alla discussione con tre sedie, e una collinetta che funge da palcoscenico o tana. L’opera, che ha visto la partecipazione di amici e familiari, è il risultato di azioni fisiche dell’artista sulla materia, che plasma ballando o infangandosi fino al collo, senza essere poi levigata questa lascia trasparire l’impronta di gesti liberi e liberatori. Realizzata per questa mostra l’opera è accompagnata da un film (2’35 “03, Los Angeles, 2019), che ne ripercorre le fasi creative, e da fotografie in bianco e nero di El Fituri, compagna di Houseago. Prodotto nell’atelier losangelino nel 2018, il lavoro è concepito come un luogo in cui l’artista ha invitato per suonare, cantare o discutere, amici come Brad Pitt, la curatrice della Collezione Pinault cioè Caroline Bourgeois, l’artista Lorna Simpson o Flea del gruppo rock Red Hot Chili Peppers. Quest’opera immersiva – al di là delle azioni performative che enfatizzano il qui e ora del gesto creativo – punta il dito sull’atelier come luogo di scambio e di condivisione, rispecchiando il mondo dell’arte e le sue continue interazioni. Un’opera che rimanda alla bottega come luogo di lavoro dell’artista e dei suoi eventuali apprendisti, visitatori o meceni, e che rende al contempo trasparente il suo modus operandi, non più chiuso per lavori in corso. Siamo già nella quarta e ultima sala del MAM di Parigi che accoglie una retrospettiva, che va dagli anni ’90 fino alle ultime creazioni, dal titolo “Almost Human”, clin d’œil alla canzone Suzanne di Leonard Cohen. E non è un caso, infatti la musica ha un ruolo essenziale nel processo creativo dell’artista, vedi la sua amicizia e collaborazione con Flea. Classe 1972, Houseago è presente in diverse collezioni e s’inserisce nella linea di scultori come Henry Moore e Georg Baselitz, esplora quindi la figura umana utilizzando materiali come legno, gesso, ferro, bronzo o tufcal, oltre a tecniche miste vedi Serpent (2008), tra disegno e scultura. Dove abbiamo visto le sue opere? L’Homme pressé a Palazzo Grassi nel 2011 e Walking Man che nel 2017 al Grand Palais per il centenario di Rodin. Queste ultime sono presenti lungo la mostra dove troviamo inoltre l’imperdibile gufo da cui prende il nome il suo atelier Owl Studio, o i giganti antropomorfi dai corpi smembrati, tra questi Strinding Figure II, Ghost (2012), una maestosa scultura nera posta al centro del bacino esterno di marmo bianco. Presente Moon Gate (2015) che tra forme circolari piene e vuote esplora i sistemi solari e lunari, la cui forma architetturale guarda a La Porte du baiser di Brancusi (1938). Belle le otto tele su dodici della serie Black Paintings (2016), che vedono fuoriuscire dal nero teschi enormi, per una versione odierna del memento mori. Sono tele realizzate in un periodo di lutto e di lotta contro la perdita e l’angoscia, qui l’arte diventa terapia per l’artista che sperimenta la materia dando forma ai propri stati d’animo. «L’arte è evoluzione. Quando faccio arte, provo empatia (…), lascio spazio alla dolcezza». Afferma Houseago. (Livia De Leoni)

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