12 febbraio 2003

fino al 19.II.2003 Zijah Gafic – in cerca di identità Milano, Grazia Neri

 
Oggi, quando fotografo, ho nelle narici l’odore della polvere da sparo e nelle orecchie il rumore di vetri in frantumi. Lo scatto dell’otturatore mi riporta alla mente le immagini della mia infanzia vissuta in mezzo alla guerra...

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Le immagini fornite da Zijah Gafic, giovane fotografo bosniaco di 22 anni, finalista al World Press Photo e vincitore del Prix Kodak 2002 du jeune reporter, registrano gli effetti della pulizia etnica durante la guerra nella ex Jugoslavia. L’esperienza di questo ragazzo si traduce con un’estetica fotografica dell’oggettività e dell’esaustività. Ciascuna serie pone problemi. La ragione delle differenze sta nei contenuti da cui i soggetti fotografati sono segnati. Gli effetti psicologici sui volti della gente rimasta vivasono aspetti trattati soprattutto da my family album e the last bosnian village. Da qui emergono le espressioni dei drammi individuali e familiari ma anche, è il caso della foto periferia di Goradze, quelle della speranza. L’immagine mostra una bambina e due bambini mentre stanno giocando. C’è un aspetto comune all’estetica di queste fotografie: l’uso di tonalità calde, spesso terrose, in generale effetti romantici. Questo da un lato servirebbe per costruire un’aria da focolare, qualcosa che, per lo meno, dia l’apparenza di una vita “normale” ritrovata, d’altro canto questa impronta è la modalità estetica che tradurrebbe la specificità della serie quest for ID: un’estetica romantica descrive gli esiti finali di certe azioni.
<u>Le foto pongono il problema dell’identificazione delle persone a partire dalle ossa rimaste. Ma non è solo questo. Quando non ci sono più fattezze perché non c’è più visibilità la morte ha finito. </u>Ricordando la sceneggiatura dell’ultimo Giovanna D’arco di Besson, essa conclude il suo operare assumendo lineamenti romantici: si mescola al resto, abbracciando i colori caldi, luminosi, rassicuranti, in alcuni casi espressione di solitudine esistenziale, un paesaggio innevato, della natura. Un’immagine viene così descritta: una donna ha appena identificato il cranio di suo fratello con l’aiuto degli antropologi. Il cranio apparteneva all’uomo ritratto nella fototessera. Questo particolare parrebbe significativo perché l’unica cosa rimasta, l’ultimo termine di confronto per riconoscere quella che era una vita è una polaroid: uno dei possibili volti della morte è un’immagine oggetto. Quindi insieme al problema dell’identificazione le immagini sollevano quelli più specifici delle modalità con cui la morte è stata praticata e delle connesse responsabilità. Hanno agito secondo logiche scientifiche precise, premeditate, nell’intento di nascondere, di mescolare, di far sparire, di ri-solvere e ri-pulire. Per non far sapere, per far sì che gli omicidi assumessero le fattezze di un paesaggio che alle tracce di sangue sostituisse il romanticismo del verde e del marrone di un bosco incantato. Queste fotografie riportano il passato all’attualità del presente. Dalla pellicola, in una sola volta, esce un’impronta che di per sé non fa differenze temporali: l’immagine è unica e quindi capace di descrivere l’è stato che è. Le immagini restano un utile medium per il progresso delle informazioni e della conoscenza.

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tullio pacifici


Fino al 19/II/2003. Zijah Gafic: in cerca di identità. Galleria Grazia Neri, via Maroncelli 14, Milano. tel. 0262527.1. e-mail: elena.ceratti@grazianeri.com; paola.riccardi@grazianeri.com . Orari: da lunedì a venerdì: dalle 9 alle 13 e dalle 14,30 alle 18, sabato: dalle 10 alle 12,30 e dalle 15 alle 17. chiuso la domenica. ingresso libero. Zona Farini, MM2 garibaldi. La mostra è sponsorizzata da KODAK. Zijah Gafic è rappresentato in esclusiva dall’agenzia Grazia Neri.

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