15 aprile 2013

L’Intervista/Loredana Longo La Bad Girl dell’arte italiana

 
La mostra presso una galleria milanese, dà lo spunto per una conversazione a tutto campo che riguarda l’arte, l’essere donna e anche siciliana. Ritratto di "un’artista della distruzione". Nata come performer, che usava il proprio corpo come "superficie di accadimento", passata al video e all’installazione. Senza però cambiare idea: l’artista rimane "un comunicatore che ha il dovere di esporre la propria visione del mondo"

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Loredana Longo Place/No Place, veduta dell'installazione
Entrata nell’ampia sala della New Bad Business di Milano, dove fino all’11 maggio è in corso la mostra di Loredana Longo, il mio sguardo si è concentrato su un’installazione site specific che appare come una messa in scena. A livello del pavimento numerosi tappeti preziosi, scelti con attenzione, diversi tra loro, srotolati, che in sé connotano tanto la religione islamica (tappeto come terra pura) quanto il nomadismo, tanto il punto di contatto tra culture differenti quanto l’esser prodotto di una maestria del fare tutta al femminile.
Sulla superficie dei tappeti ‘culminano’ concetti verbali, frasi di senso compiuto che Loredana Longo ha attinto dai media, dalla vulgata e incise col fuoco, carattere dopo carattere, come una sorta di tatuaggio indelebile. 
La mission dell’installazione PLACE/NO PLACE è ribadire che le parole hanno un peso così come la scrittura, e la ‘pelle’ di ogni tappeto trattiene ‘brandelli’ di comunicazione. «Una comunicazione egocentrica – sostiene Marina Mizzau – che non tiene conto dell’altro in quanto rigidamente legata ad un codice semantico, a uno schema di riferimento, a un ruolo». Tuttavia la nozione di comunicazione non è sinonimo di ambiguità quando si elegge a denominatore comune della medesima la relazione nella quale l’uno è per l’Altro nei termini del rispetto delle identità:vera e leale comunicazione è attenzione al senso delle parole, è capacità d’interpretazione, analisi e uso del messaggio come manifestazione di comunanza proprio dell’uno con l’Altro.
Il colloquio che segue intende far emergere la donna e l’artista Loredana Longo che costruisce la propria arte, installazioni e video, entro la cornice di una ‘scrittura’ simbolica generatrice di rimandi e sentimenti, confrontandosi col proprio sé, con la propria visione ed esperienza di vita in rapporto alla società e alla famiglia, alla storia e alla cultura.
Quando ci siamo conosciute lavoravi sulla corporeità della donna, sulla sua pelle come superficie che trattiene la narrazione dell’esistenza esposta, ma soprattutto sull’involucro che cela ciò che veramente si è: il vero ‘teatro’ delle emozioni, dei piaceri e dei dolori. Fotografie, performance e installazioni che non ricordo tu abbia definito come una dichiarazione femminista e politica. Ma nella tua arte si è andato sempre più connotandosi un aspetto che definirei proprio come femminista e politico. Sei d’accordo?
«Io lo definirei più politico che femminista. Il femminismo nel senso letterario della parola è anch’esso un movimento politico, ma io non difendo nessuna categoria in particolare, l’umanità mi interessa in modo integrale. L’equivoco nasce dal fatto che sono un’artista donna, e ho notato che sovente le artiste nella prima parte della loro vita artistica esibiscono il loro corpo, lo utilizzano fino allo sfinimento, non solo come atto performativo, ma come tavolozza, oggetto da fotografare, come se solo attraverso questa esibizione si possa riuscire a trasmettere qualcosa. Non lo considero un errore, piuttosto un limite che bisogna superare, considerarlo un punto di partenza non di arrivo. 
Venti anni fa utilizzavo il mio corpo come superficie di accadimento, lo riempivo di timbri con la scritta: SULLAMIAPELLE, ora per la mia personale al BAD New Business a Milano (il nuovo spazio di Francesco Pantaleone), riporto frasi pronunciate dai leader politici e le incido a fuoco in preziosi tappeti persiani, una sorta di minaccia dell’Occidente alla minaccia dell’Estremo Oriente. Si è spostato il fulcro del lavoro, il messaggio: l’artista è un comunicatore e ha il dovere di esporre la propria visione del mondo». 
 Loredana Longo, Explosion#17 Happy New Year, 2008, Napoli, Teatro Festival. Courtesy Francesco Pantaleone, Palermo

Il progetto Explosion (rappresentazione ironica di un disastro familiare), cui hai lavorato a lungo e allestito in diverse realtà espositive, riguarda il rituale familiare delle apparenze. Lo scenario è una tavola imbandita che attende la famiglia riunita, ma prima che ciò si compia, la tavola e tutte le suppellettili saltano in aria. La tavola sarà imbandita di nuovo con gli stessi pezzi frantumati e ricomposti: un’azione che è oltre l’opera, trattenuta nei frame del video che è memoria dell’evento. Credo che il senso del perché di Explosion stia tutto in quest’azione, in questo fare durante il quale è come portassi addosso te stessa in nome del desiderio di cambiamento che libera dalla propria storia e dalla propria cultura. Si può dire che Explosion trattiene il flusso di un tuo vissuto? 
«La serie Explosion nasce da un periodo di lunga ospedalizzazione che ho voluto trascorrere quasi forzatamente da sola, mi sembrava di esplodere, come se il mio corpo mi volesse espellere. In quegli interminabili giorni, rivedevo la mia vita legata sempre a doppio filo alla mia famiglia. Un luogo di amore e conflitto eterno. Ho costruito decine di scenografie, riproduzioni di scene di vita familiare, momenti di grande convivialità, turbate da un improvviso scoppio che le distruggeva tutte o in parte. Ho ricostruito le scene, prima, mentre e dopo ogni esplosione e ne ho documentato le fasi tramite dei video. Non è solo una metafora sulla famiglia e sui suoi limiti, è anche la cronaca di tutti i giorni, che ci trasmette esplosioni e disastri che colpiscono gente innocente per strada, o mentre svolge le attività quotidiane».
Qual è stato il percorso che ti ha portato a realizzare “Floor# 5” per la Biennale Donna 2012 di Ferrara, dove entri esplicitamente nel merito di una problematica che riguarda da sempre la condizione femminile: il lavoro?
«Lo scorso anno ho cominciato una nuova serie di lavori, i “FLOOR”. Si tratta di pavimenti costituiti da mattonelle in cemento in cui sono ‘affogati’ particolari oggetti, con lo scopo di impoverire il materiale. Un lavoro che riflette sull’uso incondizionato del calcestruzzo. Io sono siciliana, ho visto deturpare il territorio e le coste siciliane da costruzioni abusive, frutto di appalti vinti in modo poco regolare da associazioni mafiose, da una quantità indecente di cemento impoverito, che ha arricchito imprenditori poco onesti e deturpato irrimediabilmente il paesaggio. Quando ero piccola sovente sentivo parlare di personaggi scomodi affogati nel cemento o nella calce viva e da sempre mi chiedevo dove potessero essere. Credo che la stratificazione di tutti questi ricordi e visioni sia la causa della nascita dei “FLOOR”. Ho affogato nel cemento abiti di lavoratori, vestiti neri da donna e camicie bianche bruciate come per la Biennale Donna 2012 di Ferrara il cui tema era “Violence”. Ho cercato il dato di cronaca più violento che abbia mai colpito delle donne: il triangle shirtwaist factory fire, l’incendio del 1911 nella fabbrica di camicie a New York dove 146 persone morirono carbonizzate, quasi tutte donne immigrate, siciliane ed ebree. Ho realizzato 146 mattonelle in cemento “impoverito” con centinaia di camice bianche bruciate per un lavoro site specific che ha coperto per intero il pavimento di una stanza della Biennale. La definirei comunque una tragedia del lavoro, quindi non specificamente femminile. Al momento sto producendo un FLOOR con porcellane cinesi affondate nel cemento, una sorta di ponte simbolico, il famoso ponte sullo stretto tra la Sicilia e la Calabria, teatro di grandi campagne elettorali e promesse politiche e che sembra sarà costruito dai cinesi. Lo esporrò in giugno in una mostra allo Chateau de Nyon in Svizzera.»

Loredana Longo, CARPET#9 YOU MUST PLAY BY THE RULES, cm 275X182

A proposito di eventi espositivi e di incontri tra artisti come ad esempio “Made in Filandia”, secondo te quali sono i fattori che ne amplificano il senso: i partecipanti, la durata, il luogo, la tematica?
«”Madeinfilandia” è una delle esperienze umane più importanti e gratificanti della mia vita artistica. Esistono tante residenze in Italia, ma questa è una cosa diversa: è un tempo condiviso con altri artisti e per gli artisti, in modo totale, dalla colazione alla confidenza notturna, in uno spazio particolare come la vecchia Filanda in Toscana, in un ambiente che i “padroni” di casa, Elena El Asmar e Luca Pancrazzi, rendono familiare, grazie anche alla generosità di Arturo Grezzi, proprietario dello spazio. Il progetto artistico non è il fine, ma il mezzo per essere parte del “Madeinfilandia”. Sono nate delle grandi amicizie e nuovi progetti».
Gli attenti equilibri tra contenuto e forma, tra pratica artistica e processi di significazione, costituiscono il tessuto connettivo della tua arte, come tu stessa affermi. Quando ti è stata commissionata la scenografia per la pièce teatrale La notte poco prima della foresta di Bernard Marie Koltès con la regia di Juan Diego Puerta Lopez, come ti sei rapportata con le esigenze del testo e la tua cifra creativa?  
«Non avevo mai realizzato una scenografia prima di allora, ma il mio lavoro da sempre ha avuto un’impostazione scenografica. Il curatore Antonio Arevalo ne parlò a Juan Diego Puerta Lopez, il regista. Il giorno dopo venne a trovarmi a Catania per parlare assieme del testo, un lavoro di Koltes, era molto difficile, duro, una catastrofe incombente. Mi vanto di avere il soprannome di ‘artista della distruzione’, quindi realizzai un paesaggio di distruzione, come se un intero edificio fosse caduto in scena, mostrando tubi rotti gocciolanti, tondini di ferro contorti dal peso, mattoni distrutti, spezzoni di cemento in cui l’attore Claudio Santamaria tra qualche imprecazione sottovoce causata dalla scomodità di muoversi in questo ambiente, si muoveva piegato dalle oppressioni della vita. Un’esperienza gratificante, perché ti fa uscire dai confini degli spazi espositivi, ti mette in relazione con altre priorità che non siano solo la pura visione della materia, ma la fruizione reale, la spettacolarizzazione, il confronto con altri professionisti: illuminotecnici, attori, registi, specialisti del suono, ed una produzione reale».
Loredana Longo, Sullamiapelle#1-2, 1999, stampa digitale su tela cerata e abiti di fotografie. Courtesy l’artista
Sono cento le vittime di femminicidio nel 2012 e il 2013 ha già iniziato a dare i suoi frutti. Donne, uccise da compagni, fidanzati, mariti, amanti, perché ritenute oggetto di possesso. Violenze e assassini che dovrebbero essere puniti con una nuova legge nazionale che ancora manca. Molte artiste negli anni Sessanta hanno sollevato istanze intorno a tematiche come la libertà di pensare, muoversi, amare e lavorare anche nell’ambito dell’arte, aderendo al movimento femminista. Pensi che i femminicidi di questi ultimi anni rappresentino una regressione rispetto agli obiettivi raggiunti e soprattutto, pensi che le donne abbiamo sottovalutato il problema?
«Non sono le donne ad aver sottovalutato il problema, ma gli uomini ad essere in crisi. Gli uomini non riescono a tenere il passo con le donne, madri lavoratrici che finalmente escono da casa e conoscono anche altri uomini che non siano solo il padre padrone e marito, e magari tradiscono e lasciano il compagno. Gli uomini non lo accettano. Chissà perché si parla ancora di eguaglianza, bisognerebbe parlare di superiorità, ormai. Le donne fanno molte più cose degli uomini e, dato sopra ogni altro, la procreazione che rappresenta la più grande frustrazione dell’uomo. 
Non si può parlare di eguaglianze proprio perché siamo diversi. Io credo che l’uomo costituisca la parte distruttrice del mondo, la donna quella creatrice. Gli uomini fanno la guerra, una donna non manderebbe mai in guerra suo figlio, a parte quelle eccezioni che, naturalmente, confermano la regola». 
Loredana Longo vive al momento in Toscana, alla Filanda di Pieve a Presciano, lavora con la Galleria Francesco Pantaleone di Palermo, città dove prossimamente esporrà parte del suo recente lavoro in una personale alla GAM.

6 Commenti

  1. in realtà a chi interessa oggi,la visione del mondo di uomini-donne artisti e di altre persone? ogni visione è relativisticamente equiparata….perciò tutte le visioni si annullano,rimane solo L’UNICA MONDIALE IDEO-ONTO-ECONOMICA VISIONE DOMINANTE,LA QUALE PERMETTE LIBERTà DI ESPRESSIONE AD OGNI LIVELLO PERCHè Sà CHE NULLA Hà PIù DA TEMERE DA ESSA……..

  2. Ma i lavori con il cemento nascono dal “sentito dire” e poi dai “ricordi e visioni” dei ” personaggi scomodi” affogati nel cemento e nella calce viva? Tutto questo accadeva in Sicilia su larga scala? Credevo che fosse solo una pratica tra mafiosi..E cosa hanno a che fare le operaie dell’ 8 marzo con la stessa simbologia… ?
    Credevo che oramai la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, viste le inchieste della magistratura e il procedimento avviato dalla Corte Europea non si contemplasse piu’ ! Ma forse questa e’ nuova…, specie se saranno “operai cinesi ” a costruire il ponte !! Nonostante tra i paesi partecipanti all’ appalto non risulti la Cina… forse solo il Giappone con una piccola quota oltre a Europa USA e Canada.
    Sorge infine spontanea una domanda: ma l ‘ idea di superiorita’ della donna , non e’ un concetto vagamente femminista?
    Poche idee , ma confuse.
    Complimenti al comitato scientifico della GAM!

  3. Caro Antonio M., io sono Loredana Longo, nome e cognome, quella povera d’idee, e, per fortuna a pensarlo non sono in tanti, gli stessi che magari riescono a comprendere che in arte esistono anche metafore, un andare oltre alle mere spiegazioni, cosa che invece con te dovro’ fare nel dettaglio, ma in privato, sarò anche una Bad girl dell’arte ma non vorrei essere scambiata per una brava maestrina. Sai e’ difficile in una breve intervista descrivere tutti i lavori realizzati fino al momento, e poi giustificare ogni scelta in modo tale che per ogni essere umano ci sia la giusta connessione fra gli elementi, ammesso che sia dovuta. Credo che l’arte dovrebbe essere vista, non spiegata. Sei palermitano ed a Palazzo Riso c’ e’ un mio lavoro in Collezione Permanente, ( lo hai visto?) ma magari anche loro non capiscono nulla di arte come quelli della Gam, a tuo dire.. Sai la cosa bella di essere un’ artista qual è ? Esserlo

  4. il fatto che si possa essere all’ interno di una collezione museale non e’ necessariamente garanzia di merito, non in un paese come l’ Italia; lo stesso principio vale per la Gam, che piuttosto sembra essere vagamente in odor di conflitto di interessi… : il comitato di tale istituzione, sarebbe auspicabile esser costituito Solo da membri super partes che non abbiano coinvolgimenti con attivita’ a scopo di lucro…per di piu’nella stessa citta’!
    Sono i soliti vecchi giochi … lo stesso principio per cui le cose vanno spiegate in privato…
    Tornando alla mia critica, credevo che il lavoro di un artista fosse il risultato di una precisa ricerca e non una ricerca di giustificazioni al proprio lavoro ! Le idee e i concetti spiegati sono tanti, diversi fra loro e sembrano piuttosto approssimativi… Cio’ induce a pensare che dietro quella serie di lavori non ci sia una reale consapevolezza e un autentico coinvolgimento dell’ artista nella sua ricerca. .. sembra piuttosto un voler cercare il compiacimento del pubblico a tutti i costi saltando qua’ e la’ per operazioni ” sensazionalistiche” che pero’ risultano oltre che fine a se stesse, gia’ di per se’ piuttosto datate . ..la storia ci insegna che dietro i pensieri di ” rottura” ci sono persone fortemente motivate da questioni sociali e politiche , che hanno perseguito un pensiero critico e autentico, sempre, sempre, culturalmente ben supportato. Le parole come i concetti destinati a divenire pensiero ( anche se impopolari) portano in se’ un’ etica che appartiene al pricipio stesso di condivisione e devono essere usati con consapevolezza.
    Altrimenti ancora diranno che gli artisti sono rozzi e ignoranti.

  5. sono un po’ in ritardo, ma l’occhio oggi mi è cascato qua. Leggo ” (…) credevo che il lavoro di un artista fosse il risultato di una precisa ricerca e non una ricerca di giustificazioni al proprio lavoro ! Le idee e i concetti spiegati sono tanti, diversi fra loro e sembrano piuttosto approssimativi… Cio’ induce a pensare che dietro quella serie di lavori non ci sia una reale consapevolezza (…)”
    Una ricerca precisa, la chiarezza, pensieri unici e definiti, la consapevolezza reale sono da ricercare in un ragioniere, modello antico. Io non so giudicare il lavoro di Loredana Longo ma intanto è un’artista e quello che tu vorresti trovare è lontanissimo dal percorso di una ricerca continua, cangiante, contraddittoria, libera o imprigionata in alcuni schemi e anche a volte banale che un artista può fare anche per tutta la vita.
    secondo me, ovviamente.
    saluti
    erbematte

  6. Devo dire che Erbematte ha un’ idea dell’ arte piuttosto romantica… Certo la realta’ e’ molto diversa e l’ artista che professa dei concetti, come qualsiasi altro professionista che faccia ricerca, deve essere credibile , o almeno ferrato su cio’ che egli stesso ha deciso di rappresentare!!

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