15 marzo 2002

Muore il fotografo Raffaele Ciriello

 
Ci sono mestieri che non si fanno per soldi, ma per passione. La professione del fotoreporter di guerra è una di queste, e questa era la strada che Ciriello aveva intrapreso all’inizio degli anni ’90. Un lavoro duro, mai ripagato, scarsamente tutelato...

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Una passione per i viaggi, per l’avventura; a seguito delle Parigi-Dakar o del conflitto Afgano, non importa. L’importante era esserci: fotografare, documentare e testimoniare.
Era in Palestina per conto del Corriere della Sera, testata con cui collaborava da tempo, ed è stato ucciso da una raffica di mitra partita da un tank isdraeliano. Si sa, in guerra si muore, ma quando muore un giornalista l’esperienza ci insegna che non sempre è per caso, cosi’ come non è un caso se stessa giornata siano stati feriti altri due giornalisti., ed a lui un triste primato: essere il primo giornalista straniero ucciso dall’inizio dell’intifada.
Lo volgiamo ricordiamo con alcune immagini e l’indirizzo del suo sito “Postcards From Hell“ in queste ore inaccessibile a causa dei numerosi accessi.
E’ profonda la commozione e rabbia per quanto accaduto, e ci piace chiudere con una lettera, ricevuta da poco da Michele Vacchiano. Michele è un noto professionista della fotografia, autore di libri e manuali, nonché amico di Raffale.

Maurizio Chelucci


Il fotografo Raffaele Ciriello è morto. Lo ha ucciso questa mattina una scarica di mitra partita da un tank israeliano. Lo ha raggiunto in pieno petto mentre si sporgeva per fotografare.
I suoi assassini dicono che stavano rispondendo al fuoco nemico. Le solite menzogne militari. In realtà sappiamo tutti come si può reagire di fronte a un minimo movimento sospetto quando si hanno vent’anni (o quaranta, poco importa), una mitragliatrice fra le mani e i nervi a fior di pelle.
Raffaele era un reporter di guerra. Della guerra conosceva gli orrori e cercava di renderli noti a una società opulenta troppo distratta e pigra. Le sue “Postcards from hell” (cartoline dall’inferno) valgono più di mille parole.
Raffaele è rimasto vittima di un conflitto assurdo, forse il più atroce e assurdo di tutti i tempi, portato avanti da entrambi i contendenti con una disperazione e una paura che hanno reso e rendono possibili gesti inumani, stragi insensate, persecuzioni che si sperava fossero rimaste indietro, in un secolo nefasto ormai finito. E invece.
Raffaele ci ha raccontato l’Uganda, l’Afghanistan, la Cecenia, e da ciascuno di questi luoghi ha riportato volti, storie e immagini che troppo in fretta abbiamo dimenticato.
Quella parodia dell’informazione che sono i media italiani non ci ricordano abbastanza che cosa sta succedendo poco lontano da noi e in questo modo il lavoro di gente come Raffaele, come Ilaria Alpi, come Maria Grazia Cutuli rischia di perdersi nell’indifferenza generale, fra le notiziole di cronaca nera e le beghe da ballatoio dei nostri parlamentari.
Raffaele ha dimostrato che cosa si può fare con la fotografia: forma d’arte e di comunicazione al tempo stesso, paragonabile forse soltanto alla musica per la sua capacità di esprimere nel breve istante della percezione lo stato d’animo dell’artista, il suo atteggiamento di fronte a ciò che riprende.
Alla moglie e alla figlia di Raffaele esprimiamo tutto il nostro cordoglio e la nostra vicinanza nel dolore.

A te, Raffaele, non possiamo dire che grazie.

Oggi ci sentiamo tutti un po’ più orgogliosi di essere fotografi.


Michele Vacchiano


[exibart]

2 Commenti

  1. Mi unisco a Maurizio e Michele nel dolore che segue la scomparsa di Ciriello. Ancora una volta possiamo pensare che, a volte, la passione per la propria professione può vincere la paura. Grazie Raffaele.

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