21 agosto 2018

Percorsi paralleli. La Collezione di Mario Trevisan al Museo di Santa Giulia di Brescia

 

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«Tutto è iniziato a Brescia – racconta Mario Trevisan – è in questa città che ho acquistato, circa venticinque anni fa, la mia prima fotografia». È, infatti, un paesaggio di Mario Giacomelli, a dar avvio e vita all’ampia e pregiata collezione del veneziano e ad aprire il percorso espositivo. Per questo, la mostra, allestita fino al 2 settembre nel Museo di Santa Giulia, acquista un significato anche affettivo. Della raccolta, che si compone di oltre duecentocinquanta esemplari, una mirata selezione è esposta in “Percorsi Paralleli. La Collezione Mario Trevisan”, co-curata dallo stesso collezionista con Renato Corsini e Luigi Di Corato
Interessato alla bellezza dei soggetti, quanto alla particolarità dell’oggetto-fotografia, Mario Trevisan, da sempre, è alla ricerca non tanto della foto unica o del capolavoro ma di quell’immagine e di quella stampa che, in qualche modo, hanno segnato un passaggio, demarcato una svolta, indicato un nuovo percorso, nella ripresa come nella riproduzione. Immagini che fissano il susseguirsi delle diverse epoche, tecniche e gusti. La sua non è una collezione caratterizzata solamente da nomi altisonanti ma è una raccolta che coccola l’oggetto-fotografia, ammira il soggetto nella sua particolarità, subisce la fascinazione del tempo, compresi i difetti tecnici che, anzi, le conferiscono maggiore spessore. Una collezione che mira alla ricerca anche di una certa composizione estetica, che non si lascia intimidire dalla tiratura e non è alla ricerca della rarità. Perché «se una foto è bella – afferma – che mi interessa se altri cinque, dieci o venti collezionisti la possiedono?». 
Come ogni collezione è espressione della personalità del collezionista, la parte esposta a Brescia è rivelazione dell’intimo di Mario Trevisan. Che ha iniziato a collezionare circa quarant’anni fa arte moderna, pur avendo avuto sempre un debole per la fotografia fino a quando, come folgorato sulla via di Damasco, vende la sua collezione di opere d’arte moderna, per lo più su carta, e si dedica esclusivamente alla fotografia. 
“Percorsi paralleli” è, dunque, la piena espressione dell’occhio, del sentire e della ricerca di Trevisan. Perché tali percorsi sono quelli dello sguardo del collezionista, ma anche di quello dei fotografi che, in momenti diversi e con tecniche differenti, costruiscono una sorta di sottile legame, di silenzioso e fine rimando, tra le diverse generazioni. Affinità che Mario Trevisan ha colto in quel dettaglio, in quella forma, in quel soggetto, in quella prassi, gettando così un ponte tra artisti di generazioni diverse. Sono, appunto, questi percorsi paralleli che Trevisan ha individuato nelle quaranta coppie di fotografie esposte. Rimandi, assonanze, particolarità, richiami, prossimità, associazioni, sono alcune delle chiavi di lettura che hanno guidato la scelta. 
Più che un dialogo, le fotografie affiancate sembrano legate attraverso quell’invisibile filo rosso per completarsi, chiudere un cerchio, per essere pressoché due parti di un unico ordine. Accompagnate da frasi ideate o recuperate dallo stesso Trevisan, che in qualche modo mirano a rendere evidenti le affinità colte dal collezionista, si ammirano coppie del livello 1846-2011, ritratti di due veneziani, Roger Fenton, Terrace Walk, 1858-59, e Luigi Ghirri, Versailles, 1985; Eugen Atget, Vielle Maison, 1903, e Paolo Ventura, Città infinita, 2012; William Henry Fox Talbot, Trafalgar Square, 1844, e Man Ray, Colonne Vendôme, 1936; Arnold GentheJulie Marlowe, 1921, e Silvia Camporesi, Studio per Ofelia, 2004-10. 
Elencarle tutte non è possibile ma quelle accennate, da sole, sono sufficienti a delineare l’idea che sottostà alla mostra e, in maniera diretta, anche quella che guida le scelte di Mario Trevisan nella costruzione della sua collezione, «che attualmente –come racconta sempre il collezionista – è nella fase di passaggio da quella della ‘ragione’ a quella del ‘pieno godimento’ di quanto messo insieme, cercando di completarla con quelle fotografie per me ancora mancanti per renderla compiuta». (Daniela Trincia)

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