09 aprile 2011

L’Occhio di Miart

 
Un’attenta riflessione su Miart 2011, tra collezionismo e mercato dell’arte. Giacinto Di Pietrantonio spiega come questa fiera rappresenti un modo per valorizzare l’Arte italiana…

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Miart è giunta ormai alla sua 16esima edizione e, da tre anni,  Lei è curatore del settore contemporaneo. Quali pensa siano stati i punti a favore che questa nuova iniziativa ha maturato nel corso degli anni?

Inizialmente la fiera prevedeva una largo numero di gallerie all’appello ma nel corso del tempo, e grazie ad un’operazione di riduzione, si è giunti a sceglierne cento. Questo ha permesso di muoversi verso un livello di eccellenza e di ricevere numerosi consensi da parte del pubblico visitatore.

Quali sono i criteri che ha adottato, insieme al comitato scientifico, per selezionare le gallerie d’arte contemporanea presenti  in fiera?

Abbiamo scelto tra le migliori gallerie presenti in ambito nazionale, attraverso precisi parametri di qualità e  l’ausilio di prezzi al di fuori di ogni standard . Prezzi più bassi rispetto a  quelli di altre fiere, soprattutto per le gallerie giovani che hanno aperto da uno o due anni.

Nell’edizione di quest’anno, sembra di percepire uno spiccato “senso di patriottismo”, volto a promuovere maggiormente il Made In Italy. Sentimento motivato dalle attuali tendenze celebrative in merito ai 150°anni dell’Unità d’Italia o reale riconoscimento?

Quando ci siamo apprestati alla realizzazione di Miart 2011, l’unico nostro fine era  quello di creare una fiera di eccellenza italiana e non di affiancare le celebrazioni  dei 150° anni dell’ Unità d’Italia. Era inutile presentare una fiera come tante se ne vedono, ovvero colma di un elevato numero di gallerie; il nostro obiettivo era dunque quello di selezionarne solo alcune ma di qualità. La scelta delle migliori gallerie italiane è  divenuto così il nostro punto di forza, in un periodo in cui vi è molta  attenzione nei confronti dell’Italia, della tradizione e della sua arte.

Altro orientamento di Miart 2011 è quello di sostenere un diverso tipo di collezionismo, definito da Donatella Volontè ( curatore del settore arte moderna) “non speculativo”.  In che modo, secondo Lei, questa nuova concezione può variare i rapporti che intercorrono tra domanda e offerta?

Beh, un collezionismo non speculativo è un collezionismo che non compra opere per rivenderle ma, al contrario, le tiene e le sostiene maggiormente con il fine di valorizzarle. Noi puntiamo a questo.

La “Qualità più che la quantità”, come Michele Perini (Presidente di fiera Milano) tende a precisare, risulta essere prerogativa base nella scelta degli espositori, ma soprattutto degli artisti. Qual è la Sua idea di “Qualità”?

Si certo, lui si riferisce proprio alla riduzione delle gallerie messe in atto. La mia idea di qualità si esprime nelle scelte curatoriali che attuo; trovo che la qualità non sia un concetto da potere insegnare,  non esiste una definizione secondo me. In molti sostengono che io abbia “un occhio” particolare nel riconoscere la validità di un opera d’arte ma, per quanto mi riguarda,  il tutto non può prescindere da aspetti emotivi e formali. In merito a questo mi viene in mente il caso dell’artista Antonio Presicce (Porto Cesareo, 1976). Quando vidi per la prima volta il suo lavoro non mi entusiasmò; a distanza di anni ebbi modo di rivedere altri suoi lavori in occasione di una mostra organizzata dalla giovane galleria  Peep-hole e, mi piacquero talmente tanto, che decisi di inserire l’artista in una collettiva al Museo Pac. A quell’episodio, susseguì la  sua partecipazione, e successiva vincita, all’edizione 2011 del Premio Talenti Emergenti promosso dal CSSS. Quella fu conferma del fatto che non mi sbagliavo circa il suo lavoro.

Milano come sede centrale del business artistico. Luogo con il più alto numero di gallerie private e ormai residenza fissa di artisti nazionali ed internazionali: questi dati, secondo Lei, bastano a definirla, secondo alcuni,  come “polo centrale per l’arte contemporanea prima in Europa” o pensa siano essenziali altri presupposti?

Aggiungo alla lista anche diverse Case d’asta e una percentuale rilevante: il 70% del mercato dell’arte italiana passa proprio da Milano. Questa città ha tutte le caratteristiche per diventare prima in Europa, in materia di arte contemporanea ma, il fatto che ci sia già qualcuno convinto di questo primato, mi sembra assurdo. Ha buone gallerie, molti artisti,  musei, un fiorente mercato dell’arte, un’editoria artistica rilevante, l’Accademia di Brera e una posizione geografica strategica. Tutti questi elementi le hanno permesso di fare dei grossi passi in avanti e, nonostante la crisi economica italiana, è divenuta internazionale con il design e la moda. Ovviamente questo può concretizzarsi  anche con l’arte ma, l’unico elemento in grado di rallentare questo processo, potrebbe essere proprio la mancanza di un sistema, di giuste strategie in grado di creare un mercato internazionale.


Crede che una città come Milano miri realmente alla sperimentazione, o sostiene che volga maggiormente il suo sguardo verso esperienze artistiche già ampiamente consolidate nel tempo?

Penso che la città di Milano miri molto alla sperimentazione e questo lo dimostra l’ampia quantità di giovani gallerie profit e non profit. Tuttavia, mi stupisco come questa città non abbia ancora un Museo d’arte Contemporanea, cosa che avrebbe già dovuto avere da tempo e che spero possa vantare a breve, dato che i lavori risultano essere all’attivo.

“Il mercato si sviluppa laddove c’è maggiore sperimentazione, ovvero dove maggiormente si investe sul futuro”. Crede che nell’attuale periodo storico, sempre più restio ad incentivare i giovani e la cultura, possa ancora essere attendibile una tale affermazione?

Beh, questa non è un’affermazione di verità ma un assunto del tutto auspicabile. Il futuro si costruisce sperimentando e questo compito è dato alle gallerie giovani, le quali si preoccupano di portare avanti un percorso volto a puntare proprio sul futuro. Credo che questa affermazione sia attendibile e anche attuabile.

a cura di martina colajanni

6 Commenti

  1. Le cronache di Miart narrano di corridoi vuoti in questi giorni di estate inattesa…

    A mio parere si può migliorare evitando il trend di questo periodo storico: i prodotti finanziari (e io credo anche molto mercato dell’arte) hanno una valore stimato 10-20 volte superiore a quello reale. Questi giochini hanno visto il loro esempio nel caso Parmalat (finanza creativa che gonfiava il valore delle azioni del gruppo).

    Perchè un collezionista dovrebbe comprare oggi un’opera d’arte?

    Per arredare casa, per speculare, per piacere personale….ma non esistono scale valoriali. Resistono solo valori realmente consolidati che però non arrivano mai nemmeno ad Arte fiera, figuriamoci a Miart. Se non si creano scale critiche e valoriali serie ed incidenti per supportare il mercato, tanto vale andare al salone del mobile; l’ikea spesso è più sincera, mentre la sovrapproduzione di artisti fa perdere valore ad ogni singolo artista ad ogni singola opera….

    E anche seguire semplicemente il piacere personale non serve più: perchè devo continuare a spendere 5000-10.000-20.000 Euro come nel 2003 per opere che poi non hanno quel valore e che non si distinguono dalla produzione omologata per darmi soddisfazione….? tanto vale che se un ‘opera mi piace la faccio rifare io da qualche studente di accademia e da qualche artigiano, spendendo forse 1/3. Tanto quello che pago 3/3 non ha quel valore….quindi? Perchè devo possedere l’opera originale se questa non ha valore?

    Se il sistema dell’arte non inizia una riflessione radicale verrà fagocitato da una realtà molto più interessante ed incidente…i rituali del 900 e dell’800 vanno messi in discussione ed è l’arte contemporanea che lo deve fare e non certo il salone del mobile; anzi il salone dovrà “subire” l’arte contemporanea…esattamente come negli anni 90 molti settori hanno “subito” e si sono rivitalizzati per via dell’arte contemporanea (design, architettura, pubblicità, ecc ecc).

  2. Un Miart imbarazzante… il peggiore della storia. Certo, senza le solite gallerie di basso livello come Depart e Bonelli (anche se sempre resistono le varie Poggiali e Forconi e simili)… ma le blasonate del sistema artistico italiano non sono state in grado di fare di meglio. Giacinto di Pietrantonio: voto 3 … una fiera senza energia, senza interesse e senza voglia di tornare. Speriamo a mai piú!

  3. Luca Rossi non fa bene i conti! delle 3/3 del prezzo di un opera: 1/3 va all’ente fiera, 1/3 alla galleria e 1/3 all’artista. Se poi uno fa i conti con lo stato che pretende circa il 50%, all’artista rimane 1/6 del prezzo esposto, senza contare l’eventuale sconto fatto all’acquirente.

  4. il problema grande è che non esiste un pubblico (leggi opinione pubblica) realmente interessato ed appassionato. C’è un vuoto di opportunità, uno scollamento tra arte contemporanea e pubblico, tra A. C. e il Presente (in italia ma non solo). L’arte contemporanea ha paura di questo confronto e finisce che il pubblico sia formato dai soli addetti ai lavori, ecco un ottimo esempio:

    http://4.bp.blogspot.com/-nDvZsGl3ISs/TZ7NZluh6jI/AAAAAAAAEi8/Jq27bPZJ5DM/s1600/Francesco%2BArena_3.jpg

    Dopo anni di reiterazione di questa situazione quasi non c’è interesse (da questo punto di vista l’italia è una piccola Cina), mentre non ci si rende conto delle potenzialità e delle ricadute positive che potrebbe avere ricomporre questo scollamento e riempire questo vuoto. E non si tratta di capire le mostrine di arti visive.

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