01 luglio 2019

PERFORMANCE

 
Dentro “Cleaning the house workshop”, al Marina Abramovic Institute greco
di Marcella Vanzo

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Lasciate ogni device o voi ch’entrate. Anche il telefono, l’orologio, le parole, il cibo. Lasciateli fuori. 
L’elettricità qui non serve, se non quella dei vostri neuroni. 
E rilassatevi. 
Marina Abramovic non c’è. 
Siamo nelle mani di Paula, il suo fido alter ego brasiliano. 
Siamo un branco scatenato da tutto il mondo, di tutte le età. Dai 21 ai 56, dall’Australia al Canada passando per Corea, Polonia, Germania, molta Francia con addirittura un salto in Guadalupe, che non sapevo che fosse tuttora una colonia, di italioti soltanto la sottoscritta e un paio di greci poiché in Grecia ci troviamo. 
Gli artisti in netta minoranza, qui c’è un avvocato provocato dall’amica collezionista – tu non ce la faresti mai a fare una cosa del genere – uno scrittore alle prese con la vita e la morte e il prossimo master, una psicologa che lavora coi Paesi in via di sviluppo – si può ancora utilizzare questa terminologia? 
Una sceneggiatrice che vuole uscire dalla testa per trovare il corpo, un manager di una grande casa automobilistica che pare un asceta stilobata, un filmmaker alle prime armi, un paio di new-economisti, un paio di buonisti. Spero di essermeli ricordata tutti. Ah ecco, c’è anche un giovanissimo chef alla ricerca di relax tra una cucina e l’altra. 
Infatti siamo sprofondati nel verde dell’antica Eubea, a due ore da Atene, il mare solo un guizzo luminoso incontrato on and off dal pullmino in arrivo. Un bosco di conifere davanti a casa, la magione anglosassone di filo-ellenisti in cui planiamo molto volentieri. 
Cortile di ghiaia e siepi fiorite, un portico che ci ripara dal sole, dove ogni mattina suona la campana che ci sveglia e poi ci richiama alle attività quotidiane, quasi un piccolo monastero. 
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Diario, Marcella Vanzo
Paula, la nostra abate. Ci sveglia con un tuffo in piscina e non ho ancora abbandonato la doccia fredda al mattino dopo qualche settimana dal ritorno, misero surrogato. 
Poi una pausa. Passano ore. È interessante perdersi nel tempo, nell’enorme parco al di là della casa, quel che rimane di una tenuta di qualche migliaio di ettari confiscata dallo stato. Perdersi accanto ad altri con cui non si parla, non si può leggere, ma scrivere quello sì. Allora, sotto coi diari. 
A differenza di altri ritiri dove oltre a essere silenziosi, sconnessi e digiuni, non si legge né si scrive, qui invece si produce molto da questo punto di vista, io perfino disegno, tutti ‘sti corpi mi ispirano insieme al sole, al verde e al puro tempo a disposizione dell’essere. 
La campana suona troppo presto, la campana si fa molto aspettare. 
Spesso la passeggiata nel bosco, in silenzio, accompagnati dalle tartarughe, apre la giornata. Ognuno si fa un’idea diversa di quanto duri. Poi yoga e molti – piacevoli – massaggi a vicenda. Lunghe pause in cui venire a contatto con la fame e bere tisane d’erbe fresche o secche, spesso intinte di miele. 
Poi, finalmente, essere chiamati a fare qualcosa che ci metta direttamente a contatto col tempo. A occhi chiusi, a occhi aperti, soli o insieme, nel parco o in casa. Fissare un punto o gli occhi di un altro, che forse sta per addormentarsi. Notare tutte le pagliuzze dorate che spuntano dalla sua iride. Siamo qui per questo. Senza mai alzarsi, nemmeno per far pipì. 
Contare all’infinito. 
Muoversi davvero lentamente. Davvero. Davvero. In modi mai provati prima. Risparmiando energia magari, che qui si viaggia senza carburante. Ogni azione è un mandala. 
L’Abramović ha messo a punto questo metodo in anni di insegnamento all’accademia, per preparare se stessa e altri performer a performance di lunga durata. Per trascendere la mente e il corpo e trasformarsi momentaneamente in un pezzetto d’infinito da offrire agli altri. Tutto qui, solo qui, adesso.
Arriva l’ultima sera e si parla e si mangia. Ce l’abbiamo fatta, nessuna morte, nessuna defezione. Paula, a questo punto ci spiega esattamente quanto tempo abbiamo passato a fare cosa – dopotutto o innanzitutto Marina Abramović è una performer che mette l’accento sulla durata di un’azione – ma io non ve lo svelo. 
Se volete, scopritelo da soli.
Marcella Vanzo

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