06 aprile 2013

L’intervista/Douglas Andrews Io, il mare, la cucina. E l’arte

 
Sarà perché il Museo Pino Pascali di Polignano è spalancato sul mare, fatto è che Douglas Andrews ha prestato parte della sua collezione al museo pugliese per una mostra attualmente in corso. E a lui il mare piace molto, tanto da viverci. Ma sul Tirreno. Ritratto di un collezionista generoso, cui piace prestare le opere affinché altri possano condividere la sua passione per l’arte. Anche se forse non la capiscono

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Uno sguardo sul mondo al Museo Pino Pascali, vista della mostra
Santa Marinella (Roma). La ricetta del paté di fegatini di pollo è il ricordo di un lungo periodo vissuto in Umbria, nella zona di Todi. Douglas Andrews, consapevole del prevedibile successo, dichiara di averla imparata da Paola, cuoca umbra ed è pronto a condividerla con chi la sappia apprezzare. La presenza degli “odori” è fondamentale: rosmarino e prezzemolo in abbondanza, salvia e una sapiente combinazione di vino bianco, aceto e limone. Ingredienti anche alla base dei piatti di pesce, visto che nel frattempo il collezionista statunitense (è nato a Martinsville) ha lasciato la campagna per il mare. 
L’orizzonte marino entra nella villa dalle grandi finestre e anche attraverso quel viaggio ipnotico (che prosegue sulla parete esterna), che un artista romano di nome Paris ha realizzato a bassorilievo con la ceramica policroma, raffigurando un intreccio palpitante di flora e fauna marina. Uno dei pochi elementi originali sopravvissuti alla ristrutturazione firmata da Guido Orsini, architetto, designer e fotografo (in programma tra giugno e luglio la personale nelle sedi di Sala 1 e Villa Capo di Bove a Roma), compagno da molti anni di Andrews. Curiosamente l’edificio è stato costruito nel 1964, lo stesso anno di nascita del proprietario. 
Guido Orsini vicino a una sua opera - foto Manuela De Leonardis
In questa dimora che riflette l’apertura dei suoi abitanti, trovano posto oltre alle foto dei tre cani sepolti in giardino (Argo, Lulu e Paco) – adesso ad aggirarsi per la casa c’è solo il gatto Spin – alcuni pezzi della collezione che Douglas Andrews ha iniziato negli anni Ottanta. L’ultima arrivata è una grande tela di Albert Oehlen, poi c’è il cane di ceramica bianca firmato Jeff Koons, il Satisfy Me di Monica Bonvicini, la fotografia della pescatrice di perle di Matthew Barney, un bellissimo lavoro di Cy Twombly (Passing, 1992), un grande arazzo di William Kentridge, alcuni dipinti di Donald Baechler, lo specchio sagomato di Seth Price. Opere che dialogano con i mobili, molti dei quali di modernariato (alcuni pezzi trovati accanto ai cassonetti dell’immondizia, come la poltrona di Pagano, altri disegnati dallo stesso Orsini, autore anche della barca per il costruttore Mario Astaldi, di cui c’è il modellino nella camera da letto). 
Douglas è gelosissimo dei suoi libri, ma non lo è nei confronti delle opere, che presta frequentemente a istituzioni museali un po’ ovunque nel mondo. Uno sguardo sul mondo. Opere da una collezione privata è la prima mostra che viene dedicata ad una selezione della sua collezione, mirata a dialogare con il luogo che la ospita: il Museo Pino Pascali di Polignano A Mare (fino al 1° maggio 2013). A curarla è Mary Angela Schroth che si occupa da tempo anche dell’archivio, insieme a Guido Orsini che ha seguito l’organizzazione e l’allestimento.

Favo - Jessica Carroll - foto Manuela De Leonardis

Cosa ci fa un americano della Virginia a Santa Marinella?
«Bella domanda! Ho abitato a Roma, dove ero arrivato negli anni Ottanta per studiare, per quindici anni, e poi non sono più andato via dall’Italia. Da Roma ci siamo spostati in Umbria, dove abbiamo vissuto per dieci anni, finché non ci siamo stancati e, stavolta, abbiamo scelto il mare»». 
A Roma ti sei avvicinato per la prima volta al mondo dell’arte…
«Ho studiato economia e scienze politiche, ma anche storia dell’arte. Passeggiavo sempre per il centro della città. Roma è un luogo meraviglioso dove ogni angolo riserva una sorpresa. È un museo all’aria aperta! Attraverso Guido mi sono avvicinato all’arte contemporanea e ho conosciuto molti artisti, tra cui Cy Twombly e galleristi, ma è stato fondamentale soprattutto l’incontro con Lucio Amelio».
Quali sono i tuoi ricordi dell’incontro con Amelio?
«L’ho conosciuto a Napoli nel 1989 e l’anno seguente ho acquistato da lui il primo quadro, Suitcase di Donald Baechler che ora è esposto al Museo Pino Pascali. Era sempre molto simpatico e amichevole. Lì per lì non sapevo della sua grandezza, certo era noto che aveva portato in Italia artisti come Beuys e Warhol, ma con il tempo ho avuto sempre più la consapevolezza che lui fosse una figura chiave dell’arte contemporanea internazionale. Attraverso di lui, poi, ho conosciuto i suoi vari artisti, per lo più americani, a partire da Donald».
Cane - Jeff Koons a casa di Douglas Andrews foto di Manuela De Leonardis
Quando hai acquistato Suitcase avevi già in mente di creare una collezione o è stato un qualcosa di istintivo?
«È stato istintivo. Poi ho deciso di acquistare una o due opere l’anno, in base a quello che mi potevo permettere. Erano comunque opere importanti, questo è sempre stato fondamentale, non lavori piccoli». 
Una scelta autonoma o guidata dai galleristi?
«È sempre stata una mia scelta. Certamente conoscendo Lucio e altri galleristi anche a New York, visto che facevo la spola tra Roma e New York, tra cui Paola Cooper e Barbara Gladstone, ho cominciato ad interessarmi ai loro artisti».
Le opere finivano in casa o in un deposito?
«All’inizio erano in casa, ma quando sono diventate troppo grandi è stato impossibile. Avere in casa la roulotte di Andrea Zittel (Escape Vehicle) sarebbe stata una pazzia! In Umbria dove gli spazi erano più grandi c’erano molte più opere, qui ne abbiamo scelte solo alcune con cui convivere». 
Quanto è importante per te la fruizione quotidiana di queste opere?
«Molto. Sarebbe bello vivere circondati da tutte le opere, ma sono troppe».
Tra tutte le opere della collezione ce n’è una a cui ti senti più legato?
«È una domanda che mi chiedono tutti. No, non ce n’è una, sono legato a tutte. Sicuramente ci sono opere che valgono molto di più di altre, ma per me sono tutte uguali. Anche quando le ho acquistate è stato un qualcosa di passionale, non di cerebrale, pensando al futuro».
Uno sguardo sul mondo al Museo Pino Pascali, vista della mostra
Quale è il tuo limite massimo di spesa?
«Fino a mezzo milione».
Dollari o euro?
«Entrambi».
Sei geloso della tua collezione?
«Assolutamente no. Penso che l’arte debba essere per tutti. Mi piace che chiunque possa vedere le mie opere. Piuttosto sono gelosissimo dei libri». 
Tra le tue altre passioni c’è la cucina. Adori mangiare il sushi e altri piatti giapponesi e, più in generale, ti piace molto cucinare.
«Sì. Della cucina amo sia la tradizione che l’aspetto creativo, naturalmente venendo dall’America ho una passione per la cucina etnica. Mi guida l’istinto. Fin da bambino osservavo mia madre cucinare, sono sempre stato interessato al cibo. Ancora mi capita di stare attaccato alla televisione per seguire i programmi di cucina». 
Dal punto di vista artistico, invece, sembri piuttosto concentrato sugli artisti americani…
«Sì, forse per via delle mie origini anglosassoni. Ma mi interessano anche gli artisti tedeschi». 
Hai affermato che le opere sono tutte allo stesso livello, invece con gli artisti hai dei rapporti privilegiati?
«In una maniera o nell’altra conosco personalmente tutti gli artisti che ho nella collezione, tranne Sarah Lucas con cui però ho parlato qualche giorno fa al telefono. Sono stato nello studio di alcuni di loro, soprattutto a New York, tra cui Julian Schnabel e Donald Baechler. Ma, dato che per la maggior parte l’arte è business, sono sempre molto impegnati. Molti artisti li ho incontrati soprattutto dopo  l’inaugurazione di una mostra, in situazioni mondane. Ma c’è anche chi riesce a trovare il tempo per passare qui da noi, come Albert Oehlen, che il giorno dopo l’inaugurazione da Gagosian è venuto a pranzo con la famiglia». 

Ceramica di Paris esterno Villa Andrews - foto Manuela De Leonardis

Sei un frequentatore delle fiere?
«Di solito non mi piace andare alle fiere. Vent’anni fa era diverso, c’erano meno collezionisti e si potevano vedere i lavori con calma, ora sembra di andare al supermercato. Preferisco vedere un’intera mostra di un artista e selezionare tra le varie opere». 
Cos’è che ti attrae dell’arte contemporanea?
«L’emozione di provare qualcosa di unico nei confronti dell’opera. Quello che provo io non è detto che sia uguale a quello che provi tu. Tante persone che vengono in questa casa affermano di non capire niente di arte contemporanea. Ma gli dico sempre che ognuno capisce qualcosa. La differenza sta solo nel fatto che ci sono persone che hanno visto più arte contemporanea di altre». 
A proposito di emozione, quale è stato il tuo sentimento girando per la mostra Uno sguardo sul mondo. Opere da una collezione privata?
«Non sembravano le mie opere. Mi è piaciuto che fossero di tutti, anzi il giorno dopo l’inaugurazione ho cercato di sentire i commenti della gente. Mi sono divertito moltissimo, soprattutto ascoltando quello che i visitatori dicevano del gabinetto di Sarah Lucas (The Old in Out)».

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