24 novembre 2010

IL RITORNO DELL’ARTIGIANO

 
di alfredo sigolo

Iper-professionalizzazione dei processi (e dei prodotti)? Delocalizzazione delle mansioni? Segmentazione degli incarichi nell’industria artistica che deve produrre opere d’arte a tutto vapore? Tutto vero, sì, salvo eccezioni, che puntano al riavvicinamento dell’artista a una qual certa manualità...

di

La
mostra di Maurizio Cattelan a Milano
diventa un’ottima occasione per riflettere sul mestiere dell’artista a cavallo
del nuovo secolo.

A
partire dagli anni ‘90 la grande fortuna avuta dall’arte contemporanea ha
prodotto senza dubbio profondi cambiamenti non solo strutturali, ma anche nei
suoi protagonisti ed eroi. Che si sono dovuti confrontare con i nuovi scenari
globalizzati, quelli stessi profetizzati da Jean-François Lyotard già alla fine
degli anni ’70, caratterizzati dalla crisi delle “grandi narrazioni” e
dall’arretramento degli stati-nazione a vantaggio di nuovi equilibri
trasversali governati dall’economia.

Tramontata
definitivamente l’idea classica dell’artista demiurgo che assomma in sé
l’artigiano e il divino, la pratica e l’idea, un nuovo individualismo conduce
l’artista a farsi protagonista diretto delle nuove dinamiche dell’arte dominata
dal mercato, secondo logiche di carattere imprenditoriale.

L’impresa
d’artista è molto distante dalla “bottega” di classica memoria, che si fondava
sull’apprendistato e sulla trasmissione di competenze dal maestro verso gli
allievi. È più simile a un’azienda che individua le competenze necessarie al
raggiungimento di obiettivi strategicamente definiti.

Nel
2008 il Guardian pubblicava un
interessante articolo sull’industria che si muove intorno al mestiere
d’artista. Qualche esempio? A Brighton la Millimetre è una vera e propria fabbrica
a disposizione per la realizzazione dei più disparati progetti artistici.
Dietro gli animali imbalsamati di Damien
Hirst
c’è lo studio di Gloucestershire gestito dall’inseparabile assistente
Emily Mayer, mentre Tristan Simmonds è l’ingegnere e progettista che ha reso
possibili le idee di Antony Gormley
o Anish Kapoor. Si dice che se
qualcuno tirasse una bomba sullo studio di un oscuro personaggio nominato
Michael Smith il volto dell’arte contemporanea britannica ne uscirebbe
stravolto. Dal suo lavoro dipendono infatti artisti come Rachel Whiteread, Gary Hume,
Gavin Turk, Keith Tyson, Jake &
Dinos Chapman
, Max Wallinger.

Maurizio Cattelan - L.O.V.E. - 2010
Tra
agenti e dealer, assistenti, progettisti e artigiani che realizzano le loro
opere, la figura dell’artista che unisce il genio all’abilità e al virtuosismo
tecnico è un’astrazione oggi molto distante dal vero. La spiegazione è persino
banale: per un artista di media fama, con un mercato internazionale, il numero
di opportunità di esporre i lavori supera la sua capacità di produrli.

Certo
l’idea di un’arte pianificata, programmata sulla scorta di scelte strategiche
che sembrano avere più affinità con il marketing che con una qualche forma di Weltanschauung non è propriamente affascinante, ma
di fatto ha rappresentato perfettamente quello che si è voluto definire “nuovo
Rinascimento”, un’epoca che ha portato l’arte a specchiarsi nel suo mercato.
Probabilmente il Damien Hirst più interessante non è tanto quello che squarta
gli animali ma piuttosto quello che organizza un’asta dei propri lavori, o
quello che realizza l’opera più costosa del mondo. Ma potremmo citare il
gallerista al muro e la Wrong gallery di Cattelan e giungere fino al suicidio
del collezionista di Elmgreen &
Dragset
, solo per evidenziare alcuni esempi autoreferenziali che sembrano
introdurre, su altri fronti, produzioni seriali improntate a una sorta di
perpetuo autocitazionismo.

La
recente crisi dalla quale anche l’industria culturale mondiale sta
faticosamente tentando di risollevarsi ha pericolosamente intaccato non solo il
comparto economico, ma anche (e diremmo soprattutto) le strutture come i musei
e le pubbliche collezioni che in qualche modo dovrebbero fungere da garanti e
ammortizzatori, mostrando tutti i limiti di un sistema dell’arte dall’andamento
centripeto rispetto all’economia che certamente non ha risparmiato neppure la
figura dell’artista.

Forse
mai come oggi, anche dopo le sterili polemiche che hanno preceduto la mostra di
Maurizio Cattelan a Milano, la figura disincantata e cinica dell’artista degli
anni ’90 ci appare offuscata, quasi avesse perso di autorevolezza.

Chris Gonzenbach - Safari - 2007 - ceramica - cm 20x15x15 - Galerie SO, Solothurn - courtesy Crafts Council
Nel
frattempo però, in altri contesti, sembra crescere una nuova sensibilità che
prova a reagire ai rigidi modelli imposti dall’economia, rivendicando il
riscatto della creatività applicata. Una sorta di neo Arts & Crafts che
però, a differenza del movimento che a cavallo tra XIX e XX secolo si opponeva
all’industrializzazione, non nasce in una cerchia intellettuale come quella di
cui facevano parte John Ruskin e William Morris, ma si muove dal basso, tra i
giovani e la gente comune.

Recentemente
è uscita in Italia la traduzione dell’opera del sociologo americano Richard Sennett dal titolo L’uomo artigiano (titolo
originale The craftsman, 2008) che
analizza dapprima la progressiva decadenza nel mondo contemporaneo
post-industriale della figura dell’artigiano, almeno nelle forme tramandate
storicamente, e celebra poi la sua rinascita in nuovi ambiti come la
tecnologia. Esemplare è poi l’esperienza di Matthew Crawford: smessi i panni
del colletto bianco a Washington, ha aperto un negozio di riparazione di cicli
e moto, riscoprendo il valore etico del lavoro manuale. Il suo libro di
successo, Il lavoro manuale come medicina
dell’anima
, rivendica la funzione sociale ed etica dell’artigianato.

Di
qualche anno precedenti sono le riflessioni di Charles Leadbeater: amateur
professionalism
è un
ossimoro creato dal teorico britannico, già consigliere di Tony Blair, per
definire tutto quel complesso di attività esercitate a livello dilettantistico,
prevalentemente nel tempo libero, le quali opportunamente coltivate,
indirizzate e organizzate possono fornire modelli alternativi di sviluppo
economico e produrre determinanti capitali culturali.

La
sua Pro-Am Revolution è il riscatto della creatività amatoriale dopo un secolo
di oscurantismo determinato dal mito della specializzazione estrema e della
gerarchizzazione dei saperi. Sono soprattutto le nuove tecnologie a fornire le
infrastrutture che servono e favoriscono la diffusione di questo fenomeno: i
social network, il peer to peer, gli open source, attraverso questi e altri
canali si generano community che condividono e si scambiano saperi vecchi e
nuovi, nei più disparati settori della creatività.
Henry Darger - Untitled (recto). 112 At Jennie Richee meet him during lull in storm beyond improvised shelter after frustrating enemy second time - 1940-60 ca. - collage, inchiostro, acquerello, matita su carta - cm 59x281

Quasi
a confermare questi spunti, Federico Rampini sulle pagine de La Repubblica qualche mese fa celebrava
il successo di Etsy che, con 724 milioni di visitatori al mese, è un portale
che dal 2005 si è posto come obiettivo il commercio e la diffusione di tutto
quanto si definisce handmade.

L’artista
contemporaneo negli ultimi decenni sembrava aver abdicato alle pratiche manuali
nel suo lavoro, di fatto privandosi in prima persona (e privando al pubblico di
conseguenza) di tutta una serie di valori che un tempo costituivano importanti
elementi di distinzione come la ricerca sulle tecniche, la sperimentazione
diretta dei materiali, l’esercizio e lo sviluppo di abilità, la perizia
artigianale e la pratica virtuosa. Non che questi siano scomparsi,
semplicemente sono stati demandati, differiti e delocalizzati.

Eppure
c’è chi intravede anche nell’arte i segnali di un cambiamento di rotta.
Recentemente, è parso significativo il progetto A basic human impulse della Civica Galleria di Monfalcone nel quale
Andrea Bruciati ipotizza, sulla scia di Sennett, un ritorno alle pratiche
artigianali e un dialogo più serrato con il design. Ancor prima, nello Spazio
Brown di Milano riflessioni sul concetto del “fare” hanno caratterizzato
progetti come Let’s forget about today
until Tomorrow
di Marco Tagliafierro o L’uomo
ridotto
.

È
possibile che siamo alla vigilia di un ritorno della manualità nell’arte?

A
rispondere positivamente anche un progetto padovano in corso, curato da Guido
Bartorelli e intitolato Art/Tube –
creatività a bassa risoluzione
, nel quale alcuni giovani artisti
contemporanei sono messi a confronto con gli anonimi creativi che affollano
YouTube: una sfida che si fa davvero dura.

articoli correlati

Il
dito di Cattelan secondo Giovanni Lista

Elmgreen
& Dragset alla Biennale del 2009

alfredo sigolo


*articolo
pubblicato su Exibart.onpaper n. 69. Te l’eri perso?
Abbonati!

 

[exibart]

73 Commenti

  1. Quello sollevato dall’articolo è un falso problema.
    L’artista si organizza come meglio crede e come gli è più comodo. Ciò che conta è il risultato.
    Oggi come ieri.

  2. Manualità dell’arte? C’è da ridere. Sarebbe una riscoperta? Trattati di sociologia per capire che l’artista ha sempre avuto a che fare con se stesso alla prova con ricerca, materiali e superamento di difficoltà tecniche che lo spronano a trovare nuovi limiti e nuovi approdi? E questo discorso non ha nulla a che fare con un avvicinamento al design che con l’arte non c’entra un benemerito piffero, vivaddio.
    E’ che la mandria di parolai dell’arte che ha contribuito negli ultimi vent’anni a fondare un mito che non esiste (e che resiste solo perché se crollasse del tutto, crollerebbero gli interessi economici di metà del “primo mondo” che risolve alcuni dei problemi di circolazione veloce del danaro con i passaggi di opere d’arte economicamente importanti – si ricordi che i Cinesi ricchi NON comprano la loro arte contemporanea se non in minima parte, ma preferiscono quella occidentale, in special modo del XX secolo) non trova più il modo di spiegare perché un artista, che fa fare ad un regista famoso un video che poi dovrà essere firmato dall’artista committente, debba ancora essere chiamato artista in base all’assunto che tutto ciò che “corrisponde” alla presunta deriva della modernità va premiato perché coraggioso, ironico, smaliziato, irriverente, e via contandosela su.

    A me sembra finito il tempo in cui si deve far credere che l’arte è quella che del pubblico rispecchia le incapacità e i limiti intellettuali. L’arte che identifica se stessa con la propria committenza presumendola di basso livello non è arte, è un tentativo imperfetto di arte e basta.

    E’ da tempo che, senza troppi clamori, si sta lavorando ad altro. E gli artisti che non si sono svenduti o non si sono fatti abbindolare dagli specchietti per le allodole lo sentono, questo richiamo.
    Altro che artigianato (con tutto il rispetto per l’artigiano): questa è cultura e chi la riconosce e se ne riveste senza aver paura di sembrare un passatista non ha neppure paura di misurarsi con la livella dell’economia di mercato (pur drammaticamente importante), consapevole che in questo momento di buio profondo, ma anche di buone prospettive per chi davvero FA, ciò che conta non è inserirsi in una corrente vantaggiosa per emergere per qualche mese, adescare il primo passaggio sul carro politico di turno (uno sport praticato anche da diversi cosiddetti critici, che solo per questo sembrano tanto “vicini a noi” perché usare il linguaggio da bar è così attuale e rilassante e ci fa tutti compagnucci di merende), ma stare in un porto dove fermarsi e rifondare le modalità della creazione artistica che comprende anche la contiguità del pensiero filosofico e della speculazione teorica.
    Oltre alle mani (o alla tecnica), l’artista sta cercando di recuperare la propria testa, abbandonata nel flipper di Pinault & Co. da qualche tempo.

    Per favore, non facciamone un caso da ascrivere all’ennesima moda del momento e da bruciare nell’arco di qualche anno perché l’argomento potrebbe non interessare più la massa.

    Salterà fuori un prode falegname parigino che, fra dieci anni, scoprirà la sua vocazione nella speculazione in borsa? E allora, tutti dietro a gridare “morte alla tekne”?

    Eppure, senza troppi voli pindarici, anche nelle aste londinesi e newyorkesi più importanti degli ultimissimi tempi i records del contemporaneo riservano interessanti spunti di riflessione. E’ meglio che chi sta ancora pensando al “crollo dell’occidente”, alla “morte dell’arte (per cui tutto è arte)” e al pensiero super-debole sul quale ha imbastito la propria scarsa professionalità cominci e svegliarsi e ricominci a studiare.

  3. La riflessione è assolutamente centrata. Anche se la componente artigiana non è mai venuta meno: duchamp faceva produrre tanti oggetti in serie, la factory di warhol, certa arte concettuale, gli studi di koons, il laboratorio carrarese che ha prodotto il dito di cattelan, ecc. In questa fase il punto non è artigianato sì/artigianato no, ma capire che viviamo in una fase in cui la creatività è sovraprodotta ed estremamente diffusa dai centri alle periferie. La Sabrina di Avetrana era abilissima nel gestire la televisione ed era pronta per diventare l’ennesimo artista del grande fratello. Ogni ragazzino (anche di provincia) scatta fotografie a profusione con cellulari e macchine digitali sempre più a portata di mano. Il design o l’arredamento da interni spesso superano in compostezza e leggerezza certa arte contemporanea che sembra Ikea evoluta.

    L’artista in questa situazione deve ritrarsi, deve tendere ad uscire dal terreno saturo della rappresentazione. Il dito di Cattelan va bene non perchè sia o non sia artigianato carrarese ma perchè produce una riflessione che esce dai normali codici della “rappresentazione”: diventa dibattito, polemica prima e dopo, ancor prima di vedere l’opera. Cattela sviluppa legittimamente intuizioni degli anni 90.

    A mio parere oggi lo strumento del blog riesce a lavorare su i principi del giornalismo (dove,quando,cosa, chi, come, perchè) e quindi è in grado di destabilizzare il rapporto tra opera e rappresentazione. E’ in grado di rinegoziare in modo più efficace il rapporto tra opera e Presente. Inevitabilmente l’artista tradizionale ,con il suo personalismo-narcisismo, deve fare una passo indietro.

    Andrea Bruciati è un amante (perchè formato con questa cultura d’artista) dei “giovani artisti cool”. Perseguire questa strada significa far perdere all’artista i suo contorni. Proprio perchè non si capisce la differenza tra l’artista e un designer di nuova generazione, per fare un esempio. L’artista per rimanere in vita avrebbe (come ha) bisogno di tutto un sistema che lo protegga e che lo riconosca. Questo provoca uno scollamento tra i contenuti dell’artista e il Presente. Ed ecco ,ancora, l’appiattimento linguistico che stiamo vivendo.

  4. Devo riconoscere che gran parte del commento di Rossi lo condivido.
    “L’artista” di oggi, prevalentemente, è carico di troppa zavorra e una necessaria implosione del tutto secondo me è da auspicare.
    Verra’ a compimento il subprime “””ARTE””?
    spero di si.
    (c è troppa gente che dovrebbe fare altro)

  5. A proposito di Elmgreen & Dragset…

    Murakami & Lichtenstein (fumettari)

    Albert & George (i De Chirichi)

    El Greco & El Gringo (duello Kounellis-Bonami)

    instalattiti & instalagmiti (forme di installazioni)

    Koons & Cicciolina

    Duss & Ldorf (allievi dei Becher)

    object made & ready trouvé

    Igloo & ufo (ci vivono i Mertziani)

    Eliasson & EliassEdison

    | | & / / (Rossi & Gehry)

    Tiepolo & sons

    [ ] & [ ] (1 monochrome – 1 achrome)

    Cura & Tela (coppia di critici specializzati nella curatela di mostre lampo)

    / & / (un Fontana con 2 tagli)

    // & / (un Fontana con 3 tagli)

  6. Lo Scorso maggio sono capitata ad Urbino sede del primo Rinascimento, trovando con grand sorpresa a Palazzo Ducale una delle mostre più significative che ho visto in questi anni TERZO RINASCIMENTO una collettiva di giovani artisti italiani curata da Angelo Cruciani ( quello dei Gesù per capirci…) una vera sorpresa sul livello concettuale e manuale che ridimensionavano l’artista a essere eletto e non ad essere commerciale come ormai noi tutti esseri UMANI…

    La poesia raccolta e raccontata attraverso i dipinti di Reffo e Inverni piuttosto che l’onirica natura del ex-writer Eron e così a seguire… magia per chi dell’arte ama quella mano che sà legarsi alla testa ed al cuore…e non solo al Portafogli…

  7. Anche l’arte conetmporanea è afflitta da quel professionismo della politica che vede certi operatori occuparsi solo di arte. Ma cosa faranno certi operatori tutto il giorno? Visto che le mostre vengono organizzate mandando 3 e-mail ad amici e conoscenti? E che artisti precarizzati trasportano e installano autonomamente e senza dire beo? Milovan Farronato cosa fa tutto il giorno? Ma anche Vincenzo De Bellis, o lo stesso Massimo Grimaldi? Lo chiedo senza tono polemico.

    I risultati di un certo “professionismo” si vedono, da diversi anni, nel migliore sistema dell’arte italiano. I giovani artisti italiani mancano da molti anni sulla scena internazionale che conta (cit. Pier Luigi Sacco, Flash Art)se escludiano 3 self made formati negli anni 90. E hanno sempre bisogno di essere difesi da un sistema di curatori e galleristi silente e provinciale. Un sistema sempre all’inseguimento (parlo soprattutto di galleristi, curatori e artisti conniventi) di vaghi standard internazionali; standard che servono per consolare i propri complessi di inferiorità sull’essere italiani. Sempre all’inseguimento, mai con l’urgenza di avere una propria idea invece di inseguire quelle degli altri.

  8. Rossi- A mio parere oggi lo strumento del blog riesce a lavorare su i principi del giornalismo (dove,quando,cosa, chi, come, perchè) e quindi è in grado di destabilizzare il rapporto tra opera e rappresentazione. E’ in grado di rinegoziare in modo più efficace il rapporto tra opera e Presente. Inevitabilmente l’artista tradizionale ,con il suo personalismo-narcisismo, deve fare una passo indietro

    È buffo che nel legittimare il blog rossi goffamente riproduca i meccanismi retorici di sostegno al proprio lavoro elaborati da ma. gr. . Rossi attua una prevedibile operazione di spostamento di contenuti da ciò che superficialmente ritiene sia un territorio convenzionale dell’arte ad un ambito apparentemente totalmente altro (dalla rappresentazione, dal sistema espositivo privato/pubblico al blog _piattaforma autosufficiente _sic_, ecc.):

    il paragiornalismo di rossi non è forse un’assillante declinazione di una tattica, quella di gr., in cui si dirottano fondi da un’istituzione artistica ad una di …?; rossi, quindi, non rielabora malamente una retorica novecentesca e spuntata di sconfinamento dell’arte nella non-arte, da a … a …?

    È sintomatico che rossi interpreti la propria operazione come “destabilizzante”, termine, non a caso, proprio di una logora tradizione semantica in cui l’artista è “un coraggioso outsider che sottilmente interagisce con/manipola il sistema…”:

    da whitehouse: – “Poi, Caro Milovan Farronato, le critiche vanno accettate con maggiore leggerezza, semmai aprendo un dialogo con chi ti critica tanto efficacemente da farti cambiare politica espositiva. “

    non male.

    Non ci si aspetta forse questo da un artista? La critica, la sottigliezza, l’efficacia _ anche se paradossalmente, ineffabilmente, contestataria_?

    Non è questa l’impressione di un lettore di whitehouse?
    “sì, rossi è bravo, fa progetti fighissimi [sic], anche se lui non è un artista tradizionale
    va oltre…
    oltre…”
    Il blog è oramai una sorta di autocelebrativo portfolio on line: i dialoghi, la “fenomenologia di”, il riferirsi a …, sono tutte scontate referenze di un prodotto/rossi che non riesce a scardinare le consuete ed omologanti coordinate autoreferenziali del sistema di cui ci si vorrebbe complementare.

    Quindi, forse, si può affermare che rossi sia una sorta di volenteroso artigiano della “critica”, una critica sterile, livellata ed interscambiabile con quella di mille altri omologhi contemporanei, una critica in cui si remixano tatticismi anni novanta (anonimato/nome multiplo/uso media-giornalismo) con intuizioni anni sessanta (frammentazione dell’opera nell’informazione + sincronizzazione ruolo artista/curatore/critico/giornalista, ecc), il tutto confezionato con una rassicurante ambiguità informativa che permette a rossi di svincolarsi prevedibilmente da un ambito di confronto critico (qui cattelan).

    (circa i lavori di rossi (misteriosi contenuti, oscuri accadimenti in …, fantomatiche email, ecc.):
    “Chi conosce in profondità si sforza d’essere chiaro; chi vorrebbe sembrare profondo alla moltitudine si sforza d’essere oscuro”)

  9. Quante parole inutili. Io mi chiedevo a cosa è da imputarsi l’inefficacia del sistema italiano. Penso sempre di più ci sia un problema grave di curatori-critici precari e quindi poco stimolati all’approfondimento e alla promozione degli artisti. Cosa fa tutto il giorno un operatore che gestisce un archivio per la promozione dei giovani artisti? Lo chiedo senza polemica alcuna. Vorrei solo capire se si vendono illusioni e delusioni o meno. Grazie.

  10. Quando la produzione artistica è ibridata dall’artigianato, è semplificata in iperbole manuali, è amplificata dalla comunicazione ipertestuali, la domanda, è sia possibile diffondere la trasmissione del sapere artistico alla maggioranza delle persone, sottoposte, quotidianamente al condizionamento di una cultura di massa. Su questo interrogativo si distingue la differenza fra l’artista-artigiano è l’esercizio dell’artista intellettuale di memoria rinascimentale (L. Battista Alberti)-libero di inventare e di sperimentare un linguaggio unico, una estetica e una prassi produttiva non omologata agli standart artigianali. Non a caso la crisi del sistema dell’arte, insieme alla consapevolezza della sua autorefenzialità, non la si supera certamente, attraverso un sapere popolare di tipo artigianale, manuale, legato ad una funzione mimetico rappresentativa di produzione di immagini o di oggetti. Il problema serio è che il contenuto/messaggio dell’opera è vanificato proprio dalla potenza dei mezzi mediali della comunicazione di massa. Una sovrastruutura del sistema che rende inoffensivo il ruolo dell’artista, l’opera ed ogni problematica estetica, etica e filosofica. In questa logica mortificante, non ci rimane che abbattere la struttura del sistema.

  11. Artigianato o no, ci sono più persone e curatori che fruiscono dell’arte seduti davanti al computer o guardano il portofolio. Anche per questo il lavoro di Luca Rossi legge semplicemente il presente, offrendo per ogni progetto più livelli di lettura, ognuno perfettamente sostenibile.

    Guardate gli artisti italiani come sono impegnati sul portfolio:

    http://carsonchan.wordpress.com/2010/05/14/italian-job-4/

    Anche il raccomandato Matteo Rubbi, uscito da Garutti e sostenuto ad oltranza dal sistema, e ora anche al Furla. Se la cantano e se la suonano.

  12. rossi- il lavoro di Luca Rossi legge semplicemente il presente, offrendo per ogni progetto più livelli di lettura, ognuno perfettamente sostenibile.-

    molteplici livelli di lettura?
    quindi?
    allora meglio la serie lost
    (o gli originali
    artisti
    anni ’60 e ’90 di cui rossi è una scolorita ma chiassosa copia)

    molteplici livelli di lettura?
    “Chi conosce in profondità si sforza d’essere chiaro; chi vorrebbe sembrare profondo alla moltitudine si sforza d’essere oscuro”

    rossi è l’ennesimo specchio deformante di un “sistema”:

    whitehouse è l’ennesima operazione artistica che non regge al di fuori di un certo sistema autoreferenziale:
    il che è palese nell’attaccamento di rossi alla propria maschera (pseudonimo/blog)e alla propria incapacità di svincolarsi dalla propria produzione di contenuti disinescati, rassicuranti e prevedibilmente parassitari(ambiguità poppeggiante, aggressività (para)giornalistica alla libero, citazioni di tattiche/lavori del ‘900, ecc.)

  13. ” Quello sollevato dall’articolo è un falso problema.
    L’artista si organizza come meglio crede e come gli è più comodo. Ciò che conta è il risultato.
    Oggi come ieri.”

    Quoto.
    Semmai c’è bisogno di una arte più a misura
    d’uomo, più discreta, meno comunicazionale e
    meno spettacolare, indipendentemente dalle tecnologie usate
    Un’arte che faccia stare nelle cose e non sopra.
    Gli “artistar” citati sono vuoti, inespressivi.
    Sono brandizzati e funzionano solo all’interno
    di un sistema autoreferenziale che adotta le
    stesse logiche della moda e delle televisioni
    commerciali. Non c’è molta differenza tra
    Koons, l’isola dei famosi e Natale ai caraibi.

  14. Cito Cristiana: “E’ che la mandria di parolai dell’arte che ha contribuito negli ultimi vent’anni a fondare un mito che non esiste non trova più il modo di spiegare perché un artista, che fa fare ad un regista famoso un video che poi dovrà essere firmato dall’artista committente, debba ancora essere chiamato artista”.
    Cristiana, quello che tu dici – con una certa indignazione (mi pare di capire) – circa il fatto che artista è colui che firma, al di là del fatto che abbia o meno realizzato praticamente la propria opera, non mi pare sia vero soltanto oggi, in quanto “mito” fondato da da una “mandria di parolai”. In passato, molti dipinti DI Raffaello, piuttosto che DI Giotto ecc., non furono realizzati DA Raffaello o DA Giotto; loro li firmarono soltanto, ma onostante ciò, quei dipinti – in qualità di opere d’arte – vennero/vengono attribuiti a Raffaello e a Giotto.

    Ciò che penso è che oggi come un tempo (cioè sempre) il “momento” della realizzazione pratica non pertenga la dimensione artistica, bensì quella artigianale; dove per “artigianato” si intende semplicemente l’applicazione alla materia di regole atte a informarla (=metterla in forma) secondo una causa finale (pertano, secondo questa accezione, non v’è differenza tra la realizzazione di un dipinto e la realizzazione di un tavolo: sempre di artigianato trattasi). Diversamente – del resto – non si spiegherebbe perché, oggi come un tempo, sia/fosse possibile attribuire la paternità artistica delle opere a chi le firma e non a chi le crea (qualora siano soggetti distinti).

    Io ritengo che quello posto in articolo sia problema nato da una scarsa lucidità – di molti – a distinguere i “soggetti funzionali” che ogni soggetto fisico può rivestire nel corso della propria vita. Che cosa è un “soggetto funzionale”? Artista, artigiano, cuoco, pescatore ecc. sono tutti “soggetti funzionali”; ossia soggetti definiti sulla base delle funzioni che un dato soggetto fisico attiva in uno specifico momento.
    Ora, poniamo caso che un individuo X (=soggetto fisico) intenda “realizzare” un’opera d’arte, realizzandola non solo concettualmente ma anche nella pratica; siamo certi che, nella fase pratica, egli non sia semplicemente artigiano (=soggetto funzionale artigiano) ma sia già artista (=soggetto funzionale artista)?! Siamo certi che in ogni fase (dalla materia prima all’opera finita) – per il semplice fatto che l’opera finita sarà “opera d’arte” -, l’individuo X attivi sempre e soltanto il “soggetto funzionale artista”?!
    Pensare questo sarebbe un po’ come sostenere che un individuo Y che va a pescare un branzino e successivamente lo cucina è, in ogni momento – dal momento della pesca del pesce, al momento della presentazione in tavola del piatto – pescatore o, viceversa, cuoco: assurdo! Saper distinguere i “soggetti funzionali” anche quando essi sono svolti da uno stesso soggetto fisico (anziché da soggetti fisici distinti) è fondamentale.
    In fin dei conti, pensiamoci bene, diremmo forse che l’individuo Y è un pessimo pescatore allorché ci presentasse in tavola un branzino bruciacchiato, per il semplice fatto che oltre ad averlo cucinato lo ha anche pescato? Non credo. Credo che diremmo “è un pessimo cuoco”. Allo stesso modo perché si dovrebbe dire dell’individuo X di cui sopra “è un mediocre artista”, allorché non fosse in grado di realizzare nella pratica in modo eccellente una propria opera? Coerentemente con l’esempio del soggetto Y si dovrebbe dire “è un mediocre artigiano” (e, magari, “ma è comunque un ottimo artista”).
    Cattelan (per fare un esempio) non sarebbe stato un artista migliore se oltre che concepire il dito medio lo avesse anche scolpito: sarebbe stato, semplicemente, artista e artigiano.

    Per concludere, e tornando a bomba, questa concezione, secondo cui la dimensione artistica non risiede nel momento della realizzazione pratica, lungi dall’essere il prodotto degli “ultimi vent’anni” era presente non solo ai tempi di Raffaello e Giotto, ma già nell’antica grecia!
    Già Platone, nella “Repubblica” e nel “Cratilo”, argomentava circa la questione su chi possedesse davvero l’arte di un qualsiasi manufatto: se colui che lo usa/concepisce o colui che lo realizza da un punto di vista pratico; sostenendo che è il primo, colui che usa/concepisce il manufatto, a possederne realmente l’arte. L’arte del flauto, dice Platone ne “La Repubblica”, è posseduta anzitutto dal suonatore di flauto, così come l’arte della sella è posseduta dal cavaliere; solo costoro conoscono bellezza e qualità dei manufatti e sanno distinguere i manufatti buoni dai cattivi perché possono concepirli in virtù del fatto che li usano. Il costruttore di flauti e il sellaio si limitano ad applicare alla materia le indicazioni del flautista e del cavaliere secondo un modello di bellezza e qualità da essi prestabilito.

  15. Risposta alle critiche verso Luca Rossi

    rossi- il lavoro di Luca Rossi legge semplicemente il presente, offrendo per ogni progetto più livelli di lettura, ognuno perfettamente sostenibile.-

    molteplici livelli di lettura?
    quindi?
    allora meglio la serie lost
    (o gli originali artisti anni ’60 e ’90 di cui rossi è una scolorita ma chiassosa copia)

    Come fa Rossi ad essere copia di artisti anni 60 e 90 se lo strumento del blog in quegli anni non esisteva? Sicuramente il mezzo è un po’ il messaggio. Tra l’altro Luca Rossi vive una reale distanza dal sistema, tanto che leggendo il blog sembra un semplice osservatore. Non so perchè continuate a leggerlo artista secondo i VOSTRI parametri. Io mi sono documentata e ogni progetto di Rossi vive nella realtà ma non ha paura di una fruizione veloce e superficiale, quindi può essere sufficiente guardare un file immagine davanti al proprio computer (pratica sempre più diffusa). E’ chiaro che questo livello è parziale; ma andando ad approfondire nei testi del blog anche questo livello si può arricchire anche di più rispetto ad una fruizione diretta.

    molteplici livelli di lettura?
    “Chi conosce in profondità si sforza d’essere chiaro; chi vorrebbe sembrare profondo alla moltitudine si sforza d’essere oscuro”

    Chi vuole conoscere approfondisce e si informa. Chi è interessato solo a screditare e ridimensionare per rassicurare la propria mediocrità è destinato ad una visione superficiale delle cose. Luca Rossi non è per nulla oscuro, anzi è fini troppo chiaro: ma non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire.

    rossi è l’ennesimo specchio deformante di un “sistema”:

    Una paradosso: se tutti gli artisti adottassero l’impostazione di Rossi si potrebbe superare un certo sistema. Questo non avviene perchè oggi gli artisti sono fondamentalmente dei pappamolla che vorrebbero essere pagati per fare poco e nulla. E quindi si accodano al sistema imperante. E quelli italiani sono totalmente ignorati dalla scena internazionale.

    whitehouse è l’ennesima operazione artistica che non regge al di fuori di un certo sistema autoreferenziale:

    Invece no, ieri ho letto un pezzo che affrontava anche la questione di interesse comune degli studenti in italia. Mentre i giovani artisti italiani fanno i paraculi con i soldi dei loro genitori.

    il che è palese nell’attaccamento di rossi alla propria maschera (pseudonimo/blog) e alla propria incapacità di svincolarsi dalla propria produzione di contenuti disinescati,

    Se Luca Rossi fosse attaccato alla propria maschera avrebbe scelto un nome più interessante e non accetterebbe che chiunque potesse vestire la sua maschera.
    Disinnescati? Due esempi: Zani di Zero ha rivoluzionato il suo modo di porsi, Viafarini e Care Of hanno modificato le loro scelte espositive, in italia finalmente si è riconosciuta la mancanza di confronto critico…per citare alcuni effetti.

    rassicuranti e prevedibilmente parassitari (ambiguità poppeggiante, aggressività (para)giornalistica alla libero, citazioni di tattiche/lavori del ‘900, ecc.)

    Parassitari? Poppeggiante??? aggressività? Forse verità che fa male. 1900? L’uso del blog si è diffuso dopo il 2000.

    Il problema è che leggete Luca Rossi con la solita mentalità da artista anni 90.

  16. Caro Svelarte,
    D’accordo con quello che dici sul concetto di Autore indipendente dal concetto di artigiano , ma credo funzioni solo con determinati tipi di espressioni artistiche. Non devo certo insegnarti io che esiste un’arte “oggettiva” e una “soggettiva”: nella prima, l’idea è l’opera, la rappresentazione può essere delegata perché copia della cosa o addirittura la cosa stessa (è il caso delle dei vari Koons, Cattelan e molti altri); nell’arte soggettiva però, l’artista “imprime di sé” l’opera (Argan), che non può essere delegata. E’ il caso dell’espressionismo, dell’action painting, del realismo caricaturale, del primo modernismo di Cezanne e Rodin ecc., in cui l’azione fa un tutt’uno col pensiero e anzi ne determina il senso. Nel caso di Vezzoli, poi, credo abbia ragione Cristiana Curti: Vezzoli fa del vero e proprio cinema, anche se ne isola alcuni tropi che pongono l’accento sull’aspetto più “mercantile” del cinema: il trailer, il divismo, il cortometraggio pubblicitario. Ma il risultato è cinematografico: il glamour, che è la caratteristica più evidente del lavoro di Vezzoli, è dato dal montaggio, dalle immagini patinate, dal packaging di lusso delle installazioni. Se questo è il senso dei suoi lavori non può delegare completamente ad altri il suo prodotto ed essere credibile, a meno di non voler considerare veri autori dei film “normali” i soggettisti e gli sceneggiatori piuttosto che i registi. Il paragone che fai, poi, tra il pescatore e il cuoco, mi pare funzioni meglio con il paragone artista-curatore, a meno che, ovviamente non coincidano.

  17. Svela-Arte nonostante l’analisi che fai “funziona” sotto un profilo Logico (ed è apprezzabile) non altrettanto debbo amaramente constatare se guardiamo la “cosa che è “, vista unicamente NELLA prospettiva dell'”artista co-involto”(scusa se gli do il nome artista , ma, lo faccio solo strumentalmentee dunque vedila come questione gramma-ticale di ricerca nomi) in quel periodo preso in esame; Voglio dirti : quando menzioni Giotto e Raffaello , tu , scrivi e pensi da Hegeliano e lo fai ignorando che in quel citato periodo nulla è piu’ distante da quell’aggettivo da noi, aime’, “conosciuto con il nome Artista. Commetti una ingenuita’ Svela-Arte , mi dispiace,come tutti NOI ovviamente CONTAMINATI da una visione storicista.
    Solo dopo Hegel e tutta quella massa di storici che nasce d a lui inizia l’affare “artista” e oggi, debbo dire, la paghiamo cara.
    tutto qui, ma bisogna chiarire.

    ciao Svela-ARTE.

    P.S. : dimenticavo, quando ho scritto nella PROSPETTIVA dell’artista co-involto avrai compreso che Giotto sarebbe morto dalle risate nel leggere “noi con-temporanei “nel defirLo?

  18. è straordinario : si inizia a farsi un idea di un personaggio (Rossi lo è, chi puo’ dire il contrario?) solo attraverso la lente di ingradimento sbagliata dei suoi commentatori.
    Rossi diviene personaggio , da un racconto collettivo che Lui naturalmente fa di tutto per mandare fuori strada.

    A che debbo tanta arditezza, mi chiedo personalmente?

  19. @joegalaxi

    Quello che tu scrivi è sicuramente interessante. Tuttavia, perdonami, ma non credo di essere riuscito a cogliere del tutto il nesso col mio discorso. Non ho mai scritto che i soggetti funzionali “artista” e “artigiano” debbano necessariamente essere svolti da soggetti fisici diversi. Quello che sostengo è semplicemente che, anche qualora venissero svolti da un unico soggetto, non dovrebbero essere confusi.
    La realtà è sempre multilivellare, tuttavia – chissà perché (forse per pigrizia cognitiva) – l’essere umano tende al riduzionismo ontologico, a semplificare sempre tutto; con i conseguenti falsi problemi che ne derivano.

    Un saluto

  20. Gentile Redazione, chiedo scusa. Avevo trasmesso questa mattina, per quest’articolo, un commento al richiamo dell’amico Svelarte, e come sempre, per quanto mi riguarda, trattavasi di un commento piuttosto articolato, lunghetto ma che speravo potessse interessare qualcuno.
    Non è apparso e, poiché non ho l’abitudine per i commenti su internet di copia-incollare in qualche documento le mie risposte, a quanto pare si è perso. Non è l’unica volta che accade e mi rendo conto che forse ciò che scrivo io non sia poi così importante.
    Però è frustrante sperare di far parte di un dialogo e poi vedersene esclusi.
    Mi scuso in particolare con Svelarte.

  21. @LorenzoMarras

    Se ho ben capito, quel che tu sostieni è che noi contemporanei applichiamo, diacronicamente, il termine “arte” a “oggetti” del passato che, al tempo, non erano affatto considerati opere d’arte secondo la nostra accezione; e facendo ciò commettiamo un grave errore.

    Non nego che possa essere come dici tu ma, attualmente, non lo credo. Ritengo invece che, plausibilmente, lo statuto ontologico dell’opera d’arte sia rimasto invariato nel tempo.
    Quello che ci inganna e ci fa ritenere che il concetto di arte sia mutato è:
    1) in primis, il mutamento formale e linguistico delle opere esploso nel ‘900;
    2) in secundis il ritenere – erroneamente – che l’identità ontologica di una qualsiasi “cosa” sia legata alla sua dimensione materiale anziché agli svariati USI che di quella “cosa” possiamo fare. Il discorso è lungo e complesso, in parte l’ho già affrontato nei miei commenti passati; se vorrai potremo comunque tornarci sopra…

    Se vuoi, nel frattempo, potresti scrivermi quella che tu ritieni essere la differenza semantica tra il termine “arte” oggi e il termine “arte” ai tempi di Giotto. Potremmo iniziare da qui…

    Un saluto

  22. rossi- Come fa Rossi ad essere copia di artisti anni 60 e 90 se lo strumento del blog in quegli anni non esisteva?

    Artisti concettuali degli anni sessanta diluivano/frammentavano la propria operatività nei mezzi d’informazione in una modalità ripresa ora da rossi, distorcendola grossolanamente, in un blog.

    Far passare rossi come il primo che ha utilizzato il blog con finalità (non programmatiche) tali da scardinare categorie artistiche tradizionali significa, con una certa caparbia stoltezza, riporre prospettive di senso nell’attribuzione di valore squisitamente novecentesche/moderniste (l’innovazione, il primo a …, ecc.

    SE PROPRIO SI DESIDERA INDIVIDUARE UN USO NON CONVEZIONALE/ARTIS./ecc. DEL BLOG CERCARE INFO SU ciò CHE HA FATTO BLISSET NEI PRIMI DEL 2000, Jacopo dell., o fantastici troll/altro sul forum indymedia, quasi dieci anni fa, DIECI ANNI FA… All’estero, russia, blog d’arte in cui si sintetizzavano tutti i ruoli del sistema sono comparsi già nel 2004…)

    Sempre rossi come la consueta propaggine anni ’90 si veda:

    uso cavallucci/curatore come alterego _ conferenza a bo con m. f. ed altri = cattelan/gioni

    luca rossi nome multiplo = luther blisset nome multiplo

    narrazione (storia centro espo. Asia) whitehouse = blisset

    ecc.

    rossi -Se Luca Rossi fosse attaccato alla propria maschera avrebbe scelto un nome più interessante e non accetterebbe che chiunque potesse vestire la sua maschera.

    rossi- tutti gli artisti adottassero l’impostazione di Rossi si potrebbe superare un certo sistema. Questo non avviene perchè oggi gli artisti sono fondamentalmente dei pappamolla che vorrebbero essere pagati per fare poco e nulla

    rossi- Zani di Zero ha rivoluzionato il suo modo di porsi, Viafarini e Care Of hanno modificato le loro scelte espositive, in italia finalmente si è riconosciuta la mancanza di confronto critico…per citare alcuni effetti.

    Il blog whitehouse è una semplice vetrina promozionale
    (una declinazione ruffiana del blog sinceramente propositivo di boresta):
    progetti, interviste, altro, sono palesi referenze di un’operatività che, nell’apparente negazione di un’identità, tenta maliziosamente d’accreditarsi come operatore e/o interlocutore di un sistema autoreferenziale.
    La finalità è legittima: c’è chi fa l’artista pappamolle, c’è chi fa l’ennesimo blogger x ineffabilmente radicale

    Il far passare whitehouse come qualcosa d’autosostenibile, autonomo, complementare rispetto a questo sistema non corrisponde al vero. Whitehouse arranca dietro al presente e al sistema di cui deforma le consuetudini e le pratiche: questi mirabolanti precipitati di rossi nell’attività espositiva curatoriale e critica italiana, (za., faro., care, ecc.) non sono che pruriginose elucubrazioni

    whitehouse è l’ennesima operazione artistica che non regge al di fuori di un certo sistema autoreferenziale

    rossi- Invece no, ieri ho letto un pezzo che affrontava anche la questione di interesse comune degli studenti in italia.

    è vero

    rossi è un esperto nell'”occupare” gli spazi pubblici:

    il pezzo su whitehouse era però aspramente critico verso le occupazione studentesche dei monumenti:

    rossi infatti argomentava che è stato lui, rossi, ad iniziare ad occupare edifici pubblici, già questa estate, a Firenze, precisamente palazzo vecchio.
    Non si ricorda perché l’ha fatto: per sbaglio rossi ha cancellato il post in cui, in dialogo con la vat. e giac, spiegava il perché della sua inconsueta ed invisibile occupazione.

    Per il prossimo numero di flash art italia rossi pertanto elaborerà un esaustivo articolo in cui esorta gli studenti:
    1. a non copiarli i “contenuti”
    2.di smettere di far striscioni e cartelli che è sintomo di una degenerata e degenerante creatività diffusa
    3.di creare una distanza dal sistema stando a casa, davanti al pc, a leggere whitehouse, che è meglio

  23. rossi – “Poi, Caro Milovan Farronato, le critiche vanno accettate con maggiore leggerezza, semmai aprendo un dialogo con chi ti critica tanto efficacemente da farti cambiare politica espositiva. “ rossi –

    francesca – [i progetti di rossi] Disinnescati? Due esempi: Zani di Zero ha rivoluzionato il suo modo di porsi, Viafarini e Care Of hanno modificato le loro scelte espositive, in italia finalmente si è riconosciuta la mancanza di confronto critico…per citare alcuni effetti.

    grazie rossi

    per ottimizzare gli operatori italiani e renderli più competitivi a livello internazionale

    lavorando gratis tutto il santo il giorno
    davanti al computer
    per tutti noi.

    (qui si è un po’ preoccupati per come tiri a campare
    e per come farai mai a versarti i contributi per la pensione;
    ma queste sono rassicuranti preoccupazione novecentesche
    da cui prendere le distanze)

  24. Seguo regolarmente il blog di Luca Rossi e il punto non è nell’uso del blog ma nei contenuti specifici del progetti. Sarebbe come dire che Hirst è uguale a Cattelan perchè usa i medesimi strumenti.

    La scelta del blog risulta estremamente utile se si pensa che in italia NON ESISTE ALCUN REALE CONFRONTO CRITICO. Personalmente mi piace questo suo essere prima di tutto spettatore rifiutando qualsiasi definizione di “artista” con tutta la componente narcisistica e romantica del caso.
    I contenuti dei progetti non sono totalmente “pubblici” anche perchè nel sistema reale attuale il pubblico crede e segue i progetti solo se sono “benedetti” da un contesto “autorevole”. Lo stesso contesto “autorevole” che in campo economico e finanziario ha consigliato prodotti finanziari fasulli. Quindi lo spettatore/cittadino deve iniziare a svegliarsi e mettere in discussione i suoi reali interessi. E poi muoversi e approfondire le cose, invece di continuare a subirle. Anche io credo che l’operazione di Whitehouse sia la cosa migliore che è successa in italia dopo Cattelan.

  25. Cara Francesca,

    in un paese normale, nel maggio 2009, dopo le mie critiche a Viafarini/Care Of si sarebbe aperto un dialogo (come io ho cercato di fare). Purtroppo gli operatori italiani non sono sereni e si sono formati in un contesto traumatico che osteggia sistematicamente il contemporaneo: quindi non accettano alcuna critica costruttiva. Sono come cagnolini bastonati che mordono anche se li vuoi aiutare. Prima dei miei post sul DOCVA non esistevano le mostre collettive di ricognizione sull’archivio ( i raccolti d’autunno..). Sono contento di questo cambio di rotta, ma neanche questa è la strada più utile. Ma francamente mi sono stancato di lavorare gratis per gli altri. Questa mancanza di collaborazione reale; questi atteggiamenti di delegittimazione assimilati dall’arena
    politica italiana sono alla base dell’ inefficacia del sistema italiano. Ma ovviamente queste cose non ditele agli artisti che esporranno al DOCVA.

  26. Caro Luigi Rossi.

    …Anche io credo che l’operazione di Whitehouse sia la cosa migliore che è successa in italia dopo Cattelan.

    ?

    Ma non fatemi ridere 🙂
    poveretti.

  27. per svelarte:
    se un’artista va a pescare e poi cucina il pesce,
    quando pesca prende buoni pesci e quando cucina di sicuro cuoce bene il pesce.
    forse non è chiaro cos’è un’artista.
    l’artista non è certo quello che dice: “tizio mi è venuta una bella idea: vai a pescare, poi chiama un cuoco e fai cucinare il pesce”
    chi dice così è solo un fraccomodo dei miei stivali. è molto lontano dall’essere un’artista.

    riguardo luca rossi:
    mi spiegate qual’è la sua operazione artistica?
    perchè proprio non riesco a capire.
    a me sembra semplicemente uno che si lamenta del sistema e lo scrive sul blog.
    è arte? mah…

  28. @piero

    E’ evidente, da quello che scrivi, che non hai letto attentamente ciò che ho scritto in precedenza (e che vado scrivendo da tempo). Ovviamente non ho la minima intenzione di ribadirlo, non v’è ragione per cui dovrei scontare io la tua pigrizia intellettuale.

    Ad ogni modo ti svelo un segreto: la tua incapacità di cogliere l’essenza dell’arte – incapacità che finisce con lo sfociare in atteggiamenti idiosincratici e in rifiuto (forse inconsapevole) di ciò che, come arte, è stato abbondantemente storicizzato e, culturalmente, accettato (come si potrebbe spiegare, a partire dalla tua idea “artigianale” di arte, il motivo per cui una cappelliera può diventare un’opera d’arte di Duchamp solo per il fatto di averla, egli, collocata in un museo?) – nasce, con tutta evidenza, da una concezione della realtà ingenuamente materialista (=materialismo ingenuo).
    Ma non preoccuparti, è una “malattia” molto diffusa; sei davvero in buona compagnia 🙂

    Un saluto

  29. caro svelarte non vedo perchè qualcuno che non legge tutti i tuoi commenti deve essere bollato come intellettualmente pigro.
    io ho semplicemente letto un tuo commento e ti ho espresso il mio parere, non per fare polemiche, unicamente per esprimere una mia idea.
    mi sa che sei troppo frettoloso nel giudicare le persone. anche perchè da quello che hai scritto dimostri di aver capito ben poco di me. la mia non è affatto una visione “artigianale” dell’arte
    ma la manualità ha una componente non indifferente. basta pensare che -per esempio- il famoso orinatoio è stato portato dallo studio dell’artista alla sede espositiva “manualmente”.
    ed è stato questo “portare” il gesto artistico.
    gesto artistico materiale ma tutt’altro che artigianale.

  30. @svenarte
    -Pensare questo sarebbe un po’ come sostenere che un individuo Y che va a pescare un branzino e successivamente lo cucina è, in ogni momento – dal momento della pesca del pesce, al momento della presentazione in tavola del piatto – pescatore o, viceversa, cuoco: assurdo! Saper distinguere i “soggetti funzionali” anche quando essi sono svolti da uno stesso soggetto fisico (anziché da soggetti fisici distinti) è fondamentale.-

    questo esempio è S.B.A.G.L.I.A.T.O. in riferimento all’artista, infatti il pesce pescato sarebbe l’equivalente di un blocco di marmo prelevato dalla cava o la tela bianca comprata nel negozio con i colori, il cuoco dice semplicemente ‘voglio un branzino’ come un pittore per esempio dice ‘voglio quel pennello’ al venditore, la lavorazione è successiva, quindi quest’esempio non ha senso riferito all’ipotetico cuoco/artista che non va a pescare. al limite bisognava paragonare il cuoco a chi effettivamente cucina (gli assistenti etc) ma non mi risulta che il cuoco lasci mai le cucine, è lui a dettare i tempi e preparare i piatti più importanti, è come se un regista dicesse agli attori ok questa è la sceneggiatura giratevi da soli che io TORNO SUBITO, poi va a farsi una lampada e a comprarsi i pantaloni bianchi attillati (tipo quelli sfoggiati da cacchelan all’inaugurazione dello scopiazzadito) .

  31. @piero

    Il “portare manualmente” l’orinatoio E’ l’opera d’arte? Ma per favore… 🙂
    Tra l’altro, se così fosse, se fosse il gesto del “portare” ad avere valenza arrtistica, tutti i ready-made (di Duchamp e di altri artisti) dovrebbero essere “opere d’arte” solo se “portati manualmente” in un contesto artistico. Cosa che, ovviamente, non accade.

    Un saluto

    PS: non sostengo che chi non legge i miei commenti è, per questo, intellettualmente pigro; sostengo che, allorché si intende porsi in dialogo con qualcuno sarebbe buona norma leggere bene ciò che quel qualcuno ha scritto; non farlo è sintomo, questo sì, di frettolosità e pigrizia intellettuale. Tu puoi esprimere un tuo parere, ci mancherebbe, ma se, nel farlo, ti riferisci a me sarebbe intelligente leggere bene quello che io ho scritto in precedenza; diversamente perché porti in dialogo con me?
    Il fatto è che, per un senso di civiltà, io tendo a rispondere a chi si rivolge a me; tuttavia capisci che, se nel farlo, sono costretto (come accade spesso) a ri-ri-ribadire quello che ho già scritto, la cosa risulta faticosa. Tra l’ignorare e il rispondere evidenziando l’altrui pigrizia intellettuale preferisco la seconda opzione.

  32. @hm

    Ovviamente (io, quantomeno, lo ritengo ovvio) le similitudini vanno cercate dove ci sono, non dove non ci sono. Il mio esempio pescatore/cuoco è il migliore che ho trovato per evidenziare semplicemente il fatto che, anche allorché l’ “oggetto” su cui si lavora resti, essenzialmente, sempre lo stesso, e il soggetto fisico che lavora resti sempre lo stesso, non per questo non può darsi cambiamento di SOGGETTO FUNZIONALE.
    Il branzino permane sempre, il soggetto fisico X/Y permane sempre, ma i soggetti funzionali cambiano e, cambiando, il soggetto fisico X/Y assume un’identità piuttosto che un’altra proprio in virtù delle funzioni che attiva.
    Così come il soggetto Y va valutato come pescatore (e non come cuoco) mentre pesca, così il soggetto X va valutato come artigiano (alla stregua di un qualsiasi artigiano, e non come artista) mentre scolpisce.

    Un saluto

    PS: quello che vale per piero, sulla pigrizia intellettuale – ormai è appurato – vale anche per te eh… E’ pur vero che, quando si è mossi unicamente da spirito di contraddizione e da atteggiamenti eristici, la verità interessa poco.

    E vabbè.

  33. @piero (PPS)

    Dimenticavo di aggiungere che, se l’artisticità, come dici tu, risiedesse nel gesto del “portare” da un luogo (non-artistico) a un’altro (artistico) un oggetto che, in tal modo, diviene opera d’arte, allora tutti i facchini sarebbero artisti 🙂

    Quello che io sto cercando di individurare è il minimo comune denominatore ontologico delle opere d’arte in quanto tali (che, se vengono chiamate tutte “opere d’arte”, qualcosa in comune devono pur avercelo; diversamente non avrebbe senso definirle tutte con lo stesso termine). Tu vuoi dirmi che il “portare” l’opera è questo minimo comune denominatore artistico? L’opera d’arte in quanto tale sarebbe definibile sulla base del “portare”? Non credo che tu lo pensi, ovviamente… Quindi?, il problema che io pongo non è, in questo modo, risolto…

    Un saluto

    PPPS: L’orinatoio di Duchamp, credo, è arte per la dimensione CONCETTUALE che lo investe; per il ribaltamento di prospettiva: una sorta di rivoluzione copernicana del pensare l’arte che si riflette nel rovesciamento fisico dell’oggetto, ecc.ecc. Non certo per la dimensione “PRATICA” del portarlo al museo

  34. Svela-Arte caro, ti ostini ad interessarti esclusivamente ad un “ontologia” sul termine ARTE (da buon hegeliano che giustamente si è fatto un sedere di pietra nel compulsare il parroco Kant). Oppure detto in termini comprensibili da chiunque : ad una soddisfacente e definitiva risposta alla domanda (molto stupida e cialtrona) di “”cosa è L’arte ? “”” per stare in pace probalmente con se stessi (come dire …una volta saputo cosa è arte …ergo…è possibile sapere chi è artista e chi non lo è). Non ho scritto di tuo “”errore” ho scritto di ingenuita’, aggiungo , ora, per paradosso forse anche calcolata.
    Tanto è vero che nel P.S. ho detto visto nella prospettiva “dell’artista”… non trovando di meglio linguisticamente rispetto invece all’ usare il termine…spirito…turbamento… animo… PROVATO (santa pazienza, svela-arte, santa pazienza) da quell’uomo che noi presenti nominiano OGGI “ARTISTA”(per sciocca abitudine o altro non so) .
    un Uomo vissuto in epoca pre-storica quando segna nella propria abitazione caverna delle immagini che riguardano scene di caccia , cosa pensi che PROVI Svelarte ?
    un uomo che dipinge nel palazzo scene di guerra che hanno visto protagonista il Sovrano Faraone , cosa pensi che provi Svela-Arte ?
    un uomo che affresca una chiesa per conto di un mercante desideroso di entrare nel regno dei cieli, cosa pensi che provi , svela-arte ?
    un uomo che si fa un autoritratto con l’orecchio mozzato, cosa pensi che provi Svela-arte ?
    un uomo che sceglie di firmare un cesso, e di porlo su un piedistallo, cosa pensi che provi svela-arte ?

    questa è la domanda ,sempre identica… sempre presente. Cosa centra avere ragione o torto ? cosa siamo in un aula di tribunale ?
    ma dopo hegel tutto viene messo in storia , tutto, come idea, è divinizzato (compreso il successo).

    ti saluto Svela-arte.

    (vediamo dove vai a parare ora)

  35. @LorenzoMarras

    Mi ostino a una ontologia dell’arte? Beh, sì, è ciò che mi interessa. Dovrei sentirmi in colpa per questo? E’ un crimine? Magari puoi stabilire tu ciò a cui devo interessarmi, così non perdo tempo in amenità 🙂

    Definire l’arte, come qualsiasi altra cosa, lo ritengo opportuno non solo per capire chi è artista e chi no (cosa che mi interessa relativamente poco) ma, anzitutto, per capire cosa è arte e, in funzione di ciò, capire come relazionarsi all’arte in quanto tale. De-finire (ti rubo i tuoi amati trattini) è la conditio sine qua non per conoscere, saper dirimere tra una “cosa” e un’altra e, anche, poterne parlare (il linguaggio senza definizioni non esisterebbe, se rifiuti le definizioni di quale realtà condivisa puoi parlare?). De-finire è, inoltre, la conditio sine qua non per normare (non per niente le definizioni sono il “pane” dei giuristi); e in un Paese in cui l’arte non ha diritti e vive di stenti per, anzitutto, l’indifferenza delle istituzioni, prendere coscienza di che cosa essa – l’arte – sia è forse fondamentale per far sì che abbia un minimo di riconoscimento.

    Di ciò che hai scritto successivamente non ho capito nulla. Ci sono periodi di senso non compiuto, come:
    “Tanto è vero che nel P.S. ho detto visto nella prospettiva “dell’artista”… non trovando di meglio linguisticamente rispetto invece all’ usare il termine…spirito…turbamento… animo… PROVATO (santa pazienza, svela-arte, santa pazienza) da quell’uomo che noi presenti nominiano OGGI “ARTISTA”(per sciocca abitudine o altro non so)”
    Visto nella prospettiva dell’artista […] provato da quell’uomo che noi presenti nominiamo oggi artista??
    E che significa?

    Infine, quella serie di domande sul “cosa ha provato” non capisco che c’entrino col discorso che stavo facendo.

    Ad ogni modo, un suggerimento (spero lo accetterai e ne farai buon uso). Nel messaggio precedente mi scrivi:
    “Svela-Arte nonostante l’analisi che fai “funziona” sotto un profilo Logico (ed è apprezzabile) non altrettanto debbo amaramente constatare se guardiamo la “cosa che è “, vista unicamente NELLA prospettiva dell'”artista co-involto”.
    L’identità dell’arte non si assegna affatto, come molti credono (e, mi pare di capire, anche tu) entro l’orizzonte della creazione (intentio auctoris), bensì entro quello della FRUIZIONE (intentio locii o intentio culturae – non per niente “cultura” deriva da colo, colis, colui, coltum, colere; ossia “coltivare”: è la cultura che coltiva le cose portandole alle identità da essa desiderate), con buona pace dell'”artista”. Del resto lo sapeva bene anche Platone (vuoi vedere che sono anche platonico? 🙂 quando dimostrava – come già detto – che conoscenza delle cose non ce l’ha chi le crea, ma colui che ne fa uso; mettendo, dunque, ben in evidenza il primato della fruizione sulla creazione.

    Un saluto

    PS: nel messaggio precedente ti chiedevo quale ritieni essere la differenza semantica tra il termine “arte” oggi e il termine “arte” ai tempi di Giotto.

    Ma, tu, sei andato a parare altrove 🙂

    PPS: sull’ossessivocompulsivo kantiano hai assolutamente ragione!, un’estate intera – ai tempi dell’università – passata sull’epistemologia kantiana. Ciò detto però, dai, non puoi buttarla sempre sul piano ad personam; un po’ più di argomentazione. Essù.

  36. @sfalsarte
    non puoi fare un esempio SBAGLIATO e pretendere di avere la verità, sorry.
    i soggetti funzionali possono cambiare ma il tuo esempio era sbagliato, hai scritto 82 righe di esempio sbagliato, in nessun caso può esistere un cuoco che lascia le disposizioni agli assistenti e va a prendere il sole al mare spero che questo ti sia chiaro almeno (e il tuo esempio era addirittura riferito a cuoco VS pescatore, non pertinente ai massimi livelli).

  37. per svelarte:

    a quanto pare non basta scrivere frasi brevi e concise. Cercherò di essere esaustivo.

    innanzitutto non sono affatto pigro, nè fisicamente, nè intellettualmente.
    nell’esprimere il mio parere non mi riferisco in alcun modo a “te”. mi riferisco a quello che hai scritto in poche righe e a nient’altro. non vedo perchè per esprimere un parere su un pensiero che leggo debba andarmi a studiare vita morte e miracoli di colui che l’ha scritto. cerca di capire: non giudico la tua persona. e per essere più chiaro non giudico neanche quello che scrivi.
    esprimo solo il mio parere. te lo ripeto: riferito unicamente a quel pensiero che ho letto. non a te. sei tu che giudichi le persone.(sbagliando)

    tornando all’orinatoio ti devo correggere:
    non ho mai scritto che il “portare manualmente”
    l’orinatoio E’ l’opera d’arte. non so dove l’hai letto.
    o scritto e lo riscrivo pari pari: il famoso orinatoio è stato portato dallo studio dell’artista alla sede espositiva “manualmente”.
    ed è stato questo “portare” il gesto artistico.

    quindi il “portare” è un gesto artistico, non un’opera d’arte. due cose molto diverse come i colpi di scalpello (gesto artistico)e il David di Michelangelo (opera d’arte).

    in merito alla tua frase: “Quello che io sto cercando di individurare è il minimo comune denominatore ontologico delle opere d’arte in quanto tali” ti scrivo la mia definizione di “arte”:
    Esiste uno strumento musicale africano chiamato djembè, tamburo formato da un calice in legno ricoperto da una pelle di capra.
    Si suona percuotendo ritmicamente la pelle con le mani. E’uno dei primi strumenti mai costruiti, quindi molto semplice,
    apparentemente anche molto semplice da suonare, ma non è così. Ad un primo approccio con lo strumento i movimenti delle mani
    appaiono impacciati. Con un po’di tempo, esercitandosi, man mano che la confidenza con lo strumento aumenta, i movimenti diventano
    più fluidi e il suono migliora. Per suonare bene questo strumento occorrono molte ore di pratica. Maggiore è il tempo dedicato
    a percuotere la pelle, maggiori sono i risultati ottenuti a livello tecnico. Esercitandosi ancora e ancora si ottiene una certa
    padronanza dei movimenti e si smette di pensare a come migliorarsi, ci si sente rilassati e non si pensa più alla tecnica.
    Continuando a suonare si impara poi ad effettuare delle variazioni ritmiche, più o meno complesse, a seconda delle capacità,
    della volontà e del talento. Continuando a suonare, suonare e ancora suonare, un bel giorno vi capiterà inaspettatamente, di accorgervi che le vostre mani si muovono
    in maniera totalmente estranea alla vostra volontà. Da quel momento in poi state diffondendo ARTE sotto forma di onde sonore.

  38. @piero

    Tu, dunque, distingui tra “opera d’arte” e “gesto artistico”. Ti sarei grato se mi spiegassi: 1) la rilevanza ontologica del “gesto artistico” (perché ritieni necessario distinguere il gesto artistico dal gesto non artistico…) e 2) cosa rende un gesto “gesto artistico” (cosa distingue un “gesto artistico” da uno “non artistico” e, in virtù di questa differenza, quali diversi approcci valutativi dovrebbero essere applicati ai due tipi di gesti) e 3) la differenza ontologica tra un “gesto che è opera d’arte” (per es. nelle performance) e un “gesto artistico”.

    La tua definizione di “arte” è molto poetica ma decisamente debole, perchè:
    1) i parametri sono molto soggettivi e dunque la definizione è di scarsissima applicabilità culturale.
    2) come stabilire questa “involontarietà” (le mani che si muovono da sole dovrebbero essere metafora di una sorta di automatismo, giusto?) dell’artista nel creare l’opera?
    3) se il criterio ontologico che attribuisce valore artistico alle opere è quello da te proposto, tutte le opere che si definissero “opere d’arte” dovrebbero essere realizzate secondo il suddetto automatismo. Cosa che, ovviamente, non è.

    Un saluto

    Un saluto

  39. Svela-arte non mi sembra averti dato del farabutto quando ti scrissi “ti ostini fare un ontologia dell’arte” a meno che sia tu stesso a considerare la cosa un affare per farabutti(da escludere).
    Dunque non comprendo ,seriamente, quale motivo ti spinga nell’esibire le inequivocabili vistose tue manie di persecuzione. A proposito la tua ironia, spesa nella tua opera di ridicolizzazione di cio’ che non è conforme alle tue aspettative teoriche è francamente VOLGARE (gli analfabeti totali e di ritorno ammiccano tra loro quando non capiscono chi parla loro e ridono). Quei copia ed incolla te li potevi pertanto anche risparmiare. Non mi sembra poi cosi difficile da uno che ha studiato cosi tanto , notare che io mi sia riferito ad uno scritto da te postato il giorno 26 (che tra l’altro ho apprezzato e apprezzo, in parte, anche oggi nonostante la tua spiccata attitudine a piccarti delle posizioni altrui). e poi c era ben poco da capire : TU sei interessato a sapere cosa sia ARTE -io, personalmente,invece, me ne fotto alla grande – perche’ di sapere conosco solo il necessario che non coincide certo con stupide etichette da applicare a destra e manca tipo “”soggetto funzionale nonche’ fisico”””(vedi che certi abusi linguistici riguardano anche te ?!) .
    Non posso darti nessuna risposta sulla differenza semantica tra arte di Giotto e quella attuale PRIMO : perche’ non ho nessuna intenzione farmi un mazzo nella lettura dello stesso (preferisco chiavare che è deliziosamente artistico) SECONDO : perche’ non saprei che farmene nel cogliere una differenza puramente Teorica che non avrebbe altro scopo che quello di mandarti in sollucchero .
    Piuttosto, se volevi parare giusto avevi l’obbligo di chiedermi cosa di quel tuo scritto del giorno 26 ( tu interloquivi con la Curti – giusto per precisare) era stato causa del mio intervento (quello primo) dove tra l’altro se ho parlato della “”cosa che è nella prospettiva dell’artista coinvolto” l ho fatto solo per DIRTI che avevi fatto una forzatura; cito il passo “”la concezione secondo cui la DIMENSIONE ARTISTICA non risiede nella realizzazione pratica …lungi dall’essere un prodotto degli ultimi 20 anni era PRESENTE non solo ai tempi di Raffaello e Giotto ma gia’ nell’antica Grecia””” . Forzatura perche’ estesa a periodi in cui quegli uomini non avrebbero compreso, la distinzione tra momento di creazione dell’opera(artista) e momento di sua effettiva realizzazione(artigiano). Distintizione a quanto pare post moderna a leggere l’articolo . Ecco perche’ ti ho scritto che Giotto avrebbe riso .
    come forse l’uomo della casa-caverna
    come forse l’uomo pittore-scriba della residenza del faraone
    come sicuramente duchamp visto che lo stesso aveva liquidato lo stesso momento della realizzazione e il suo interesse era quello di pensare l’opera (non fu forse Duchamp, il primo, a rimproverare i pittori di essere esclusivamente retinici dipendenti dalla vista dell’opera?)

    Svelarte quello che scrivo non è assoluto , penso cosi e non ho paura essere in errore.

    Buona notte Svelarte.

    p.s. : sono rientrato a casa alle ore 1.o ho acceso il pc e letto la tua che mi ha fatto passare il sonno perche’ ho dovuto rispondere.

  40. per svelarte ma non solo:

    certo che distinguo tra “opera d’arte” e “gesto artistico”! l’una è figlia dell’altro!

    alla domanda 1: perché ritieni necessario distinguere il gesto artistico dal gesto non artistico?

    semplicemente perchè il gesto artistico produce un’opera d’arte. il gesto non artistico non produce opere d’arte.

    alla domanda 2: cosa distingue un “gesto artistico” da uno “non artistico” ?

    puoi tranquillamente leggere la risposta alla domanda 1. con la stessa frase ho risposto a due domande. non mi era mai capitato. 🙂

    alla domanda 3:qual’è la differenza ontologica tra un “gesto che è opera d’arte” (per es. nelle performance) e un “gesto artistico”.

    in questo particolare caso il gesto artistico e l’opera d’arte coincidono.

    in quanto alla mia definizione di arte:
    la mia non è la teoria di un’appassionato, nè di uno studioso, nè di un filosofo.
    è una teoria scientifica, basata su ripetute osservazioni. sono un’artista e ti ho semplicemente descritto la mia esperienza. (che coincide con quella di artisti miei conoscenti). tu dici che è basata su parametri molto soggettivi ma non è così. se un vero artista legge queste righe si identifica sicuramente in questa esperienza.

    per rispondere alla tua domanda: come stabilire questa “involontarietà” dell’artista nel creare l’opera?

    alcuni la chiamano “automatismo” (e non è un termine che ho inventato io) altri la chiamano “ispirazione” (e neanche questo termine è mio). come fai a dire che i miei parametri sono soggettivi?

    si tratta di una forza sconosciuta che interviene in “aiuto” dell’uomo. non so se è una forza che proviene dall’esterno o dall’interno, ma è comunque necessaria per realizzare opere d’arte.

    dal momento della scoperta di questa forza si sa di essere artisti.
    ma non è solo un punto d’arrivo. è anche un punto di partenza. dopo la prima esperienza non è facile entrare dinuovo in sintonia con questa forza, poi man mano si trova sempre più velocemente la strada. col passare degli anni si può addirittura imparare a “governare” questa forza, ma non so se al 100 per 100.
    gli artisti più grandi sono quelli che meglio riescono a gestire e controllare questa forza.

    al punto 3 scrivi: se il criterio ontologico che attribuisce valore artistico alle opere è quello da te proposto, tutte le opere che si definissero “opere d’arte” dovrebbero essere realizzate secondo il suddetto automatismo. Cosa che, ovviamente, non è.

    invece è proprio così. non capisco come fai a scrivere : cosa che ovviamente non è.
    è proprio così. proprio tutte le opere d’arte.
    dovresti rivedere il tuo concetto di “ovvio”.

    ciao

  41. @LorenzoMarras

    cito: “Forzatura perche’ estesa a periodi in cui quegli uomini non avrebbero compreso, la distinzione tra momento di creazione dell’opera(artista) e momento di sua effettiva realizzazione(artigiano)”.

    Come già detto, dalla lettura di Platone (Repubblica e Cratilo) si evince bene che, quantomeno in nuce, la consapevolezza della distinsione di cui sopra era già presente nel pensiero antico.

    Un saluto

  42. @piero

    Dunque, tu dici – 1° PREMESSA – che il gesto artistico è il gesto che produce opera d’arte – dove, mi pare di capire, nella tua accezione “produrre” è da intendersi come “attribuire statuto artistico” a una “cosa” (come avviene nel caso dei ready-made). Poi mi dici che – 2° PREMESSA – il gesto del “portare” l’oggetto è “gesto artistico”.
    Se ne conclude, logicamente, che – come già scrissi – i facchini sono artisti. E, anzi, nel caso in cui i ready-made non “portati” in un contesto artistico da Duchamp, siano portati dai facchini, dovrebbero essere loro (e non Duchamp) gli autori dell’opera.

    La teorie scientifiche sono quelle dimostrabili; come puoi dimostrare questo “automatismo”? Sostenerle l’esistenza non è dimostrarne l’esistenza. Io posso sostenere, ugualmente, che non esista: che io ho prodotto opere d’arte con piena consapevolezza delle mie azioni.

    Il mio discorso sulla soggettività vuole sottolineare il fatto che chiunque può dirsi mosso da questo fantomatico “automatismo” senza tema di smentita. Capisci che, culturalmente, non è – e non può essere – sulla scorta di questo parametro che la nostra cultura (non tizio o caio, ma la cultura) stabilisce cosa è arte e cosa no? Non è per questa “ragione” che una “cosa” finisce in un museo, in una galleria d’arte, in un manuale di storia dell’arte e un’altra no.

    Tu sei artista. E per questo sei portato (ed è, legittimanente, anche quello che vorresti) a ritienere che l’identità di “opera d’arte” si assegni entro l’orizzonte della genesi. Ma, come ho più volte cercato di dimostrare, l’artisticità è un MODALITà D’USO dei “testi” (=delle cose, qualunque cosa; che sia esso un dipinto, un film, un orinatoio). E, in quanto dipendente da una particolare modalità d’uso, l’artisticità si assegna entro l’orizzonte della fruizione – se usi quella “cosa” in un certo modo essa è arte, se la usi in un altro modo (per es. per scolare le bottiglie, nel caso di una famosa opera di duchamp) non è arte (per es. è un semplice scolabottiglie).
    Questo discorso vale non solo per i ready-made, ma per qualsiasi cosa. Poco tempo fa in un numero della rivista “Journal of Obesity” era apparso un articolo dal titolo “The largest Last Supper: deciptions of food portions and plate size increased over the millennium”. L’articolo contiene uno studio – ad opera di un DOCENTE DI MARKETING ED ECONOMIA APPLICATA e di un DOCENTE DI TEOLOGIA – che prende in esame alcuni DIPINTI ritraenti l’Ultima Cena, allo scopo di valutare se e in quale misura le porzioni del pasto e la grandezza dei piatti avessero subito variazioni col passare dei secoli.
    E’ evidente che i due studiosi – che nulla hanno a che fare col mondo dell’arte – si riferirono ai dipinti (che sono certo dipinti, ma non sono opere d’arte IN QUANTO dipinti) non in quanto OPERE D’ARTE, ma in quanto documenti antropologici (diciamo così); tanto che, i loro parametri di valutazione dei testi in esame, non sono certo parametri di valutazione artistica. Secondo l’uso che ne stavano facendo, dunque, quei dipinti non erano “opere d’arte”, ma semplici documenti. Così come, secondo l’uso che se ne fa, uno scolabottiglie può essere scolabottiglie oppure opera d’arte.
    Questo discorso, come vedi, vale – allo stesso modo – per gli individui fisici e i soggetti empirici. Ciascuno di noi non è sempre cuoco o sempre pescatore; è l’uno o l’altro – assume una identità piuttosto che un’altra – in virtù delle funzioni che attiva. Così come un “oggetto” ha una identità piuttosto che un’altra in virtù degli usi che il fruitore ne fa. E l’artisticità è una modalità d’uso.

    Un saluto

  43. caro svelarte,
    sei in errore.
    non tutti i facchini sono artisti.
    io per esempio per un periodo della mia vita ho lavorato come facchino. ed ero un facchino artista. e ce ne saranno sicuramente altri.
    ma quando portavo le cose, queste non si trasformavano in arte. io non ho mai scritto che il semplice trasportare qualcosa trasforma questo “qualcosa” in arte. il mio esempio era riferito al caso particolare: l’orinatoio.
    in quel caso l’artista ha trasformato l’orinatoio in opera d’arte “trasportandolo” in un museo. ogni opera nasce con un gesto. perfino un ready-made. il “trasportare” è il gesto del ready-made. “trasportare” inteso non solo fisicamente. ciò non vuol dire che tutte le cose trasportate diventino opere d’arte. davo questa cosa per scontata, ma a quanto pare…

    l’orinatoio dopo il trasporto è diventato “opera d’arte”. sai perchè? perchè Duchamp era un’artista. quell’orinatoio resterà per sempre un’opera d’arte. anche se degli scienziati la analizzeranno al microscopio interessati solo alla qualità della ceramica. anche se qualcuno ci pisciasse dentro. piscerebbe in un’opera d’arte. anche sommerso da una enorme quantità di rifiuti, non diventerebbe esso stesso rifiuto. resterebbe un’opera d’arte sotto una montagna di rifiuti. anche se nessuno la vedesse. il luogo non conta. in un museo come in fondo al mare non cambia nulla. resta un’opera d’arte. ridotta in frammenti, i frammenti sarebbero frammenti di un’opera d’arte. ridotta in polvere, sarebbe polvere di opera d’arte.

    la tua teoria fa acqua da tutte le parti.
    es: io conosco il direttore di un museo.mi stima. potrei prendere un disegno di mio cugino e portarlo al museo. dire al direttore mentendo: ti ho finalmente portato una mia opera che aspettavi da tanto. sono sicuro che il direttore la esporrebbe nella collezione permanente. in questo caso quel disegno sarebbe un’opera d’arte solo perchè esposta in un museo? solo perchè i visitatori ne fruirebbero come opera?

    ma per favore… i musei e le gallerie sono pieni di oggetti che con l’arte non hanno nulla a che fare.

    saluti

  44. @piero

    Ci risiamo, Piero :)… tu mi dici che il gesto del “portare” è in un caso gesto artistico – allorché eseguito da un artista – e in un caso gesto non artistico – allorché eseguito non da un artista. A questo punto, toccherebbe stabilire sulla scorta di cosa un tale è artista e un altro no: quale dovrebbe essere il criterio ontologico dirimente, insomma.
    Il tuo ragionamento, in logica, è errato e prende il nome di “diallele” (=circolo vizioso). E’ una forma argomentativa fallace (ciò non corretta, per i profani), in cui la dimostrazione è solo apparente; giacché le premesse derivano dalle conseguenze e queste da quelle: in altre parole, ciò che si vorrebbe dimostrare si da, in realtà, per assunto (stabilito in modo a-prioristico).
    Se tu mi dici che artista è colui che, mediante gesto artistico, produce arte; non puoi sostenere che arte è ciò che viene prodotto dal gesto artistico dell’artista. Non è una definizione questa; e non è una mia opinione che non lo sia, sono le basi della logica classica.
    Il tuo attribuire identità artistica all’artista, insomma, non si fonda sul fatto che compia particolari azioni; giacché mi dici che lo stesso gesto, se prodotto da un facchino, non è arte, ed egli resta facchino (non assume l’identità di artista in virtù di tale gesto). Dunque tale gesto non è il criterio dirimente. E il criterio dirimente, secondo la tua teoria, non esiste. Artista è definito arbitrariamente, ossia in modo in-fondato; per questo il tuo ragionamento si chiama “circolo vizioso”, giacché non ha fondamento al di fuori del ragionamento stesso.

    La tua definizio di artista, sulla base del tuo ragionamento, finisce per essere più o meno così: l’artista è colui che si autodefinisce – o viene definito da tizio o caio, direttori di musei – artista. Si riduce tutto a una questione fideistica, insomma 🙂

    Ti assicuro che il mio ragionamento non fa acqua da nessuna parte; basta poco per verificarlo: un qualsiasi manuale – anche divulgativo – di logica. O, in alternativa, un consulto presso un qualsiasi docente di logica.

    Un saluto

  45. Svelarte, per favore, NON barare!
    è vero che la distinzione che menzioni era presente nel pensiero di platone ma NON con lo stesso “”peso”” che noi diamo alla medesima.

    Prova ad Intuire anziche’ dedurre, il perche’.

    tanti saluti svelarte.

  46. @LorenzoMarras e non solo

    Non baro affatto, se leggerai meglio noterai che ho scritto “in nuce”.

    Racconto una storia, è la descrizione, da parte di Kandinskij, di come egli scoprì (non inventò) le potenzialità di un’opera pienamente autonoma: la nascita della tradizione astratta.
    “Stavo tornando a casa con la cassetta dei colori dopo aver dipinto uno schizzo […] quando vivi d’improvviso un quadro di una bellezza indescrivibile, imbevuto di ardore interno. Mi fermai colpito, poi mi avvicinai rapidamente a questo quadro misterioso sui cui non vedevo altro che forme e colori e il cui contenuto mi era incomprensibile. Trovai subito la chiave del mistero: era un mio quadro che era appoggiato alla parete di lato. Il giorno successivo […] cercai d ricreare in me l’impressione che il quadro mi aveva fatto il giorno prima. La cosa però mi riuscì solo a metà; anche ponendo il quadro su un lato riconoscevo sempre gli oggetti […] Seppi così, in modo preciso, che l’oggetto nuoce ai miei quadri” (V. Kandinskij, “Sguardo al passato 1901-1913”).
    Ciò che si profila, dalle parole di Kandinskij, è che l’astrazione “si da” per “decantazione” come tappa di un processo di sviluppo teleologico dell’arte.
    Jane Bazaine in merito a questa assunzione di consapevolezza di qualcosa che da sempre era presente, così scrisse: “L’errore più grande è quello di continuare a parlare dell’oggetto […] come se davvero esso fosse stato, in un qualunque momento, il “fine” dell’opera d’arte, e non sempre e soltanto il mezzo: l’arte in qualsiasi epoca è sempre stata non figurativa” (J. Bazaine, “Notes sur la peinture d’aujourd’hui”).

    Ora, quello che voglio dire è che all’abbandono della dimensione pratica – alla separazione tra artigianato (inteso come momento del creare nella pratica) e arte – si è potuti giungere perché DA SEMPRE è stato così: semplicemente se ne doveva prendere sempre maggiore consapevolezza. La distinzione era presente nel pensiero greco, in grado molto minore rispetto a oggi; con Duchamp e i suoi ready-made questa separazione appare netta, ma non è un’invenzione, la sua, è la scoperta di una verità che sempre è stata, ma che semplicemente andava svelata prendendone consapevolezza (così come avvenne per Kandinskij).
    La grandezza di Duchamp sta proprio nell’aver egli, forse per primo, preso coscienza che della dimensione pratico/artigianale se ne poteva fare tranquillamente a meno giacché non aveva/ha alcuna peso ontologico nel concetto di “arte”. Chi sostiene che nelle opere ready-made di Duchamp artista (non artigiano) è presente una “dimensione pratica/del fare” a fondamento artistico di tali opere non ha capito nulla di Duchamp; giacché ciò che egli mostra, è proprio il contrario.
    Ciò che Duchamp (di)mostra è che “arte” è, come dico da tempo, una modalità d’uso: l’oggetto rimane identico a se stesso, ma secondo un uso non è arte (orinatoio, scolabottiglie ecc.), secondo un altro uso è arte (anche quello concettuale è un uso); e l’uso pertiene al fruitore, non all’artista. Per questo l’artisticità, come già detto, si assegna nell’orizzonte della fruizione e non della genesi.

    Un saluto

  47. Ci risiamo Svelarte 🙂
    Continui ad attribuirmi frasi che non ho mai scritto. Non capisco come sia possibile.
    Probabilmente la tua “logica classica” ti permette di dedurre informazioni e darle per scontate. Ti invito a fare più attenzione, a leggere più lentamente senza dare nulla per certo e senza fantasticare sulle cose che scrivo. prendi le frasi per quello che sono.

    la questione ,per quanto mi riguarda è molto semplice. molto più semplice di quanto si creda.
    e non c’è bisogno di alcuna dimostrazione.

    L’arte è il prodotto dell’artista.
    ora non mi rimane che dire chi è l’artista. giusto?
    giusto.

    L’artista è colui che si impegna, studia,lavora,si applica nel campo della conoscenza e nel campo dell’espressione.

    E’un po’ come dire: cos’è la medicina?
    La medicina è il prodotto del medico.
    chi è il medico?
    è colui che si impegna, studia, lavora e si applica nel campo della cura di malattie.

    E’ un po’come dire: cos’è l’architettura?
    L’architettura è il prodotto dell’architetto.
    chi è l’architetto?
    è colui che si impegna, studia, lavora, si applica e produce nel campo delle costruzioni.

    molto semplice e non affatto un circolo vizioso.

    ora non mi rimane che ribadire che la tua teoria fa acqua da tutte le parti.
    mi riferisco alla tua frase:
    – un “oggetto” ha una identità piuttosto che un’altra in virtù degli usi che il fruitore ne fa. E l’artisticità è una modalità d’uso –

    ti ho fatto un esempio, quello di mio cugino e ovviamente non mi hai risposto.
    cosa potresti mai dire?

    è facile dire:
    Ti assicuro che il mio ragionamento non fa acqua da nessuna parte; basta poco per verificarlo: un qualsiasi manuale – anche divulgativo – di logica.

    ma che vuol dire?
    argomenta la tua frase piuttosto.

  48. @piero

    Il concetto di “malattia” non si definisce sulla scorta del concetto di “medico”. In nessun dizionario il significato di “malattia” è: “ciò che viene curato dal medico”.
    (Anche se, parlando di ciò che un soggetto produce, il tuo esempio sarebbe stato più calzante se avessi fatto riferimento a ciò che “produce” il medico, la cura, per es. Ma anche in questo caso non sarebbe cambiato nulla, ovviamente)

    Il concetto di “costruzione edile” non si definisce sulla scorta del concetto di “architetto/ingegnere”. In nessun dizionario il significato di “costruzione edile” è: “ciò che viene prodotto da architetti/ingegneri”.

    Così il concetto di “arte” non si può definire semplicemente come “ciò che viene prodotto dall’artista”. Dire che “arte” è ciò che viene prodotto dall’artista – senza aggiungere altro – è fornire una definizione priva di alcuna utilità. E’ un po’ come rispondere “qui” a chi ti chieda “dove siamo?”. Ne sapremmo quanto prima, insomma. E questo vale per le malattie, le costruzioni ecc.

    Tanto più che poi tu pretendi anche di definire l’artista sulla scorta del concetto di arte! E questo, anche se non lo dici palesemente, si può logicamente derivare dal fatto che quando io ti dissi che, secondo la tua teoria, i facchini dovrebbero essere tutti artisti tu mi rispondesti che non è così, perché il loro non è un “gesto artistico”. Che è come dire che bisogna prima stabilire che cosa è “arte” e “gesto artistico” per stabilire chi è artista e chi facchino. Però, quando ti chiedo che cosa è “arte/gesto artistico” tu mi dici che è il prodotto dell’artisa.

    Se il concetto di “artista” definisce quello di “arte”, quello di “arte” non può – a sua volta – definire quello di “artista”. Se X è causa (definiente) di Y, Y non può essere causa definiente di X, perché ne è l’effetto, il prodotto. Il prodotto non può produrre ciò che lo produce.

    Ripeto: i tuoi sono tutti “diallele”. Ho argomentato abbondantemente, Piero, se tu non capisci il significato di “diallele” sulla base dei miei esempi, il massimo che posso fare è consigliarti un manuale di logica. Pretendi che vada avanti all’infinito a ribadire le stesse cose?
    Non ho intenzione di farlo.

    Detto ciò, per quello che cerco – un interlocutore in grado ci confermare o infirmare la mia teoria (mettere in mostra le mie conoscenze e i miei studi nell’ambito dell’ontologia dell’arte non è il mio fine) – tu non puoi essermi d’aiuto in alcun modo.
    Le mie perplessità, che vi sono, sia chiaro, circa la teoria che sostengono non si trovano al superficiale livello su cui da tempo dibattiamo: su questi aspetti non ho certo dubbi. Pertanto non v’è più alcuna ragione di perdere ulteriore tempo a discutere tra noi.

    Un saluto

    PS: Se il tuo direttore espone l’opera di tuo cugino solo sulla base del fatto che sostieni di averla fatta tu, vuol dire che non capisce nulla di arte. Tutto qua.

  49. caro svelarte,
    non pretendo che tu vada avanti a ribadire sempre le stesse cose.
    speravo solo che finalmente la smettessi di guardare solo quello che c’è nella tua testa.
    continui a basare le tue frasi su concetti che io non ho MAI espresso.
    ad esempio non ho mai scritto che il concetto di malattia si definisce sulla scorta del concetto di medico. questa è una tua fantasia. e hai argomentato sulla base di questa tua fantasia.
    se non vuoi più parlare con me ti capisco.
    ma se continui ad essere chiuso nei tuoi ragionamenti senza capire cosa scrivono le persone, ti faccio tanti auguri.

    PS: ti assicuro che l’artisticità non è una modalità d’uso. ho capito bene (io) il tuo discorso su Duchamp ed è giusto. l’unica cosa che devi capire è che il processo è irreversibile. quello che prima era uno scolabottiglie ora è un opera d’arte e non potrà mai tornare scolabottiglie.

  50. per svelarte

    volevo farti notare che continui a non rispondere alla mia domanda, rifugiandoti in comode scappatoie.
    ammettiamo che il direttore, non capisca nulla di arte, e accetti il disegno di mio cugino e lo esponga nel suo museo.
    sarebbe un’opera d’arte? secondo il tuo ragionamento dovrebe esserlo. perchè i visitatori ne fruirebbero come tale.
    ti rendi conto del limite del tuo ragionamento?

  51. Svelarte Ti faccio notare che sei Tu quello che, nella presente interessantissima discussione, “”pensa”” in un circolo vizioso perche’ non riesci a fuori uscire dal “tuo” tranquillizzante “sistemino” logico (consideralo pure il tuo personale delizioso giardinetto) in cui pare tutte le cose siano a posto.
    Debbo altresi’, comunque, prendere atto che quanto da te interpretato come differenza (in nuce) da Platone riguardo la spinosa questione tra momento di creazione (pensiero – artista ) e momento di sua realizzazione ( esecuzione – artigiano) sia corretto (confesso in questa situazione di essere disturbato da sciocca polemica nei tuoi confronti).
    Ridadisco Tuttavia, che il concetto di Artigianato (financo nelle sue forme ritenute dai piu’ in modo dispregiativo se non snobistico) sia tipico di noi, dico Noi uomini scandalosamente cosi’ attuali.

    Tanti saluti Svelarte.

    P.s. : non sta bene, Svelarte, attribuire all’interlocutore incapacita’ di sorta nel non percepire i risultati delle proprie consolidate riflessioni. Mi riferisco al tuo dire di abbondono della discussione, verso Piero.
    Niente di personale.

  52. Ribadisco: l’arte è una modalità d’uso, l’artisticità di una qualunque cosa venga definita “opera d’arte” è funzione dell’uso che di quella cosa se ne fa.
    Uno scolabottibiglie non è opera d’arte quando si trova dal cantiniere e viene usato per scolare le bottiglie. La sua “qualità”, in quel caso, si valuterebbe – infatti – secondo parametri che nulla hanno a che fare col mondo dell’arte; parametri che, invece, non verrebbero utilizzati allorché tale oggetto venisse fruito in qualità di opera d’arte. Lo scolabottiglie diviene opera d’arte quando, collocato in un contesto artistico, se ne legittima e se ne suggerisce – culturalmente – un uso artistico.
    L’identità dell’oggetto – arte/nonarte – è assolutamente reversibile: nulla impedisce, né de iure né de facto, di utilizzare lo scolabottibiglie prima come scolabottiglie, poi come arte, poi di nuovo come scolabottiglie (funzionerebbe tranquillamente come scolabotiglie anche dopo aver ricevuto statuto artistico).
    Creare un’opera d’arte è la cosa più semplice del mondo, perché consiste nel creare un segno (o insieme di segni) polisemico; cosa molto facile per il principio di “arbitrarietà linguistica”. La cosa difficile è creare opere d’arte di qualità!

    Concludo ribadendo che, se esiste un termine – “arte” -, come per qualunque termine che occorre in un linguaggio, deve esservi un significato condiviso da tutto ciò a cui il termine si applica: sia esso oggetto materiale, gesto (performance), danza, film, poesia, ecc.ecc. Se tutto ciò è “arte” (“opera d’arte”) vi deve essere un minimo comune denominatore ontologico che giustifichi l’assegnazione di questa parolina a queste cose apparentemente molto diverse.
    1)Cercare questo minimo comune denominatore in qualche proprietà fisica è fatica vana: cosa hanno in comune – sul piando delle proprietà sensibili – una poesia, una performance, una scultura ecc.? Inoltre, se nulla cambia – dal punto di vista fisico – in un oggetto, come mai in un certo momento non è arte e in un altro momento è arte? (vedi ready-made).
    2) Cercare questo minimo comune denominatore in un qualche atto creativo è fatica vana: esiste forse un “atto creativo” identico per ogni “opera d’arte”? Inoltre, se un certo atto viene definito “atto creativo”, l’applicazione di tale atto dovrebbe – di necessità – creare sempre opere d’arte. Diversamente si dovrebbe spiegare perché in taluni casi crea opere d’arte e in altri casi no, senza cadere in circoli viziosi (vedi il gesto del “trasportare” un oggetto).

    L’uso concettuale polisemico mi pare essere l’unico principio ontologico definiente, giacché applicabile a ogni possibile opera d’arte.

    Dire che è sbagliato è legittimo. Fino ad ora, però, non ho letto nessuna alternativa valida.
    Le poche soluzioni proposte erano:
    1) parziali – ossia applicabili sono a un ristrettissimo numero di “opere d’arte” (e le altre? che facciamo, le cestiniamo?).
    2) non verificabili.
    3) applicabili anche a ciò che culturalmente non viene affatto considerato opera d’arte (per es. dire che opera d’arte è il prodotto di una applicazione nel campo della conoscenza e dell’espressione; quante cose soddisfano questa prerogativa ma non per questo assumo identità di “opera d’arte”?).
    4) circolari, dialleliche (non devo ribadire di cosa si tratti, spero).

    Attendo ancora una definizione di “arte” chiara, verificabile e che sia applicabile A TUTTE E SOLO le “opere d’arte”.
    Ripeto che, sostenere – eventualmente – l’inesistenza di una definizione di questo tipo, ossia di un minimo comune denominatore, significa, implicitamente, sostenere che il termine “arte” non ha alcun significato condiviso, è un termine vuoto e, dunque, andrebbe abolito dal nostro linguaggio.

    Le possibilità mi pare siano 3:
    1) sostenere che l’arte non esiste: tutte quelle “cose”, che APPARENTEMENTE nulla hanno in comune, anche EFFETTIVAMENTE nulla hanno in comune; e dunque non ha alcun senso definirle tutte “opere d’arte” presupponendo dunque che abbiano qualcosa in comune.
    2) sostenere che l’arte esiste e la teoria ontologica da me proposta è corretta.
    3) sostenere che l’arte esiste e la mia teoria ontologica è scorretta. Fornendo, tuttavia, un principio ontologico condiviso che definisca TUTTE E SOLO le opere d’arte (e che non soffra dei vizi di cui sopra: circolarità della definizione ecc.), tale che possa essere attribuito a tutte quelle “cose” che noi chiamiamo “opere d’arte”.

    Spero di ricevere qualche risposta…

  53. sapete cosa mi fa molto ridere di questa discussione piena di paroloni? che gli artisti tutte queste masturbazioni mentali non se le fanno… non vi sentite ridicoli nel voler trovare per forza una giustificazione per alcuni lavori, nient’altro che il prodotto di quattro scalzacani citazionisti e privi di argomenti?

  54. -Se tu mi dici che artista è colui che, mediante gesto artistico, produce arte; non puoi sostenere che arte è ciò che viene prodotto dal gesto artistico dell’artista. Non è una definizione questa; e non è una mia opinione che non lo sia, sono le basi della logica classica.-

    questo discorso di svelarte è parzialmente giusto ma ancora una volta non corretto e fuori luogo (dopo l’esempio non pertinente del cuoco/artista che delega al pescatore la pesca dei pesci, come se un artista si facesse esclusivamente le tele e i colori da solo o non usasse colori già in commercio, in cui voleva rilevare come il cuoco possa delegare ad altri il lavoro per il risultato finale dimenticando però che un cuoco non lascia mai la cucina e lavora a stretto contatto con i suoi assistenti, non fa telefonate e non torna subito), infatti se è artista colui che mediante gesto artistico produce arte si può sostenere tranquillamente che è arte ciò che viene prodotto dal gesto artistico dell’artista, si chiama doppia implicazione (se a==>b e b==>a allora a< ==>b) quindi non so che logica abbia studiato svelarte, forse una NON logica creata apposta da lui per egli stesso che si relativizza nel secondo teorema di svelarte (in ogni caso irrilevante per la storia e le regole della logica matematica); forse il caro svelarte nella sua frase carente di logica voleva semplicemente sostenere che se è artista colui che mediante gesto artistico produce arte NON SI PUO’SOSTENERE CHE E’ ARTE MAINSTREAM RICONOSCIUTA DAI MUSEI tutto ciò che viene prodotto dal gesto artistico dell’artista, il tutto senza scomodare teoremi incompresi di logica matematica. in ogni caso secondo me duchamp nella storia dell’arte rappresenta l’equivalente di un tumore per il corpo umano.

  55. Hm, se sostituiamo la parola “gesto” con la parola “Atto” cambierebbero le cose ?
    L’atto è increato; dunque stabiliremmo una differenza tra causa agente e cosa creata.
    A questo punto e di conseguenza cio’ che sostiene Svelarte avrebbe un fondamento serio, non trovi ?
    eviterei hm , in parole povere , di liquidare la faccenda solo perche’ Svelarte non è stato adeguatamente compreso.

    per quanto riguarda il signor Berchet faccio a lui notare che leggere i commenti di exibart non rientra nelle prescrizioni mediche e pertanto puo’ tranquillamente rivolgere altrove le sue “sopraffine attenzioni” ed evitare commenti gratuiti.

    SALUTI.

  56. @lorenzo marras
    scusa ma tra la parola gesto e la parola atto non vedo nessuna differenza, sono intercambiabili. increato? cioè pioverebbe dal cielo attraverso una nuvoletta? delle due è il gesto a non essere creato né creatore non l’atto, anche se mi sembrano perfettamente intercambiabili come sostantivi in questo ambito. l’errore di svelarte è a monte di queste definizioni, non ho liquidato nulla e l’ho compreso benissimo, ciò che sostiene non avrebbe senso in ogni caso perchè ha usato la logica impropriamente con una proposizione sbagliata (classica o matematica che sia) .

  57. svelarte,
    mi riferisco alla terza possibilità da te proposta:
    -sostenere che l’arte esiste e la mia teoria ontologica è scorretta. Fornendo, tuttavia, un principio ontologico condiviso che definisca TUTTE E SOLO le opere d’arte (e che non soffra dei vizi di cui sopra: circolarità della definizione ecc.), tale che possa essere attribuito a tutte quelle “cose” che noi chiamiamo “opere d’arte”.-

    Arte è tutto e solo ciò che arricchisce lo spirito umano.

  58. il problema dell’Atto ( della sua essenza intendo) raramente è stato posto perche’ con facilita’ il linguaggio (inteso nella sua potenza normativa) tende ad assimilarLo al risultato . Ho pensato a questa possibile sostituzione , perche’ colgo invece nella parola Gesto (oggetto del contendere) un aspetto manifestamente esteriore, come lo sono le parole d’ordine, le ingiunzioni a commettere che come destinazione hanno la pretesa di essere OPERA (fatto molto frequente quando pensiamo ad esempio alle avanguardie storiche). Ecco gesto mi ricorda anche gesta che in un personaggio letterario come Don Chisciotte (povero hidalgo con l’obbligo di mostrare che la sua natura è esattamente la stessa descritta nei libri di cavalleria che consuma con avidita’) si presenta come prova vivente della realta’ di quel testo e dunque opera.
    Ora, hm, se ho pensato l’atto distinto da gesto e l ho pensato increato è perche’ trovo che il medesimo non si consegni al suo “risultato” ma bensi’esclusivamente permanga nell’orizzonte conchiuso della manifestazione dell’essere.

    Dunque “atto” increato da una parte opera creata dall’altra : con tutti gli interrogativi che naturalmente stimola l’opera in quanto significante esposto a piu’ piani di lettura (tanto per capirci, alludo alla polisemicita’che la stessa porta; polisemicita’ menzionata tra l’altro da Svelarte).

    Naturalmente, HM, tutto ampiamente discutibile e mi auguro che lo sia, si tratta di una intepretazione personale ;

    p.s. quando scrivo atto increato non intendo dunque riferirmi a opera increata, sarei un pazzo.

  59. @hm e per altri

    La “doppia implicazione” non si applica al discorso che stiamo facendo in cui vi è un rapporto di causalità temporale; un rapporto in cui un il soggetto X – in quanto “artista” – deve necessariamente essere, temporalmente, presente – e dunque definito – prima di ciò che produce: l’opera d’arte Y. Y è l’effetto di X? Bene, allora X non può essere l’effetto di Y.
    Non è solo una questione di logica, è una questione di fisica, anche.
    Una doppia implicazione è, per es.:
    “Se un quadrilatero ha i lati opposti paralleli allora è un parallelogramma” la proposizione è vera, ma è vera anche la sua inversa “Se un quadrilatero è un parallelogramma allora ha i lati opposti paralleli”.
    Non vedo alcun rapporto di causa-effetto nella suddetta proposizione, rapporto che invece intercorre tra artista e arte.

    In logica, una definizione di questo tipo è una fallacia, e si chiama DIALLELE. Consiglio, prima di continuare a polemizzare su questo aspetto di informarsi sul DIALLELE.

    Ma non è solo questo il punto, al di là del carattere diallelico della definizione, essa è priva di utilità se posta in questo modo: “arte è ciò che viene prodotto dall’artista”. Io non chiedo “chi produce arte?”, ma “che cosa è arte?”. Rispondere “arte è ciò che viene prodotto dall’artista” non aggiunge pressoché nulla alle conoscenze di chi non sa cos’è arte.

    Un saluto

  60. @piero

    Un sacco di “cose” che non sono arte possono arricchire lo spirito umano: la religione, un bel panorama, ciò che – per consolarmi – mi ha detto mio fratello ieri, ecc.ecc. Tutto può, potenzialmente, arricchire lo spirito umano; ma non per questo assume identità di opera d’arte.

    Non ci siamo.

    Un saluto

  61. @Lorenzo Marras e per tutti

    cito: “Dunque “atto” increato da una parte opera creata dall’altra : con tutti gli interrogativi che naturalmente stimola l’opera in quanto significante esposto a piu’ piani di lettura”

    Quello che mi interessa, qui, è l’idea di “arte” come “significante esposto a più piani di lettura”. Idea che implica una concezione semantica dell’arte: arte come linguaggio. Cosa che io ritengo, sul piano ontologico, corretta.
    Se “arte” è linguaggio, ossia “testo” inteso come insieme sintattico di segni dotati di concetto; allora, mi pare evidente che il principio in grado di definirne lo statuto ontologico vada individuato su un piano semantico.
    Ora, il punto è che, tutto può essere “segno” e dunque “testo” – verità che, tra l’altro, si confà alla multiformità dell’opera d’arte. Ma è altrettanto vero che non tutti i “testi” (=insieme sintattico di segni dotati di concetto) vengono considerati opere d’arte.
    Bisognerà, allora, cominciare a pensare che, forse, esistono DIVERSE MODALITà D’USO (CONCETTUALE) DEI TESTI; modalità che fungono da fondamento ontologico dell’identità di tali testi: “opera d’arte” / “non opera d’arte”.

    L’USO POLISEMICO, che non è una proprietà intrinseca al testo – ogni testo può essere usato tanto monosemicamente, tanto polisemicamente – è, forse, l’unica “soluzione” per distinguere un testo (opera d’arte) artistico da uno non-artistico.
    In alcuni contesti – i contesti artistici (contesto è “tutto ciò che sta con il testo ma non è testo”, di qualunque natura esso sia) – è culturalmente LEGITTIMATO un uso POLISEMICO dei testi. Legittimità che non si da in contesto non artistici: all’interno di un ministero, chi interpretasse una circolare ministeriale secondo polisemia (secondo personali paradigmi) e non impegnandosi a recuperare il significato che il Ministro ha voluto dare ai segni contenuti nella circolare (=monosemia), potrebbe essere benissimo licenziato. Questo perché il ministero non è un contesto artistico, la polisemia non è legittimata, e i testi che in esso occorrono non possono assumere identità di “opere d’arte”.
    L’esempio dell’uso monosemico è applicabile a tutti i contesti non-artistici. Ovviamente IMPEGNARSI a utilizzare in modo monosemico un testo non significa automaticamente riuscirci. Ma qua se ne fa una questione di LEGITTIMITà: nei contesti artistici l’uso polisemico è consentito, in quelli non artistici no. Nei contesti non-artistici non siamo LIBERI di intepretare a nostro piacimento ciò che leggiamo o ci viene detto. Anche perché la comunicazione diventerebbe inutile! Questa libertà, invece, ci viene concessa nei contesti artistici.

    E’ la POLISEMIA, mi pare, l’unico possibile fattore ontologicamente definiente l’artisticità delle opere d’arte. Ma la polisemia è un USO; e dunque l’artisticità è modalità d’uso dei testi. Uso che pertiene al fruitore, non all’artista.
    Un bravo artista, comprende questo aspetto, e realizza le proprie opere favorendo, tramite esse, l’uso polisemico delle stesse.

    Concludo citando una frase di De Dominicis, frase che forse contiene in se la comprensione di tutto ciò che vado dicendo da tempo: “E’ il pubblico che si espone all’arte, e non viceversa”.

    Un saluto

  62. -La “doppia implicazione” non si applica al discorso che stiamo facendo in cui vi è un rapporto di causalità temporale; un rapporto in cui un il soggetto X – in quanto “artista” – deve necessariamente essere, temporalmente, presente – e dunque definito – prima di ciò che produce: l’opera d’arte Y. Y è l’effetto di X? Bene, allora X non può essere l’effetto di Y.
    Non è solo una questione di logica, è una questione di fisica, anche.-

    scusa ma non sai quello che stai scrivendo, te lo assicuro. ti stai arrampicando sugli specchi e basta. è anche ridicolo ora tutto ciò. un conto sono le interpretazioni e supposizioni un altro la matematica, la geometria e la fisica. dire che x->y e y->x non vuol dire che x=y e y=x quindi l’essere presente prima o durante non ha alcuna importanza. se non vedi rapporto di causa effetto nel quadrilatero che ha i lati opposti paralleli in quanto parallelogramma allora forse devi andare a ripassarti il significato di causa effetto, inoltre da quello che hai scritto se ipotesi X(artista) —> implica Y(opera d’arte) è assolutamente certo che Y(opera d’arte) —> implica X (artista), quindi hai doppio torto sorry . a meno che tu non voglia considerare arte una demo generativa di un programma che determina algoritmi random atti a riprodurre paesaggi in stile van gogh, ma non mi pare tu abbia fatto un esempio del genere . inoltre il diallele si potrebbe avere solo nell’esempio contrario con X opera d’arte e Y artista (dire che X opera d’arte sia generata da Y artista non presuppone il fatto che Y artista sia generato da X opera d’arte, l’artista può esistere indipendentemente dal fatto che esista l’opera d’arte). quindi hai 3 volte torto mi spiace, ritenta e non sarai più fortunato .

  63. allora rettifico:
    arte è tutto e solo ciò che produce l’uomo per arricchire lo spirito umano.

    se tuo fratello ti arricchisce lo spirito con dolci parole la sua è arte consolatoria.

    il tramonto non è prodotto dall’uomo.

    sulla religione ho forti dubbi che sia stata creata per arricchire lo spirito umano. se così fosse puoi star certo che è un’arte.

  64. @piero

    Ovviamente, quello che trovo interessante è il significato istituzionale, culturale di “arte”. Non certo quello idiosincratico, tuo o di altri. La tua non è una teoria descrittiva, bensì normativa, ideologica: dici ciò che VORRESTI fosse arte, non ciò che E’.
    Il fantomatico carattere – tra l’altro soggettivo in sé (qualcuno può trovare arricchimento qualcun altro no) – di “arricchimento dello spirito” di cui parli, non solo, non appartiene a tutte le opere d’arte – chiunque fruisca di una qualunque opera d’arte ne fruirebbe per arricchire lo spirito?, dobbiamo fare un sondaggio per mostrare che non è così? – ma, anche, appartiene a “cose” che non vengono considerate opere d’arte.
    Ripeto, se poi per te le parole di mio fratello sono “opera d’arte” è un “problema tuo” (=è una tua personale concezione di arte), ma ti assicuro che esse non sono mai entrare in un museo, e non credo ci entreranno mai PER IL SOLO FATTO DI ESSERE ARRICCHIMENTO DELLO SPIRITO.

    @hm

    Vabbè, tu non scrivi una cosa sensata ed esatta che sia una, è inutile porsi in dialogo con te.

  65. @svelarte
    sei tu a parlare di logica senza sapere cosa sia né averla mai studiata e interpreti in modo scorretto enunciati chiari come il sole, il disinteresse è reciproco. noto però che ora il tuo concetto di arte si è focalizzato in modo netto senza inutili speculazioni filosofiche, sei infatti interessato esclusivamente al significato ISTITUZIONALE d’arte (il che lascia intendere che non reputi arte tutto ciò che non rientra in un’istituzione) quindi ti avevo già risposto in modo esaustivo 4 commenti fa, questa è solo una ripetizione inutile (ovviamente dove non riesci a replicare preferisci il silenzio, tipico):

    -forse il caro svelarte nella sua frase carente di logica voleva semplicemente sostenere che se è artista colui che mediante gesto artistico produce arte NON SI PUO’SOSTENERE CHE E’ ARTE MAINSTREAM RICONOSCIUTA DAI MUSEI tutto ciò che viene prodotto dal gesto artistico dell’artista, il tutto senza scomodare teoremi incompresi di logica matematica.-

  66. caro svelarte,
    credo che piano piano iniziamo a capirci, nonostante i fraintendimenti che possono verificarsi via chat. l’ideale sarebbe parlare di persona.
    Comunque mi vedo costretto a precisare un punto determinante:
    hai chiesto di dare una definizione di “arte”.
    l’ho fornita. e la ribadisco.
    ciò che scrivo non è , come dici tu, ciò che VORREI fosse arte, ma ciò che E’ arte.
    ti invito ancora una volta a non interpretare le frasi che scrivo.
    hai scritto, per contrastare la mia definizione, che qualcuno può trovare arricchimento dello spirito e qualcun altro no. e sono d’accordo. ma io non ho scritto assolutamente che arte è cio che arricchisce lo spirito. se avessi scritto così avresti ragione a contestarmi.
    io ho scritto che arte è ciò che l’uomo produce PER arricchire lo spirito umano. poi che lo arricchisca o meno è un’altro discorso.
    se al risultato di un sondaggio appurassimo che
    non tutti ne fruirebbero per arricchire lo spirito (come giustamente scrivi tu) cio non inficierebbe in alcun modo la mia definizione.
    hai ragione pure quando scrivi che questa (in occasione di tuo fratello) è una mia personale concezione di arte. ed hai ragione quando dici che le parole di tuo fratello non entreranno mai in un museo (come farebbero? le parole non sono mica oggetti?). ciò non vuol dire che non siano arte. non ho mica detto che l’arte è ciò che trova posto nei musei?

    la mia è una teoria ideologica.normativa. ma è anche descrittiva. e resta valida fino a quando qualcuno non provi il contrario. o non dimostri in qualche modo che sia fallace.

    tu continui a tirare in ballo i musei. sembra quasi che tu abbia già chiara in mente la tua teoria descrittiva di arte: “ciò che trova spazio nei musei e nelle gallerie. ciò che non entra nei musei non è arte”.

    in realtà non è per niente così. ti ripeto che musei e gallerie sono pieni di oggetti che con l’arte non hanno nulla in comune.
    e c’è tanta arte fuori dai musei e rifiutata dalle gallerie.

    ti invito a contestare la mia definizione con argomentazioni valide.

    per hm,
    per quanto riguarda la logica svelarte ha ragione. ti ha risposto in maniera esauriente e chiara. come avevi ragione tu sull’esempio del cuoco. per me siete uno a uno. 🙂

  67. @piero

    Caro Piero, anche dopo questa tua correzione al mio fraintendimento non mi pare che le cose cambino. Voglio dire che non credo affatto che TUTTE E SOLO le opere d’arte siano state create per arricchire lo spirito. Anche se, bisognerebbe capire cosa tu intenda esattamente per “arricchire lo spirito”.

    Le parole possono entrare in un museo, sotto forma di performance, sotto forma di scrittura ecc. Le Instruction Pieces di Yoko Ono sono proprio “parole”, nel senso che il supporto che le esprime è del tutto irrilevante: è un’opera, per così dire, immateriale.

    Il mio riferirmi al museo era un modo per semplificare il concetto di “istituzionalità”. Possiamo fare riferimento alla storia dell’arte, se vuoi. Insomma a tutto ciò che viene, in vari modi, assunto a patrimonio culturale artistico.
    Io osservo quello che, culturalmente, tramite i vari contesti artistici istituzionali (il museo è solo un possibile esempio), viene identificato come “opera d’arte”, e cerco di capire cosa, tutte queste opere d’arte, abbiano in comune tra loro.
    Questo è un approccio DESCRITTIVO, appunto: un punto di vista che osserva la realtà e cerca di descriverla senza modificarla.
    Tu mi dici che la tua teoria è assieme normativa (ideologica) e descrittiva; non può essere entrambe le cose. Se tu mi dici che il principio ontologico definiente artisticità è il tentativo di “arricchire lo spirito” o esso è il principio di tutto ciò che è stato, culturalmente, definito “arte” – e allora assumeresti un punto di vista descrittivo – oppure non è così – e allora il tuo sarebbe un punto di vista normativo.
    Io propendo per la seconda ipotesi. Non credo affatto che ogni opera sia stata creata a tale fine; non solo, non credo che tutto ciò che è stato creato a tale scopo sia stato assunto dalla nostra cultura come opera d’arte.

    Ribadisco che l’unico principio in grado di “unire” ontologicamente tutte e solo le opere d’arte che noi, come soggetto collettivo, conosciamo come opere d’arte, è L’USO POLISEMICO. Tanto più che, assumendo tale principio, tutto può essere opera d’arte (e questo mi pare proprio l’orientamento attuale) perché tutto, in linea di principio, può essere usato concettualmente secondo polisemia.

    Un saluto

    PS: tra l’altro, il tuo principio è indimostrabile. Voglio dire che non è oggettivo. Chiunque producendo qualunque cosa potrebbe affermare: “l’ho prodotta cercando di arricchire lo spirito”. Per questo diventerebbe artista? Mi pare un po’ assurdo…

  68. -per hm,
    per quanto riguarda la logica svelarte ha ragione. ti ha risposto in maniera esauriente e chiara. come avevi ragione tu sull’esempio del cuoco. per me siete uno a uno.-

    non ha assolutamente ragione, e la spiegazione è riportata sotto, o criticate punto per punto spiegando dove ho torto (impossibile visto che ho ragione) o è anche inutile intervenire. io ho criticato punto per punto e ho spiegato il torto di svelarte, voi non siete capaci, fine. le variabili non si possono usare a caso, se X è artista e Y è opera d’arte la doppia implicazione sussiste alla grande, infatti senza opera d’arte non esisterebbe nemmeno l’artista, farebbe un altro mestiere. è l’opera d’arte che definisce l’artista quindi la doppia implicazione vale al 100%. oltre a questo svelarte usa una terminologia sbagliata, non esiste scrivere ‘se Y è l’effetto di X’ non è corretto scrivere in questo modo, si nomina sempre la prima variabile ‘se X implica Y’ etc
    anzi mi rimangio anche quello che avevo scritto in precedenza dove avevo dato parzialmente ragione a svelarte adottando la sua terminologia errata —-> – inoltre il diallele si potrebbe avere solo nell’esempio contrario con X opera d’arte e Y artista (dire che X opera d’arte sia generata da Y artista non presuppone il fatto che Y artista sia generato da X opera d’arte, l’artista può esistere indipendentemente dal fatto che esista l’opera d’arte).-
    anche in questo caso con terminologia errata vale la doppia implicazione, visto che è l’opera d’arte che definisce l’artista e senza di essa non potrebbe esistere in quanto tale .

  69. Introduzione alla logica (elementare)

    1. Le fallacie

    1.1 Definizione circolare (“circulus in definiendo” o “DIALLELON”)

    Si ha una fallacia di definizione circolare (diallele), quando per definire un termine, si usa una locuzione nella quale ricorre proprio il termine da definire.

    esempio: un uomo è un animale che ha genitori umani.

    Questa fallacia viene affrontata confrontando il termine definito con l’ambito di definizione e mostrando che almeno uno dei termini definienti è il termine stesso da definire.

    La locuzione: “arte è ciò che viene prodotto dall’artista che è colui che produce arte” – semplificando e mantendendo intatto il valore di verità del’enunciato avremmo: “arte è ciò che viene prodotto da chi produce arte” – è una definizione circolare o diallele. Ricordiamo perché: si ha una falllacia di definizione circolare quando, per definire un termine (arte) si usa una locuzione (arte è ciò che viene prodotto da chi produce arte) nella quale ricorre proprio il termine da definire (il termine “arte” alla fine della proposizione).

    La doppia implicazione non c’entra nulla. Un esempio di doppia implicazione è:
    “Se un quadrilatero ha i lati opposti paralleli allora è un parallelogramma” la proposizione è vera, ma è vera anche la sua inversa “Se un quadrilatero è un parallelogramma allora ha i lati opposti paralleli”.
    1) La forma logica della doppia implicazione non ha nulla a che vedere con quella del diallele.
    Nella doppia implicazione abbiamo un bi-condizionale. Per spiegarla in modo semplice un condizionale è una proposirzione della forma se…allora; un bicondizionale è un condizionale che vale anche invertendo i termini presenti nella proposizione.
    Nell’enunciato “arte è ciò che viene prodotto da colui che produce arte” non v’è alcun condizionale, alcun se…allora.
    2) Nell’esempio precedente si dà una definizione di parallelogramma come “quadrilatero con i lati opposti paralleli”. E’ ovvio che, come in tutte le definizioni, il termine da definire e la sua definizione si possono invertire: così come si può affermare che “un parallelogramma è un quadrilatero con tutti i lati paralleli”, si può affermare che “un quadrilatero con tutti i lati paralleli è un parallelogramma”.
    Ma, come si può notare, nella locuzione “Se un quadrilatero ha i lati opposti paralleli allora è un parallelogramma” o l’equivalente “Se un quadrilatero è un parallelogramma allora ha i lati opposti paralleli, CONFRONTANDO IL TERMINE DEFINITO CON L’AMBITO DI DEFINIZIONE, SI NOTERà CHE NESSUNO DEI TERMINI DEFINIENTI è IL TERMINE STESSO DA DEFINIRE, carattere, questo, del diallele; e carattere, questo, della definizione “arte è ciò che viene prodotto da colui che produce arte”.

    Per concludere. La definizione circolare è una fallaccia in quanto ciò che si vuole dimostrare si da per assunto, e chi non conoscesse ciò che si vuole dimostrare continuerebbe a non conoscerlo. In nessun dizionario, infatti, si avrà mai una CIRCOLARITà DEFINITORIA del tipo: “arte” = ciò che viene prodotto dall’artista; “artista” = ciò che produce arte. Non servono tante lezioni di logica per capire che, in questo caso, chi non sapesso cos’è arte né artista continuerebbe a non saperlo.
    Diversamente dall’esempio di doppia implicazione in cui si da per assunto ciò che è un quadrilatero e si spiega semplicemente quali caratteristiche deve avere tale quadrilatero per poter essere definito “parallelogramma”; cosa che si può verificare geometricamente. Dopo aver letto in un dizionario “un parallelogramma è un quadrilatero con tutti i lati paralleli” io saprei benissimo come distinguere un parallelogramma.

  70. guarda svelarte mi fermo alle citazioni di wikipedia giusto perchè non ho più voglia di risponderti, se le tue definizioni sono copincollate dal manuale di logica classica delle superiori e le tue conoscenze di logica si fermano lì non so cosa farci te lo assicuro:

    -per gli scettici proprio il sillogismo sarebbe un diallele perché colui che formula la premessa maggiore (per es. “tutti gli uomini sono mortali”) ha concepito la conclusione (“Socrate è mortale”) ancor prima della premessa e contenuta in essa.
    Un esempio di circolo vizioso è nel procedimento logico di cui si serve Cartesio per dimostrare tramite il metodo l’esistenza di Dio la quale a sua volta dimostra l’assoluta infallibilità del metodo.
    « Il pensiero che dimostra Dio e Dio che dimostra il pensiero » .
    Secondo altri interpreti questo circolo cartesiano non è vizioso ma positivo perché mostra la circolarità del pensiero che si serve delle conseguenze per giustificare, confermare, gli stessi punti di partenza. Quindi B è veramente giustificato da A e nello stesso tempo B giustifica la verità di A, delle premesse. Pensare che questo circolo sia vizioso è credere solo ad una logica aristotelica; il pensiero, come sosterrà Hegel, è armonico, dinamico al contrario di quello aristotelico, consequenziale.- (wikipedia)

    non so se ci hai fatto caso ma anche nel tuo esempio prediletto ripetuto in loop usi una locuzione nel quale ricorre proprio il termine da definire —> “Se un quadrilatero ha i lati opposti paralleli allora è un parallelogramma” o l’equivalente “Se un quadrilatero è un parallelogramma allora ha i lati opposti paralleli” come si nota il parallelismo ricorre sia nell’ipotesi che nella tesi, infatti non si può definire PARALLELogramma un poligono che non abbia i lati opposti PARALLELI, così come non si può definire artista colui che non produce arte, mi spiace svelarte ma la tua conclusione è altamente fallace e insipiente .

    inoltre non penso abbia molto senso continuare a dialogare con un individuo il cui concetto di arte coincida esclusivamente con quanto viene riconosciuto dalle istituzioni, sorry .

    in conclusione questa chicca solo per te :

    Artista
    Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
    Con artista si indica generalmente una persona la cui attività si esprime nel campo dell’arte.

    AHAHAHAAHAHAHAHAHAHAHHAHAHAHA ciao svelarte

  71. caro svelarte,
    spero di essere chiaro.
    cercherò di fare un riassunto del mio pensiero per renderti partecipe del concetto che voglio esprimere. userò parole diverse per tentare di spiegarti e giustificare ciò che ho gia scritto in precedenza.
    parto con un esempio:
    prendiamo un dipinto ad olio su tela.
    dobbiamo giudicare se è arte o meno. ok?
    le possibilità sono solo due. o è arte o non lo è. le possibilità non sono tre. sono due.
    se non è arte è artigianato.
    la differenza sta nell’intenzione di chi realizza il manufatto.
    se tizio si sveglia una mattina e si mette all’opera con l’intenzione di dipingere per realizzare un quadro pensando che poi dovrà cercare di venderlo, se utilizzerà i suoi studi di marketing per realizzare un prodotto alla moda con tutte le caratteristiche più in voga, se insomma avrà un’idea ben precisa dell’utilizzo a cui la sua opera è destinata, allora NON produce arte, ma artigianato.
    se invece tizio si sveglia una mattina e si mette all’opera lavorando seguendo i suoi studi personali, filosofici, scientifici, lasciandosi trasportare dall’ispirazione, fregandosene delle mode, non tenendo assolutamente conto della destinazione commerciale, ne di altra destinazione se non quella culturale,spirituale, allora la sua è un’opera d’arte.

    l’artista è una figura professionale intellettuale. Così come per diventare medico, architetto, professore, avvocato, c’è bisogno di studiare molto, impegnarsi, dedicarsi per anni all’attività, allo stesso modo per diventare artisti bisogna studiare molto.
    una persona che siede in cattedra con l’unico scopo di guadagnare lo stipendio (e ce ne sono molti) non è un professore anche se viene chiamato così.
    il vero professore è colui che ha a cuore la cultura degli studenti. E’ colui che si impegna a fondo cercando il metodo più efficace per ciascun alunno. E’ colui che studia continuamente per tenersi aggiornato, che scrive libri per diffondere la sua conoscenza, non per guadagnare soldi.
    l’insegnamento (così come l’arte) non è una modalità d’uso.
    la definizione di professore non è: colui che siede in cattedra a scuola.
    così come la definizione di arte non può essere: ciò che trova posto nei musei.

  72. per hm,
    il tuo ragionamento non fa una grinza.
    ma non soddisfa l’esigenza di svelarte. lui continua a non avere una definizione di arte che lo soddisfi.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui