21 agosto 2018

Fermo immagine sul cuneese. Le fotografie di Michele Pellegrino al complesso di San Francesco

 

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Un tuffo nella fotografia in bianco e nero che, meno a mano, svela i segreti della vita nella provincia Granda, ripercorrendo gli ultimi 50 anni. Un piccolo mondo antico fatto di lavoro, momenti di festa, lunghi silenzi ma anche di panorami mozzafiato, angoli di città e di una comunità che vuole stare al passo con i tempi. È il racconto della mostra di fotografie di Michele Pellegrino, allestita fino al 30 settembre nel complesso monumentale di San Francesco a Cuneo, che presenta una corpus di scatti realizzati dagli anni ’70 fino a oggi. 
Un lungo lavoro di ricerca, quello di Pellegrino, classe 1934, iniziato quando aveva 33 anni e di fotografia non sapeva nulla. Autodidatta per necessità, questo ritrattista prima e paesaggista poi, fa parlare la sua terra natia per 19 sezioni e 75 fotografie, attraverso le immagini del popolo che la abita: ambienti casalinghi poveri, strade di montagne, cerimonie, dettagli di architetture ma, soprattutto, le alture, le colline, i paesaggi innevati. 
«Pellegrino è un artista che un po’ alla volta diventa concettuale – spiega il curatore della mostra, Enzo Biffi Gentili – Passiamo dai volti dei montanari e dei contadini, agli ambienti di provincia in cui la figura umana è completamente assente». Le prime fotografie presentano scene di vita famigliare, personaggi fuori dal tempo, soggetti anacronistici, quasi dei fossili antropologici: mezzadri di pianura, montanari delle alture delle Langhe, come negli interni di “Pianure cuneesi, 1971” e di “Limonetto, 1973”. Nei primi, i personaggi sono protagonisti di un momento storico delicato per le valli cuneesi, in cui la mezzadria stava volgendo al termine, negli altri sono ancorati alle loro tradizioni di montagna, da cui i giovani si stanno allontanando per trovare una vita migliore. 
E poi ancora matrimoni per la sezione “Un Imeneo in minore” dove troviamo i ritratti di una società cuneese in lenta evoluzione: in “Fiammenga, primi anni Settanta”, una bella sposa, con un vestito completamente ricamato, il portamento di una modella, sembra già guardare verso un futuro di prospettive e di emancipazione femminile. 
Infine, i protagonisti dei ritratti diventano frati e suore di clausura. A questi frati e suore che per propria scelta vivono al di fuori della società, infatti, Pellegrino negli anni tra il 1972 e 1980 ha dedicato la sua ricerca fotografica. Un lavoro che trova il suo posto nella sezione “Padri e sorelle” e nel “Trittico mistico”, una composizione di tre grandi foto conventuali. 
Dagli anni ’80, invece, i soggetti scelti dal fotografo diventano i paesaggi montuosi e, più raramente, quelli marini, i paesi e le borgate di montagna spopolati dall’emigrazione verso la pianura e la città. Ad affiancare ogni sezione, una citazione tratta dalle opere di Cesare Pavese, uno scrittore che presenta un fotografo: «Abbiamo ragionato sul fatto che le realtà locali hanno specificità e patrimoni non riconosciuti, ma di valore nazionale – spiega Biffi – Abbiamo voluto che la mostra di Pellegrino fosse organica, non in ordine di periodi, e abbiamo voluto affiancarle le parole di Pavese, che in contrasto con Pellegrino aveva la specifica caratteristica di essere un autore molto conturbante. Un scelta audace direi». 
La mostra “Michele Pellegrino. Una parabola fotografica” è la prima concretizzazione della donazione alla Fondazione CRC dell’intero archivio del fotografo di Chiusa Pesio, nell’ambito del progetto “Donare”. La mostra sarà aperta gratuitamente al pubblico fino a domenica, 30 settembre, dal martedì alla domenica, dalle 15.30 alle 18.30. (Chiara Gallo)

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