05 settembre 2001

La fotografia rappresenta la morte, la pittura la vita

 

di Maurizio Chelucci

La fotografia rappresenta la morte, la pittura la vita. E' quanto afferma l'On. Sgarbi in un recente editoriale su un quotidiano nazionale...ma si puo' essere daccordo?

di

Da Il Giornale del 3 settembre 2001, dalla prima pagina
” La fotografia rappresenta la morte, la pittura la vita”
Riflettevo oggi, visitando la mostra Un paese incantato” curata in Palazzo Tè a Mantova da Anna Ottani Cavina, alla differenza fra pittura e fotografia. Di quell’incanto oggi resta ben poco. Ed è con infinita malinconia che noi vediamo quei paesaggi silenziosi che i grandi pittori stranieri videro con infinito stupore. Thomas Jones scrisse che tutti i luoghi dipinti gli erano già apparsi in sogno, ma quando vide da vero l’Italia gli sembrò una “magic land”.Corot
Quella magia c’è in tutti gli artisti francesi, tedeschi, olandesi, norvegesi che trovarono in Italia ciò che altrove non c’era. E che oggi, purtroppo, anche in Italia non c’è più. Ma, mentre una fotografia di un luogo perduto ci offre, inevitabilmente, l’immagine ferma di qualcosa che non c’è più’, e quindi rappresenta la morte, la pittura resta eternamente presente. Ci restituisce, comunque, la vita. Un paesaggio, un borgo, un sito archeologico, oggi aggrediti da orrori edilizi o da cattivi restauri, in pittura continuano ad essere quello che sono stati. Franco Fontana E anche se una veduta dia dissolta e una città sconvolta o devastata, la sua memoria c’è sempre in quell’immagine dipinta. Che è, anche se non è più. E’, non: è stata. Questa è la forza della pittura nella quale non si dissolve l’incanto dell’Italia perduta. “
Vittorio Sgarbi


Facile a mio avviso dissentire, non ritrovare in queste poche righe una sorta di rifiuto per la valenza artistica che la fotografia ha e continuerà ad avere come forma d’espressione. Bagetti
Si potrebbe essere daccordo, ma solo in parte, se venisse intesa come rappresentazione della morte quella fotografia documentaristica che inevitabilmente subisce nel tempo obsolescenza e finisce realmente nel rappresentare ciò’ che è stato, ma anche in questo caso ho i miei dubbi.
Un ritratto è, e rimane, un’opera d’arte (quando lo è) sia in pittura che in fotografia anche se il soggetto non è più fra noi, non vedo sinceramente distinzione con un paesaggio.
Mi riesce difficile pensare a paesaggi di Fontana o Giacomelli (tanto per citare due estremi) o alle foto di Basilico e Ghirri e vedere nelle loro opere tracce di “morte” e se anche fosse sarebbe la stessa morte che ritroveremmo in un dipinto, di qualcosa che non è più.
Da sempre è il ricordo che mantiene in vita il passato, e se volessimo accettare la tesi della fotografia come rappresentazione della morte dovremmo rivisitare tutta la nostra storia fatta d’immagini che rappresentano, a modo loro, la vita.Ghirri
Spero nel mio piccolo, vista l’autorevolezza di Sgarbi, che tutto dipenda da una mia errata interpretazione, ma resta forte in me l’impressione che non sia solo un inno alla pittura ma bensì l’ennesima stilettata alla fotografia, che proprio in questi ultimi decenni sta raggiungendo una sua maturità e, se di questo non si spaventano i mercati (felici delle quotazioni di innumerevoli autori), evidentemente si preoccupano i quei critici ancora legati ad un’immagine forse troppo classica dell’arte.



Maurizio Chelucci


[exibart]

39 Commenti

  1. Capisco quello che dice l’On. Sgarbi, nella pittura c’è l’anima dell’artista, nella fotografia, sia pure bella ed artistica, c’è la rappresentazione di un luogo o di una figura ferma.
    L’anima è vibrante, è vita, quindi “la sua memoria c’è sempre in quella immagine dipinta.”

  2. inviterei “l’onorevole” sgarbi a rileggersi la camera chiara di Barthes..ma questa volta cercando di capirci qualcosa in più sull’arte della fotografia.

  3. Bhe è lo stesso sottosegretario ad aver affermato qualche settimana fa su ‘La Stampa’ mi pare che per la prossima Biennale d’Arte (2003) avrà intenzione di portare tutto alla pittura di Guccione e Balthus (presi come esempi), no?

  4. Questa è una tesi che Vittorio Sgarbi ripete spesso. Un fondo di verità c’è se si considera che la foto rappresenta la realtà come è, mentre la pittura rappresenta la realtà come si immagina che sia. Cioè da un lato la riproduzione meccanica, dall’altro la trasposizione del fatto materiale nella dimensione onirica-immaginativa. Il mondo dei fatti è legato al tempo e quindi alla morte, l’immaginazione invece ne è completamente svincolata.
    Ma una visione di questo tipo del fenomeno mi sembra molto reazionaria e datata.
    Mi sembra una tesi strumentale a quella (sempre di Sgarbi) che la pittura deve essere rivalutata perchè è inconcepibile che le Biennali siano soltanto in mano ad epigoni di DuChamp e Manzoni.
    Il fatto che non si capisce che il fotografo ormai lavora come farebbe un pittore, godendo dei molteplici artifici che la tecnica mette a sua disposizione.
    Per fare un’affermazione paradossale ma che forse chiarisce il punto. Le foto medicolegali di un cadavere sono foto-morte. Le foto di Andres Serrano di un cadavere sono foto-vita.

  5. Le foto di Serrano non vogliono essere la documentazione scientifica dello stato cadaverico, infatti non viene concesso tutto all’osservatore ma solo l’idea di morte. Se poi l’idea è, per così dire, vitale dipende dalla scelta delle luci e del punto di vista (entrambi quanto di più lontani da ciò che richiederebbe una rigorosa documentazione medico-legale) che trasformano la nostra esperienza estetica in qualcosa di “diverso” da ciò che si aspetterebbe.

  6. Semplicemente trattasi di due forme d’arte: una, la pittura, con secoli di vita alle spalle, l’altra (la fotografia) ancora giovane. Per tale motivo non le confronterei. Comunque legittime le osservazioni di Sgarbi e altrettanto ben confutate da alcuni utenti.

  7. Anche io ho riflettuto sulle parole di Sgarbi, e nel farlo, prima, e nel leggere i commenti dei lettori, poi, mi sono reso conto innanzitutto di due pericoli: i sentimenti che il personaggio suscita in sé – quindi il pericolo di censurarne in anticipo le parole – e la brevità dell’intervento, che si presti ad equivoci. Da una parte trovo indubbio che Sgarbi prediliga la pittura rispetto alla fotografia tout court – per me ci sono invece infinite foto più belle di tanti paesaggi settecenteschi da grand tour – ma so anche quanto lui ami, ad esempio, le foto di Ghirri. A questo punto il problema è capire se sottolineare il legame della fotografia con la morte debba essere per forza visto come una connotazione dequalificante. Dubois parla di “contiguità fisica” col reale della foto, al posto di una rassomiglianza atemporale; Barthes che “per quanto viva ci si sforzi di immaginarla”, è la raffigurazione che ci mostra i morti (non per stilettare Tereza…). Il legame per me c’è, e se lo si ammette non si può poi ribaltarlo parlando dei fotografi che lavorano come i pittori! Il fascino, piuttosto, sta proprio nella dialettica dei contrari, morte e vita…

  8. Inviterei l’on.Sgarbi a leggersi qualcosa di Rosalind Krauss, Philippe Dubois, Jean-Claude Lemagny, Gilles Mora, Henri Van Lier, Jean-Marie Schaeffer, ecc.: autori di cui evidentemente ignora l’esistenza…

  9. Sgarbi parla ed è ascoltato perchè è potente e ricco, sufficientemente colto per non dire banalità e per sucitare discussioni e polemiche,arrogante quanto basta per esserci dovunque e per affrontare anche un premio nobel…ma di lui non rimarrà nulla e nemmeno delle sue idee che si perdono nell’etere…come questa, banale, scontata
    inutile…ha già risposto Eco

  10. Premetto che non sopporto V.Sgarbi, e penso che il suo valore come storico dell’arte sia sopravvalutato. Però mi sembra che la sua affermazione sia stata frettolosamente interpretata come un giudizio negativo sulla fotografia. Non necessariamente però dire che una forma d’arte rappresenta la morte significa svalutarla: una delle tesi di fondo di Carlo Giulio Argan, tanto per citare uno storico di ben altro spessore, era che l’arte fosse metafora della morte, e non si può certo dire che Argan non aveva considerazione per l’arte! In realtà mi sembra che proprio R.Barthes, che Tereza chiama in causa come antagonista della tesi di Sgarbi, può invece offrirci una chiave di lettura diversa delle sue parole. In effetti anche Barthes parla di morte a proposito della fotografia, quando dice che in ogni foto è implicito il messaggio: questo è stato, e non è più. Ciò vuol dire, se interpreto bene, che senza nulla togliere al valore artistico di una foto, è vero che questa, testimoniando che una certa situazione è stata, inevitabilmente ritrae la morte (il non essere più) della stuazione stessa. Ciò peraltro non vuol dire che il fotografo è solo un ricettore passivo della realtà: vuol dire semplicemente che in una foto, oltre al valore formale di linee forme colori, e quindi oltre allo stile individuale e soggettivo dell’artista, è compresente un messaggio “storico”, di testimonianza, che nel linguaggio verbale potrebbe tradursi: questo è stato, e non è più. Comunque, se con questo discorso ho sopravvalutato le parole di Sgarbi (il che è possibile in quanto ammetto di non conoscere più di tanto il personaggio), mi scuso con tutti.

  11. …a mio parere, il cinema e’
    sostanzialmente, naturalmente poetico
    perche ha il carattere del sogno, perche e’ vicino ai sogni, perche una sequenza cinematografica e’ la sequenza di un
    ricordo o di un sogno – e non solo questo,
    ma le cose in se stesse – sono
    profondamente poetiche, un albero
    fotografato e’ poetico, un volto umano fotografato e’ poetico perche’ la fisicita’ e’ poetica in se,perche’ e’ un’apparizione
    piena di mistero,piena di ambiguita’,
    pregna di significati polivalenti,perche
    anche un albero e’ un segno appartenente
    ad un sistema linguistico. Ma chi parla attraverso un albero?
    Dio,la realta’ stessa. Quindi l’albero come segno ci mette in comunicazione con un interlocutore misterioso. Percio il
    cinema,grazie alla riproduzione diretta
    e fisica degli oggetti,e’ sostanzialmente poetico…

    …Per cui fare film e’ essere poeti.”

    Pier Paolo Pasolini

  12. Io vorrei porre un altra domanda a tutti quelli che si mettono a riflettere su ciò che ha detto Sgarbi, perché oggi in fotografia un ritratto realistico,un paesaggio,un nudo vengono aprezzati e valorizzati da tutti mentre in pittura e in scultura gli stessi soggetti se realizzati in maniera realistica vengono relegati a opere minori e gli artisti che le realizzano vengono discriminati? Forse l’uso del mezzo più moderno giustifica l’idea?

    Personalmente ritengo che se in un opera c’é l’anima,la passione e la capocità di chi l’ha realizzata non importa se foto o quadro o scultura l’opera é vita, vive di suo.
    Certo é molto facile essere medriocri in pittura e in scultura ,in fotografia é quasi inevitabile.

  13. Messo di fronte ai quotidiani sgarbi del Vittorio nazionale, ho preso il primo buon libro capitatomi per le mani e mi sono detto: qui troverò certamente una risposta. Eccola: “Per quanto riguarda la Bellezza, poi, come abbiamo detto, splendeva fra le realtà di lassù come Essere. E noi, venuti quaggiù, l’abbiamo colta con la più chiara delle nostre sensazioni, in quanto risplende in modo luminosissimo. La vista, per noi, è infatti la più acuta delle sensazioni, che riceviamo mediante il corpo. Ma con essa non si vede la Saggezza…, né si vedono tutte le altre realtà che sono degne d’amore.”(PLATONE,Fedro,250,c 8,d 1-6)
    Se a noi interessa soltanto la nostra personale realtà non apriremo mai gli occhi della mente sugli altri e non eserciteremo mai né la saggezza né la temperanza, senza le quali nessuna espressione di giudizio critico può essere condivisibile. Attenzione però: saggezza, temperanza e altre simili cazzate non hanno mai materialmente arricchito nessuno.

  14. Lumi,lumi…
    Sipario,sipario…
    Un’intera montagna di ricordi non uguaglierà mai una piccola speranza.
    La pittura è rivelazione,la fotografia è furto.
    Rock-Art… Pittura su roccia.
    Una pratica magico-esoterica praticata dagli aborigeni australiani da almeno ventimila anni attraverso cui il mondo della “Genesi Originaria” si manifesta.
    Caro Eco,nell’epoca contemporanea,essendo entrati definitivamente nel “Presente Permanente”,non ha più senso tacciare nessuno di “reazionario” o “retrò”,tutto esiste ed ha diritto ad esprimersi nella verità della propria essenza e la grandezza di un vero Artista si misura dalla sua capacità di armonizzare con distacco atarassico la mappa di tutte le possibilità.
    Oggi,2000 e oltre,dopo ogni Odissea prestabilita,alla luce dell’era digitale e del computer e con l’avvento ormai prossimo,(in quanto è già),dell'”Arte Ibrida”,la fotografia perde definitivamente i suoi già fragili connotati di Arte minore,legati alla tecnologia e alla moda.
    Più che un’Arte a sè,essa è stata e rimarrà,un Media,importante quanto si vuole ma incapace di esistere al di fuori di un più ampio discorso multimediale.
    Con la pittura bisogna andarci piuttosto cauti direi,parlando di qualcosa di pressochè ancestrale è facile cadere nel banale o peggio nel blasfemo.
    E’ vero quello che dice Sgarbi,nella pittura agli occhi di chi sa vedere si possono presentare talvolta dei barlumi di magia vitale più veri della vita stessa.
    Ma attenzione ai frutti trappola!!!
    Molta pittura ed in tutte le epoche non ha fatto altro che rappresentare la Morte in modo anche più violento della fotografia stessa.

  15. Curioso. Il critico dice che la fotografia è morte mentre su Exibart l’artista Miltos Manetas in un’intervista di qualche giorno fa dichiara che la pittura è arte da morti…corsi e ricorsi…

  16. Michele, anche la civiltà contemporanea ha i suoi riti. Non solo ciò che attiene alla natura e alle sue forze è fonte di fascino e magia.Capisco che il tuo pensiero è permeato dai valori di una cultura a noi (a me) distante e che comunque apprezzo. Le tesi che la fotografia è mera tecnica e non arte risale ai primi decenni della sua invenzione, ma a volte ritorna. Dubito che sostenere che la fotografia esprima un connotato mortale o mortifero, sia un giudizio relativo alle sue modalità espressive. Saluti.

  17. La pittura è la morte della fotografia
    La fotografia è la vita della pittura
    La morte è la vita
    La bellezza è la morte della vita
    Il matrimonio è la tomba dell’amore

  18. Credo che di fronte a quanto accaduto oggi
    ci si debba fermare e riflettere uscendo
    fuori dai nostri giochi vanesi di artisti o studiosi dei movimenti dell’arte che pure sono la sostanza stessa di questa Terra e della
    nostra presenza su questo Pianeta delle Apparenze.
    FINE//INIZIO – END//BEGINNING
    Come tutti i TERRESTRI tremo di fronte alla
    catastrofe che ha scosso oggi ciò che chiamiamo
    MONDO dalle FONDAMENTA e che ci porta a vedere
    un senso del GIOCO DELLA VITA che mi annichilisce……
    LA MACINA DELLA STORIA….
    LA STORIA: Una macchina che sembra distruggere
    senza pietà e senza logica e che ci sta trascinando irrimediabilmente verso la fine
    anche di questa ultima forma di civiltà
    mutlipla e simultanea in cui ci troviamo oggi.
    Da millenni non siamo in grado di edificare
    su questo pianeta che civiltà dell’orrore, della violenza, della sopraffazione…
    Ed eccoci oggi di fronte a un passo della storia che ci pone a specchio in faccia ad
    una verità che abbiamo voluto sempre cancellare, pur temendola nel nostro subconscio come la nostra più temibile nemica,
    la verità inoppugnabile delle Sacre Scritture, delle Profezie, dei Sogni Profetici, della Divinazione, e di un’Energia Distruttiva che noi stessi mettiamo in moto per autodistruggerci quando troppo ci spingiamo al di là dei confini di fratellanza e di amore in cui dovremmo muoverci.
    Il Gigante dai Piedi d’Argilla ha oggi tremato come non mai ed io vedendolo infine in ginocchio ho pianto per tutte le creature che ha trascinato con sè.
    Noi sopravvissuti, non importa per quanto,
    avremmo il dovere oggi di avere il coraggio di chiudere tutte le FAIDE, di domare ogni VIOLENZA in noi e fuori di noi, ogni SOPRAFFAZIONE, ogni INGANNO, sì che solo l’AMORE nel senso più elevato del termine resti a dirigere i nostri cuori verso il rispetto per noi stessi e per quello che resta di questo mondo infame di cui pure dobbiamo cominciare ad aver cura visto che non nato è già morto.
    Il MONDO NUOVO è alle porte, ci pioverà dal Cielo, e sarà perfetto perchè lo riceveremo con gioia pura ed infantile quando avremo rinunziato a far calcoli assurdi quanto inutili contro il Grande Architetto del Game
    credendoci capaci di gestire e giostrare una
    trama e una metatrama che continuamente la Storia e le Storie ci dimostrano non essere assolutamente in nostro potere controllare,
    figuriamoci tenerne le fila!!!!!!!!
    Con Amore e Pace…..Marluna 3001…..SMACK!

  19. Cara Maria Luisa Abbate,
    … e in arte qualcos’altro.
    Sono certo che il tuo messaggio è stato scritto in perfetta buona fede, ricco di una sostanza che apprezzo, ma che traborda di una tale retorica da far impallidire persino Vincenzo Monti.
    Anzitutto non posso accettare che per difendere un valore se ne debba necessariamente denigrare un altro.
    “Uscendo fuori” è già una forma che rende difettoso tutto il contenuto, ma questa è una mia disquisizione personale, e non è questa la sede di una lezione periodica.
    Non capisco perché hai sentito la necessità di definire i “giochi” dell’arte e della critica come “vanesi”.
    Forse è questo il tuo moto quando parli d’Arte, non il mio.
    Lasciamo che ogni cosa abbia la sua importanza nella sua sede, e non definire vanesio ciò che vanesio, spesso, non è.
    Quando Manzoni ha scritto “La Storia della Colonna Infame” non riteneva certo vanesie le sue Odi o i suoi idilli meravigliosi contenuti nei Promessi Sposi.
    E quando Simon Weil scrisse parte dei suoi “Quaderni sul Nazismo” non ha mai considerato vanesia la sua opera “Attesa di Dio”.
    Così come oggi nessuno considera un mostro assassino Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.
    Semplicemente sono concetti differenti.
    Non saper cogliere queste differenze ed essere deterministica e settoriale, questo è essere vanesia.
    Ed è la massima espressione dell’apparenza, del vacuo, dell’effimero.
    L’Arte non è effimera, come non lo è la Tragedia.
    Nascondono in sé un fascino che solo le anime complete sanno cogliere e sanno loro attribuire il giusto valore.
    Chi trova una differenza tra l’anima e il corpo, non ha né l’una né l’altro.

    Detto questo, accolgo con molto sensibile piacere il tuo messaggio di pace e d’amore, perché in fondo questo è stato.
    E a te mi unisco nel gridare l’orrore accaduto oggi ai fratelli degli Stati Uniti d’America.
    Così come mi unisco ai 20.000 algerini sgozzati sotto silenzio, agli indiani pakistani trucidati dal terrorismo islamico, alle donne afgane massacrate e castrate dai Talebani e ai fanciulli violati nella loro purezza da migliaia di turisti che in spedizioni a dir poco allegre spendono i loro soldi usando la loro carne come buffet da poco prezzo.
    Ecco cosa è davvero vanesio, accorgersi della morte e della sofferenza solo quando la morte è nuova.
    Stai tranquilla, se anche in America accadesse ciò che avviene ogni minuto in molte altre parti del mondo ti stuferesti della notizia al telegiornale e sbufferesti impegnandoti in un annoiato zapping.
    E, dopo tutto questo, la disquisizione artistica è atteggiamento vanesio?
    Io dico che è salvifico.
    Ciao, Biz.

  20. La Pittura scorre.
    Il sentiero dell’Arte scorre.
    Fuori dal labirinto, fluidi, i segni si incanalano senza apparente progetto all’interno dell’Ordine Creativo.
    Un percorso di Immagini è una Scrittura.
    Tra citazione e imitazione lascio che i pezzi si mettano a posto da soli per permettere all’azione pittorica di rappresentarsi senza la costrizione di un’organizzazione concettuale di pensiero.
    La Materia Spirituale,la “coltura”di cui un’opera si deve nutrire,è in noi,in ciò che chiamiamo ‘Noi’.
    L’Arte si deve nutrire di se stessa,fare conoscenza con se stessa,assumere il proprio ruolo e svelarlo,districarsi tra i propri svariati doppi sensi.
    Come dovrebbero fare tutti.
    L’Arte deve essere lasciata libera,come noi,di incontrare se stessa,le sue lingue,corpi,spiriti,fini,essenze,per narrarci il senso e il ruolo che con noi occupa nella Storia della Scrittura della Creazione.
    Ricambio con affetto i saluti a Umberto Eco,di cui ammiro l’opera omnia.
    Caro Umberto, nel caso volessi informazioni sul “Dreamtime”,”Tempo del Sogno” e gli Aborigeni ti prego di non esitare a contattarmi,ne sarei felice.

  21. Caro Michele credo che l’ Umberto Eco del messaggio non sia quello che pensi tu, però è un giovane che scrive molto bene: a proposito Umberto – Ugo, come va la tesi?
    Per ciò che dice Sgarbi su fotografia e pittura, penso che “rete” abbia detto la cosa più giusta e divertente…Un caro saluto a Biz e a Maria.
    E un inchino a Maria Luisa Abbate – Santella, una vera attrice (artista).

  22. Ringrazio sia per le critiche che per i complimenti…Spiacente di non essermi spiegata…Sono aborigena, sia come napoletana, che come australiana, così so bene
    il potere e il senso di ciò che chiamiamo ARTE, potere genetico, generante, sia nella
    Prima che nella Seconda Genesi. Perseguo da anni l’unione tra parola e immagine per vedere apparire il geroglifico divino sulle mura del tempio teatro…Il Teatro e il suo doppio…che infine ho identificato con questo nostro corpo…in cui ci trasciniamo ‘ombre che si agitano e si pavoneggiano sulla scena del mondo’…Vorrei avere un linguaggio più scarno…Ma, purtroppo, i tanti anni di Teatro che ho fatto, hanno depositato nelle mie stanze della memoria stili e parole che sono oramai la sostanza del mio essere…
    La pittura…originariamente…era un atto rituale…Usando le terre di un luogo consacrato di padre in figlio dall’iniziazione a quel rito e dipingendo con quelle terre le figure degli spiriti generatori di quel luogo non si faceva altro che permettere agli spiriti generatori di reincarnarsi per rigenerare il luogo. Da quest’atto l’uomo, custode della creazione, permetteva alla creazione stessa di rimanere in vita così come era stata conformata nel primo atto della sua genesi. In questo nostro sistema di apparenze virtuali mantenute in vita da atti artistici viviamo in una serie di convenzioni che vivono simultaneamente e parallelamente.
    Entrati nella Seconda Genesi dall’avvento di Cristo, da allora viviamo un travaglio tra morte e vita, tra virtuale e reale, tra passato e futuro, ignari del presente permanente, il Dreamtime, tempo che oggi,
    2001 non possiamo più ignorare visto che sta per assorbire in sè tutto.
    (Unità di tempo, luogo e azione…)
    Da allora tutto ci ha spinto a ritornare in Babele, per ricostruire la cittadella globale, dove individui non più tribù possiamo ritrovare le fila del cammino universale dell’essere.
    Dal momento in cui paralleli mondi hanno cominciato a viaggiare l’uno dentro l’altro intrecciando culture e sangue, scompaginando e riassemblando tribù e razze, l’arte ha perso il suo ruolo originario ed è giunta fino alla rappresentazione del singolo individuo, non più eroe o divinità, ma creatura chiusa in un suo piccolo zoo di vetro, cavia di sè, ologramma in cerca di una sua identità perduta o più probabilmente mai trovata ancora.
    In questo si giunge alla fotografia che mitizza ogni atto individuale di ogni individuo e che posta in sequenza e movimento ci agita ombre sulla scena del mondo lasciandoci in vita su bianche lenzuola…Il cinema, un cimitero che si dilata all’infinito con il video…
    In questo dilatarsi della riproducibilità dell’arte e di noi stessi, uno per uno,siamo giunti automaticamente all’annullamento di ogni immagine a favore di una scenografia e ritrattistica verbale di noi che attraverso, le chat, appunto, e il virtuale ci permette di dar vita alle molteplici immagini di noi che, inespresse, alimentano il nostro malessere a rimanere chiusi anche in quell’uno, nessuno e centomila di pirandelliana memoria.
    Ed è in questa nuova comunicazione che si giunge all’essenza…Perchè chi davvero ama i giochi di ruolo attivi, si rende conto che mentre scrive e comunica egli percepisce al millesimo le sensazioni, l’energia, le pulsioni, i brividi dell’altro.
    Si giunge per questo all’innamoramento attraverso chat che poi portato nel reale spesso crolla a causa dell’impatto con la forma in cui si appare rappresentati e che non ci rappresenta quasi mai…
    ‘In principio era il Verbo…’
    Così tornando al principio di rappresentazione verbale si torna all’origine dell’individuo, al libro dei nomi, al Golem che viene agito dal Nome di Dio posto nella sua bocca…
    Mentre questo mondo va in pezzi sì che già vediamo che mai più potremo esistere in questo sistema di assemblaggio di forme sociali, per vivere la muta fin in fondo, continuiamo ad interrogarci per ricordare tutto, sì che si possa dimenticare infine in pace…
    E questo è solo l’inizio di un fluido scambievole parlarci per creare sintonie e giungere all’amour fou che attraversa i sensi esterni ed interni per coniugare la carne all’anima allo spirito essenza di noi amandoci totalmente e senza reticenze. Sul cammino dell’acquisizione di sè ogni morale è corta!!!!!! ^.^…..*___*…….?____+…..*.* Smackkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkk

  23. Colui che tenta di spiegare e di significare l’Arte è, a mio avviso, uno stolto. L’Arte “è”, nel momento in cui ci viene presentata come tale. Dietro l’obbiettivo vi è una messinscena, una scenografia, la scelta accurata e intimistica di un paesaggio: così come il pittore era avvezzo ad intuire la luce migliore, il fotografo se la procura quando questa non soddisfa le proprie necessità figurative. < > potrebbe dire il fotografo al suo establishment. Quel che cambia è l’ingresso di un tecnicismo, che l’artista, probo, “deve” utilizzare sapientemente. Perché ci sia Arte, è necessario una sorta di continuum tra un artista ed un altro, perché non vadano perdute quelle esperienze sorrette in ispecial modo dalla loro carica innovativa: un flusso dunque. La buona pittura prevede un tecnicismo,- così come una buona scultura, scrittura, regia, pubblicità, compreso la fotografia-, che va di continuo subordinato all’innovazione. Ed è l’innovazione, lo spiraculum vitae che permette l’Arte a venire.

  24. Giuseppe dici che chi tenta di significare l’arte è a tuo avviso uno “stolto” .
    Cosa intendi per arte il dipinto o ciò che si sente nel guardarlo?
    Se senti ciò che l’artista ha trasmesso è arte,se il dipinto non suscita nessuna emozione non è arte.
    La tecnica è importante ma se non c’è l’anima a guidarla è fredda, è solo tecnica formale.

  25. Voglio anch’io essere allora uno sciocco (Italia)preservandomi il diritto di dire per me che cosa è “arte”: un insieme di segni, di gesta, di suoni e colori che a noi pervengono e che noi ad altri offriamo, affinchè la vita sia degna di essere vissuta.E l’anima, sarai d’accordo, è compresente. Ma non credo però, che ciò basti per soddisfare il “flusso” già menzionato.Vi è l’adolescente scrivente che in preda ad umane idiosincrasie, nero su bianco lascia disordinate pagine profonde.Sarà senz’altro uno scrittore? Si può definire a priori artista il pittore da un solo quadro, solo perchè in esso ha trasportato la sua interiorità, infischiandosene di che cosa possa essere l’Arte Povera,la Concettuale, la Optical, Body e così via? Dal versante umano risponderei di si; da potenziale addetto ai lavori, no!L’Arte è un patrimonio, al quale tutti coloro che vi si cimentano, devono attingere; e questo aldilà del fatto che ne vogliano accettare i presupposti o meno.Non è un caso che presso l’operato di artisti contemporanei, rileviamo un legame forte con autori classici, come l’Alberti ad esempio(il rapporto con il contesto urbano), seppure il loro praticandato vada a scrutare ambiti totalmente diversi se non opposti.La città è l’esemplificazione di ciò che io penso:nonostante in essa, tra le sue nervature murarie,i suoi angoli, è nascosto l’elemento ansiogeno, dispersivo e alienante(riflesso più eccelso del nostro cervello)che richiama il consolidato elemento labirintico della cultura classica, in ogni caso, l’artista architetto, fotografo, pubblicitario ecc., è chiamato a cimentarsi in questa nuova realtà in continuo mutamento da un punto di vista anche pratico e funzionale. L’arte non è più soltano la pittura da quando l’anima, la sensibilità, la creatività, è subentrata in ogni frangia del nostro spazio vitale. Ma il nostro spazio vitale è diventato per lo più l’esito di un artificio, e l’artista di questo deve prenderne necessariamente atto, utilizzarlo ed emularlo: questa è l’arte contemporanea. Se vi è solo l’anima, ci troviamo di fronte ad un essere dotato di sensibilità e qualità, che forse ha più valore di ogni altra cosa, ma che lo conoscerebbe l’intera comunità solo in quanto “caso”.

  26. Giuseppe dici che l’arte non è soltanto la pittura, ma quando l’anima , la sensibilità, la creatività è subentrata in ogni frangia del nostro spazio vitale.
    Questo penso anch’io.
    L’arte contemporanea è senz’altro Arte Povera, Concettuale, la Optical ecc., l’artista architetto, fotografo, pubblicitario ecc., tutta arte quando è sentita.
    Il vero artista sente e percepisce i vari problemi con spirito vibrante, è partecipe della vita odierna, del pensare di oggi, lo sente col suo pulsare interiore.
    L’arte non è fine a se stessa ma compartecipe del pensare, del sentire, dei problemi, dell’anima di oggi, con i suoi perchè, con le sue emozioni.
    Questo per me è anima, il sentire e trasmettere attraverso attuazioni , tentativi di risoluzione dei problemi, attraverso il comunicare (questo può farlo anche la pittura), il ritmo della vita di oggi, le sofferenze, le gioie, i problemi ed esserne partecipe.
    Arte,anima e vita sono inscindibili, l’artista lo sente con vibrazioni interiori, queste vibrazioni sono anima.

  27. Quando ho scritto questo articolo non pensavo certo di “scatenare” tanto dibattito, ma in fondo ne sono contento. La mia voleva essere una riflessione, non tanto a ribadire il ruolo importante che la fotografia ha nel nuovo millennio quanto per sottolineare che non dovrebbero esistere distinguo fra le varie arti espressive.
    Sono contento del tono degli interventi, sostanzialmente concilianti e convergenti, che indicano una grande maturità dei nostri lettori; non deve avere senso giudicare il mezzo, lo strumento ma, cio’ che piu’ conta, il risultato, la sua capacità di trasmettere emozioni, coinvolgere o respingere.
    Quello che lascia stupiti è invece la logica distruttiva, disaggregante e settaria di chi, uomo/donna di cultura, si ostini a creare barriere, tracciare solchi fra cio’ che è meglio e no.
    grazie a tutti voi.

    P.S. usare nomi non propri è contario a tutte le regole non solo di netiquette, ma anche legali. A buon intenditor ….

  28. Caro Maurizio Chelucci
    Sono d’accordo con te ma ormai è di moda non mettere il proprio nome forse pensano che il mistero renda più interessanti.
    Tutti hanno diritto alla parola ma penso sarebbe più dignitoso presentarsi di persona, dire ciò che si pensa senza timore di essere riconosciuti, essere resposabili delle proprie idee.

  29. Ed è forse proprio su questo punto che non ci troveremo mai, Italia.”La fotografia rappresenta la morte, la pittura, la vita”: è questo il punto di partenza.Le vibrazioni interiori, definite deliberatamente come corrispettivo dell’anima, non potrebbero semplicemente essere provate anche nel caso in cui si faccia della fotografia (per esempio), un uso intimistico e personale?Se a spasso per una accattivante città europea, avverto il trascinante bisogno di immortalare quei luoghi, di per me so che un domani saranno i negativi di un trascorso ricordo.Per l’appunto, “morto”, se le vibrazioni interiori non me ne dessero memoria. Ma ciò non è arte. Sarebbe, ad esempio, arte se io appositamente venissi ospitato da un’associazione culturale in un luogo x, per applicare il mio estro e sciogliere dunque le mie vibrazioni che devono aderire in qualche modo a ciò che mi si propone:cultura del luogo tout court, perché l’artista è colui che con il tempo sviluppa il sentore, e che addirittura avverte cose che aleggiano ancora allo stato aeriforme, prima che accadano. E questo è chiamato a fare(perché è della qualità professionale che io parlo, come già sottolineai). Per cui, sperando di non aver frainteso il senso della frase finale, è di facile intendimento che non posso accettare la possibilità che, nel caso in cui l’artista non trovi congeniale una certa realtà antropologica, urbana, storica, non intervenga perché scevro di tali vibrazioni.L’artista deve essere, secondo il mio umile parere, in grado di sviluppare idee, almeno potenzialmente applicabili, ogni qualvolta(ed io direi sempre)il suo apprendistato è richiesto, perché sentitamente voluto. Dobbiamo accettare che la figura dell’artista, -credo dall’Umanesimo in poi-, è divenuta parte integrante del tessuto sociale e se ne abbisogna a un dipresso come tutti coloro che svolgono libere professioni. E infatti, l’artista deve rimanere “libero”, e tale statuto non deve guadagnarselo con le armi o con la ribellione,come si faceva un tempo, con la solitudine e l’atteggiamnìento saturnino(sebbene siano qualità che possono coesistere ugualmente), bensì, con la poliedricità culturale e la flessibilità mentale, unici antidoti per integrarsi nell’arte contemporanea.Grazie della possibilità di confronto, non è incaponimento ma pura dialettica.

  30. Francamente era mia intenzione significare l’esatto contrario, e cioè, che qualunque sia la posta in gioco( a livello sempre professionale) l’artista deve rimanere sempre libero. La libertà, nel senso di Autonomia, è senz’altro un qualcosa che va guadagnato; e già ho detto, secondo me, in che modo. La libertà dell’artista, in quanto essere ed anima indipendente, è inderogabile e necessaria. Vi è, tra l’altro, un artista vivente che considera alcune delle sue opere fantasmi della sua mente, che necessariamente deve liberare: deve affrancarli dal loro stato di cattività. Lui, artista, è dunque “libero” di riscattare dall’oblio qualcosa che altrimenti rimarrebbe celato per sempre.E quando all’arte vengono meno i fantasmi della mente, che siano essi incubi oppure sogni, a venir meno è la sua quintessenza. Essere “autonomi” vuol dire procacciarsi ciò che è più confacente il proprio agire ed il proprio fare, derivandolo da un patrimonio che ci viene dato come tale. Essere “liberi”, però, vuol dire anche non dipendere da nessuno sopra di noi, essendo dunque autonomi e indipendenti. Ma non scinderei le due parti, perché sono avvezzo a concepire il connubio di queste, come l’esito di una “grande realizzazione”, che in ogni epoca possiamo aspettarci.

  31. All’ On. Sgarbi consiglierei di leggere attentamente la storia della fotografia dal 1821 con i primi “points de vue” eseguiti da Joseph Nicèphore Nièpce, ai giganti della fotografia:
    – Atget
    – Nadar
    – Alinari
    – Primoli
    – Sander
    – Strand
    – Modotti
    – Weston
    – Cartier Bresson
    – Capa
    ecc..ecc…
    Ciao Ciao

  32. Vittorio Sgarbi non ha detto assolutamente nulla di nuovo.
    Non facciamo finta di non saperlo, non sottovalutiamoci.
    Certo è che dal pulpito tanto contraddittorio quanto colorito, spesso nauseabondo e noiosamente prevedibile, dal quale apprendiamo queste nuove “massmediate” il pubblico si muove a comando nell’essere condiscendente o contraddittorio ad esse, come se non ci fosse null’altro di meglio di cui disquisire in merito.
    Intendiamoci, non che in discussione sia la fotografia o la pittura.
    Ma ciò che ha detto Sgarbi.
    Lasciamo che Sgarbi discuta bene prima con se stesso e, poi, finalmente, ci dica come la pensa.
    Solo in seguito le affermazioni di Sgarbi potranno essere discusse.
    Prima gli chiediamo la decenza del rispetto della memoria, e lo ringraziamo fin d’ora.
    La fotografia, la Pittura.
    Discutere su cosa è meglio, cosa sia Bene meglio dell’altra… è puerile.
    La Morte, la Vita.
    La fotografia è esistita nell’Arte di Aristotele, quando sosteneva la teoria dell’imitazione.
    La fotografia ha guidato la mano di Shelley quando ha scritto sul Bargello fiorentino, o le deliziose immagini del Monte Bianco.
    Ha ispirato l’anima di Baudelaire che batteva le ciglia nello Spleen.
    “In me vedi il baluginare di un fuoco che giace sulle ceneri della sua giovinezza, come sul letto di morte sul quale deve spirare, consumato da ciò di cui si era nutrito” cantava Shakespeare.
    Non è fotografia questa?
    E’ Poesia.
    La Pittura.
    Mi pare basti.
    Ciao, Biz.

  33. Dici bene Biz ,il canto stupendo di Shakespeare che ci —–

    Dici bene Biz, il canto di Shakespeare, che hai messo in evidenza, è fotografia perchè “si vede” ciò che sente ed è una meravigliosa poesia.

  34. Dire che la fotografia ha sempre a che fare con la morte non mi sembra negarle valore. È riprendere l’idea chiave di un saggio straordinario sulla fotografia che s’intitola “La camera chiara”, di un certo Roland Barthes.

  35. il saggio di Barthes è un caposaldo della teoria sulla fotografia…. Sgarbi è sempre il solito anacronistico nutrito com’è esclusivamente dall’arte del passato….più corretto parlare d’immagine in senso lato e della sua “crisi” attuale in entrambi i settori… su questo argomento Baudrillard in “La violenza fatta all’immagine” ci illumina di sapere immenso….

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